Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 652 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 652 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 6195/2020 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende con l’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti ;
-controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2853/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 14/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
NOME COGNOME convenne in giudizio NOME COGNOME chiedendo che nei confronti della convenuta, che si era resa promissaria acquirente di uno stacco di terreno dell’attore, fosse emessa sentenza costituiva, ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., con condanna al pagamento della somma di € 170.000,00, costituente saldo del pattuito prezzo, oltre al risarcimento del danno.
Con l’atto di citazione l’attore espose che con scrittura del 26/8/2005 aveva promesso in vendita alla convenuta 3.735 mq di terreno, con certificata destinazione agricola, per il complessivo prezzo di € 180.000,00; che il prezzo aveva tenuto conto della circostanza, nota a entrambi i contraenti, che solo a causa d’un errore il Sindaco del comune nel cui territorio il terreno insisteva, aveva mutato nel 2002 la destinazione da edilizia in agricola. Errore, riconosciuto dallo stesso Sindaco, il quale, con comunicazione del 15/7/2004, si era impegnato a rimediare all’inconveniente in occasione della prima modifica al regolamento urbanistico-edilizio.
Trascorso il termine per la stipula del contratto definitivo, nel gennaio del 2006 la promissaria acquirente aveva manifestato la volontà di non volere concludere il contratto definitivo.
Il 7/10/2006 il preposto funzionario comunale, a seguito dei solleciti dell’esponente attore, aveva comunicato l’avvio del procedimento amministrativo finalizzato alla rettificazione della destinazione urbanistica del fondo.
A questo punto l’attore aveva intimato il termine inderogabile del 15/2/2007 per la stipula del contratto definitivo; termine che era trascorso invano.
La convenuta, difesasi anche in via riconvenzionale, premettendo che il negozio era stato stipulato sul presupposto, condiviso da entrambe le parti, che il Comune avrebbe ripristinato
la destinazione urbanistica che aveva caratterizzato il fondo fino al 2002, chiese che il contratto fosse risolto, dichiarato inefficace o, comunque annullato per vizio del consenso determinato da errore riconoscibile, incidente sulla qualità essenziale del bene, che aveva giustificato il prezzo, indubbiamente sproporzionato ove la destinazione fosse stata agricola, con condanna al risarcimento del danno. In via di subordine chiese, nel caso di accoglimento della domanda ex art. 2932 cod. civ., che stante la destinazione agricola, il prezzo fosse ridotto ad equità e fissato in € 7.470,00.
In corso di causa il Comune assegnò destinazione edilizia al fondo, tuttavia riducendo l’edificabilità a 300 mq, invece degli originari 933.
Il ctu stimò il prezzo di € 76.500,00 nel caso in cui il fondo avesse goduto dell’edificabilità ante 2002 e in € 7.000,00, in caso di destinazione agricola.
1.1. Il Tribunale accolse la domanda di NOME COGNOME salvo quella di condanna al risarcimento del danno, e condannò la convenuta al pagamento del prezzo pattuito con il contratto preliminare.
La Corte d’appello di Bologna rigettò l’impugnazione di NOME COGNOME
2.1. Questi, in sintesi, per qual che qui rileva, gli argomenti sposati dalla sentenza di secondo grado.
La Corte locale spiega che l’appellante non aveva svolto specifica censura avverso la decisione del Tribunale di escludere sussistenza di presupposizione, essendosi limitata a dolersi del mancato apprezzamento della deposizione del teste geom. COGNOME
Esaminata la deposizione in parola, che il Tribunale aveva omesso del tutto di prendere in considerazione, la sentenza di
secondo grado esclude tuttavia che da essa potessero ricavarsi elementi probatori utili per potersi affermare che la volontà della promissaria acquirente fosse stata estorta con violenza (richiama l’art. 1435 cod. civ.).
Le ulteriori doglianze, in quanto esposte solo in comparsa conclusionale, erano tardive. Ciò valeva anche per la nuova deduzione di nullità del contratto per impossibilità dell’oggetto. Deduzione comunque infondata alla luce della richiamata sentenza della Cassazione n. 9314/2017.
NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base di tre motivi.
L’intimato resiste con controricorso ulteriormente illustrato da memoria.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1435, 1427, 1428, 1429, 1431, 1362 e 1366 cod. civ., anche in relazione al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.
Secondo la ricorrente non corrispondeva al vero che la stessa, con l’appello, si fosse doluta solo del fatto che il Tribunale, erroneamente affermando non essere stata svolta istruttoria orale, aveva omesso di prendere in esame la deposizione del teste COGNOME
Aveva, invece, impugnato la sentenza di primo grado lamentando che il Tribunale non aveva invalidato il contratto preliminare per vizio del consenso, ricollegato alla mancata verificazione della presupposizione e all’errore, palese e riconoscibile, sulle caratteristiche essenziali del bene, nel quale era incorsa l’esponente.
La Corte d’appello non aveva attenzionato la doglianza, che l’avrebbe dovuta portare, ove avesse effettivamente esaminato la
testimonianza e le risultanze della c.t.u., a reputare sussistere l’errore della promissaria acquirente, la quale, per contro, mai aveva dedotto vizio del volere causato da violenza.
Al fine di sorreggere il proprio assunto la ricorrente riporta stralcio della testimonianza del geom. COGNOME
Dalla deposizione di costui, prosegue la ricorrente, era dato evincere chiaramente <>.
Il COGNOME aveva risposto a specifica domanda: <>.
Peraltro alla Corte di Bologna non era sfuggito che il Tribunale aveva evidenziato che <>, pur avendo, poi, incongruamente escluso che si fosse inteso subordinare l’efficacia del contratto alla circostanza che al terreno venisse riconosciuta la qualità urbanistica anteriore. Né era dubbio al Tribunale che il prezzo aveva tenuto conto della qualità edificabile del fondo.
La Corte d’appello aveva confermato l’opinione del Tribunale, il quale aveva escluso che fosse stata stabilita una vincolante subordinazione, in quanto che il breve tempo intercorrente tra la
stipula del preliminare e quella del definitivo (26/8/200515/11/2005) era inferiore ai tempi occorrenti per la modifica indicati dal Comune.
L’interpretazione resa dalla Corte locale contrastava con il principio di buona fede, tenuto conto di quel che con limpidezza emergeva testualmente dal contratto e dalla stessa condotta delle parti: il promittente alienante si era curato di sollecitare all’autorità amministrativa il mutamento di destinazione, tanto da prospettare a questa il danno che l’inerzia amministrativa gli avrebbe procurato, avendo stipulato contratto preliminare che non avrebbe potuto rispettare.
Con il secondo motivo viene denunciato l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 346 cod. proc. civ.
La ricorrente censura l’asserto di cui in sentenza, sopra ripreso, secondo il quale l’appellante <>.
I due motivi, tra loro correlati, meritano accoglimento.
6.1. La denuncia di omesso esame di un fatto controverso e decisivo è fondata.
Il primo e il secondo motivo d’appello, riportati per stralci dalla ricorrente (pagg. 6 e 7), pur frontalmente diretti a contestare il risultato del vaglio probatorio di primo grado e fatto accenno alla circostanza che la COGNOME <>, addebitavano al Tribunale, quale nucleo centrale della doglianza
esposta in sede d’appello, non avere maturato <>.
La Corte d’appello, come si è anticipato, assegna al motivo d’appello un ingiustificato significato riduttivo.
Per vero, al di là di una certa opacità dell’atto d’appello, il significato della censura, le parole adoperate e, soprattutto, l’espresso riferimento a una qualità del terreno che la promissaria acquirente reputava che lo stesso avrebbe avuto, anche perché rassicurata in tal senso dall’altra parte contraente, denunciavano vizio del volere in genere. Quindi, in primo luogo, dovuto a errore e, comunque, non limitato all’ipotesi della violenza.
Di quest’ultima, l’appellante non aveva in alcun modo evocato i caratteri descritti dall’art. 1435 cod. civ.: ‘ La violenza deve essere di tal natura da fare impressione sopra una persona sensata e da farle temere di esporre sé o i suoi beni a un male ingiusto e notevole. Si ha riguardo, in questa materia, all’età, al sesso e alla condizione delle persone ‘.
Il richiamo all’opera di convincimento (mero) messa in atto dal predetto COGNOME aveva l’evidente scopo di sostenere l’essenzialità e riconoscibilità dell’errore e non la violenza, della quale, come si è detto, non era stato denunciato elemento alcuno che la potesse configurare.
Ribadito il consolidato principio secondo il quale spetta all’insindacabile esame di merito l’apprezzamento probatorio, tuttavia qui va rilevato che la Corte d’appello ha gravemente
mutilato l’esame in parola, tanto da doversi reputare che abbia omesso di prendere in esame le emergenze istruttorie (documenti, prova per testi e consulenza tecnica), relativamente alla parte, per lo meno preponderante, della domanda coltivata in appello: vizio del consenso in genere, non limitato all’ipotesi della violenza, e presupposizione.
Laddove il giudice d’appello non prenda in esame le emergenze di causa, o, come nel caso in rassegna, ne limiti impropriamente l’inferenzialità solo a una delle domande o a un profilo di domanda, ricorre il vizio di omesso esame di un fatto controverso e decisivo di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.
Diversamente, si dovrebbe irragionevolmente assegnare valenza di esame solo a una mera apparenza, alla quale non corrisponderebbe un consapevole scrutinio finalizzato allo scopo di accertare l’esistenza/insussistenza del diritto controverso.
In definitiva, una siffatta sentenza è affetta da nullità, avendo deciso in assenza di pienezza di scrutinio.
6.2. Del pari fondata è la denuncia degli artt. 1435, 1427, 1428, 1429 e 1431 cod. civ.
Quale antecedente corollario occorre ribadire che in tema di interpretazione della domanda giudiziale, il fatto deve essere individuato in base a criteri giuridici e non puramente materiali, identificandosi con il titolo della pretesa azionata, in quanto tale ricomprendente tutto ciò che è comunque relativo, strumentale o accessorio alla prestazione dedotta in giudizio come derivante da uno specifico contratto (Sez. 3, n. 24656, 13/09/2024, Rv. 672244 -01).
Questa Corte, al fine d’individuare il perimetro di censurabilità in sede di legittimità dell’interpretazione della domanda, ha precisato che la rilevazione ed interpretazione del contenuto della
domanda è attività riservata al giudice di merito ed è sindacabile: a) ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del “petitum”, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la “qualificazione giuridica” dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un “fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo”, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di “error in judicando”, in base all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., o al vizio di “error facti”, nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Sez. 3, n. 11103, 10/06/2020, Rv. 658078 -01; conf. Cass. n. 30770/2023).
Venendo al caso al vaglio, come si è sopra spiegato, l’incomprensibile restrizione della portata della domanda, diretta, invece, a far valere latamente vizio del volere, ha procurato un’illegittima amputazione del ‘petitum’, che si è riverberata sulla decisione, affetta da ‘error in judicando’.
Il terzo motivo, con il quale si denuncia violazione dell’art. 2932, co. 2, cod. civ., per avere la sentenza disposto il trasferimento coattivo nonostante il mutamento di destinazione, posto in via subordinata, resta assorbito in senso proprio dall’accoglimento dei primi due.
In conclusione, cassata la sentenza con rinvio, il Giudice del rinvio regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie i primi due motivi del ricorso e dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione agli accolti motivi e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, altra composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità
Così deciso nella camera di consiglio del 13 novembre 2024.