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Vizi strutturali appalto: la responsabilità del costruttore

La Corte di Cassazione conferma la condanna di un costruttore per vizi strutturali nella realizzazione di un tetto. L’ordinanza chiarisce che il richiamo alla consulenza tecnica d’ufficio (CTU) costituisce motivazione sufficiente e che la richiesta di risarcimento per difetti gravi, avanzata sin dal primo grado, non costituisce una domanda nuova in appello. L’analisi si concentra sulla distinzione tra vizi strutturali e variazioni progettuali, confermando la responsabilità dell’appaltatore per i primi.

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Vizi strutturali nell’appalto: quando la responsabilità del costruttore è inevitabile

La corretta esecuzione dei lavori in un contratto d’appalto è fondamentale per garantire la sicurezza e la funzionalità di un immobile. Ma cosa succede quando l’opera presenta gravi difformità? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico di vizi strutturali in un appalto, chiarendo i confini della responsabilità del costruttore e importanti principi processuali. Analizziamo insieme questa decisione per capire le sue implicazioni pratiche per committenti e appaltatori.

I Fatti di Causa: Un Tetto Conteso

La vicenda ha origine dalla richiesta di due committenti che avevano incaricato un’impresa di realizzare la copertura a spiovente di un edificio. A lavori ultimati, le proprietarie contestavano la totale difformità dell’opera rispetto al progetto e una realizzazione non a regola d’arte, chiedendo un risarcimento di 30.000 euro.

L’impresa costruttrice non negava le differenze rispetto al progetto, ma sosteneva che queste fossero state richieste dalle stesse committenti per creare un vano abitabile, modifica che aveva portato all’innalzamento del tetto e all’apertura di lucernari. Di fronte a queste pretese, l’impresa aveva sospeso i lavori, in attesa di un intervento del direttore dei lavori. In primo grado, il Tribunale rigettava la domanda delle committenti.

La Decisione della Corte d’Appello

Le committenti impugnavano la sentenza. La Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della decisione iniziale, condannava il costruttore al pagamento di oltre 27.000 euro, oltre IVA e interessi. La decisione si fondava sulle risultanze di una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU), che aveva accertato la presenza di gravi vizi strutturali nell’appalto, tali da incidere sulle prestazioni statiche della copertura nel tempo.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Il costruttore, non soddisfatto della sentenza di secondo grado, ricorreva in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Motivazione inesistente o apparente: Sosteneva che la Corte d’Appello avesse affermato la sua responsabilità basandosi sulla CTU senza però indicare in quale punto la perizia attribuisse direttamente a lui la colpa per i vizi strutturali.
2. Omessa valutazione di un fatto decisivo: Lamentava che i giudici d’appello non avessero considerato una sentenza penale definitiva che condannava per falsa testimonianza un teste chiave nel processo civile.
3. Domanda nuova in appello: Asseriva che le committenti avessero introdotto per la prima volta in appello una domanda di risarcimento per responsabilità extracontrattuale (ex art. 1669 c.c.), non formulata in primo grado.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo chiarimenti cruciali su ciascuno dei motivi sollevati. La Corte ha esaminato la questione dei vizi strutturali nell’appalto e ha confermato la decisione dei giudici di merito.

Sulla Motivazione “Apparente”

La Corte ha stabilito che la motivazione della sentenza d’appello non era né inesistente né apparente. I giudici hanno chiarito un principio consolidato: quando un giudice di merito sposa le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto a esporre in modo specifico e dettagliato le ragioni del suo convincimento. L’obbligo di motivazione è già assolto con la semplice indicazione della CTU come fonte del proprio apprezzamento. Fare riferimento alla perizia è sufficiente per rendere la decisione comprensibile e rispettosa del “minimo costituzionale” richiesto dalla legge.

Sulla Rilevanza della Falsa Testimonianza

Per quanto riguarda il secondo motivo, la Cassazione lo ha dichiarato inammissibile. La condanna per falsa testimonianza, seppur accertata, era irrilevante per il caso di specie. La testimonianza in questione riguardava le variazioni progettuali (come l’altezza del tetto), mentre la condanna del costruttore si basava sui vizi strutturali (come l’assenza di travi o l’uso di ferro inferiore al previsto) emersi dalla CTU. Poiché la decisione si fondava su difetti strutturali e non su modifiche progettuali, la testimonianza non era un elemento decisivo.

Sulla Presunta “Domanda Nuova”

Infine, la Corte ha respinto anche il terzo motivo. Non c’era nessuna “domanda nuova” in appello. Sin dall’atto di citazione iniziale, le committenti avevano chiesto il risarcimento del danno lamentando che l’opera era affetta da vizi strutturali così gravi da renderla soggetta a cedimento e quindi inutilizzabile. Questa richiesta conteneva già in sé tutti gli elementi della responsabilità dell’appaltatore per gravi difetti, rendendo la successiva specificazione in appello una mera precisazione e non una domanda nuova.

Le Conclusioni

La Suprema Corte ha quindi rigettato il ricorso e condannato il costruttore al pagamento delle spese legali. Questa ordinanza ribadisce alcuni principi fondamentali: la responsabilità per vizi strutturali nell’appalto è una questione seria che si basa su accertamenti tecnici oggettivi. Il richiamo a una CTU ben motivata è sufficiente a fondare una decisione di condanna. Inoltre, è essenziale che le richieste di risarcimento per gravi difetti siano formulate chiaramente fin dal primo atto del giudizio, per evitare contestazioni procedurali successive. La decisione rappresenta un importante monito per gli operatori del settore sull’obbligo di eseguire le opere a regola d’arte, garantendone la sicurezza e la stabilità strutturale.

La motivazione di una sentenza è ‘apparente’ se il giudice si limita a richiamare le conclusioni di una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) senza argomentare nel dettaglio?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’obbligo di motivazione è assolto con la sola indicazione delle fonti dell’apprezzamento espresso (in questo caso, la CTU), dalle quali si può desumere che le argomentazioni contrarie delle parti sono state implicitamente rigettate. Una tale motivazione è considerata pienamente valida e non ‘apparente’.

Una condanna per falsa testimonianza in un processo civile è sempre un elemento decisivo per ribaltare la sentenza?
No. In questo caso, la Corte ha ritenuto la condanna per falsa testimonianza non rilevante. La testimonianza riguardava le variazioni progettuali dell’opera, mentre la decisione di condanna del costruttore si fondava su vizi strutturali ben distinti e accertati dalla CTU. La testimonianza non era quindi decisiva per la questione centrale della controversia.

Chiedere il risarcimento per gravi vizi strutturali in appello costituisce una ‘domanda nuova’ se in primo grado si è agito genericamente per inadempimento?
No, non in questo caso. La Corte ha escluso la novità della domanda perché sin dall’atto di citazione in primo grado le committenti avevano richiesto il risarcimento lamentando specifici vizi strutturali (come l’assenza di travi e l’uso di materiale inadeguato) che rendevano l’opera inutilizzabile. La richiesta era quindi già chiara nei suoi elementi fondamentali fin dall’inizio del processo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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