Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13425 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13425 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
R.G.N. 10126/2019
C.C. 10/04/2024
VENDITA
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato materialmente allegato al ricorso, dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME e con elezione di domicilio digitale con indicazione della seguente pec: EMAIL;
–
ricorrente –
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato materialmente allegato al controricorso, dagli AVV_NOTAIOti NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, INDIRIZZO;
– controricorrenti – avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 40/2019 (pubblicata il 7 gennaio 2019);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10 aprile 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
lette le memorie depositate da entrambe le parti.
RITENUTO IN FATTO
1.Con atto di citazione notificato il 17 giugno 2008, l’RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bologna, COGNOME NOME e
COGNOME NOME, chiedendo che venisse accertata l’esistenza di vizi (riscontrati, in particolare, nel vano sottotetto), da considerarsi occultati da questi ultimi quali venditori, sull’immobile da questi alienato sito in Bologna, INDIRIZZO. L’instaurazione del processo era stata preceduta da un ATP (il cui procedimento, oltretutto, non era ancora terminato all’atto dell’introduzione del giudizio di merito).
Con la proposta domanda l’attrice invocava la riduzione del prezzo in conseguenza dei vizi riscontrati e la condanna dei venditori al risarcimento dei danni nella misura di euro 500.000,00.
I citati convenuti si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto dell’avversa pretesa.
All’esito dell’istruzione probatoria, nel corso della quale veniva espletata anche ctu, il Tribunale adito -con sentenza n. 404/2016 -rigettava la domanda, con condanna dell’attrice alla rifusione delle spese giudiziali e al pagamento della somma di euro 10.000,00, a titolo di risarcimento danni da lite temeraria.
Decidendo sull’appello formulato dall’RAGIONE_SOCIALE, cui resistevano gli appellati COGNOME, la Corte di appello di Bologna -con sentenza n. 40/2019 (pubblicata il 7 gennaio 2019) -lo rigettava, condannando l’appellante al pagamento delle spese del grado.
A sostegno dell’adottata pronuncia, la Corte emiliana – dopo aver premesso che l’instaurazione di un procedimento di ATP determina l’interruzione della prescrizione, il cui effetto permane fino al deposito della relazione tecnica -rilevava l’infondatezza nel merito della formulata impugnazione, respingendo tutte le contestazioni mosse sulle modalità di espletamento della c.t.u. ed escludendo, come già aveva ritenuto il giudice di prime cure, che i vizi attinenti al sottotetto potessero essere imputati ai venditori, dal momento che gli stessi si erano venuti a manifestare dopo che, nel 2004, la copertura del fabbricato era stata demolita e ricostruita integralmente dal condominio ed erano stati determinati dall’imperizia delle maestranze incaricate dal medesimo condominio nel corso del rifacimento di detta copertura.
Evidenziava, inoltre, il giudice di appello che la verifica della proprietà del sottotetto non appariva rilevante ai fini di causa, posto che l’unica funzione dell’area interessata dal suo ingombro era, per l’appunto, quella di consentire al condominio la manutenzione della menzionata copertura del fabbricato e delle sue strutture lignee, con conseguente detenzione dei luoghi da parte del medesimo condominio e l’addebito a suo carico della responsabilità delle lesioni longitudinali provocate ai travetti dal peso impresso su di essi. Inoltre, la Corte felsinea -quanto alle doglianze dell’appellante circa la natura ‘povera’ della struttura del solaio e alla definizione di ‘fine vita di progetto’ dell’immobile che era stato qualificato dai venditori in buono stato -rilevava la novità delle questioni in quanto da considerarsi dedotte per la prima volta in secondo grado, poiché l’originaria domanda introduttiva del giudizio riguardava esclusivamente i pretesi vizi del solai asseritamente occultati dai COGNOME e non la struttura dello stesso. Precisava, in ogni caso, la Corte territoriale che l’appellante RAGIONE_SOCIALE aveva acquistato un immobile costruito nei primi anni ’50 e, seppure mantenuto in buono stato, non risultava essere stato sottoposto nel tempo ad alcuna opera di ristrutturazione. Pertanto, la citata società acquirente non avrebbe potuto ignorare che i solai degli immobili edificati nella suddetta risalente epoca erano stati costruiti con tecniche povere perché non destinati ad alcun uso ordinario.
Avverso la predetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, l’RAGIONE_SOCIALE.
Hanno resistito, con un congiunto controricorso, gli intimati COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo, la ricorrente denuncia -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. -l’omesso esame di un fatto decisivo per il processo avuto riguardo al mancato accertamento della proprietà del sottotetto, nella cui area coperta si erano manifestati i vizi dai quali
erano provenute le conseguenze dannose a carico dell’immobile acquistato da essa ricorrente.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce -sempre ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. – un ulteriore omesso e/o contraddittorio esame di un altro fatto decisivo inerente la valutazione della condizione del tramezzo e della sua funzione.
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta -avuto riguardo all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1490, comma 1, 1491, 1492 e 1495 c.c., per non avere la Corte di appello rilevato che -anche alla stregua degli accertamenti peritali -era stata acquisita la prova di una situazione di precarietà nella statica del solaio del sottotetto e che tale stato non dipendeva da un deterioramento coerente con lo stato di vetustà dell’immobile, dal momento che vi erano tracce di interventi di riparazione (come le coperture delle lesioni con malta), né trattavasi di uno stato rappresentato ad essa acquirente o dalla stessa prevedibile (presentandosi l’immobile, all’atto della compravendita, come abitabile e in buono stato), ragione per la quale essa ricorrente si era determinata all’acquisto per un valore ben superiore a quello del ‘fine vita’ dell’immobile, dichiarato poi in causa dai venditori.
Con il quarto motivo, la ricorrente prospetta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 189 e 345 c.p.c., nonché il vizio di contraddittorietà della motivazione, confutando la sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto che la doglianza in ordine alla natura ‘povera’ del solaio e alla definizione di ‘fine vita di progetto’ dell’immobile venduto costituisse ‘domanda nuova’ e, come tale, doveva ritenersi inammissibile, senza tener conto che tale connotazione era già emersa in sede di c.t.u. in primo grado e che la stessa sarebbe stata, invece, da ritenersi un vero e proprio vizio occulto, dovendosi, perciò, pervenire alla conclusione che, se essa ricorrente avesse conosciuto tale caratteristica, non avrebbe acquistato il bene o lo
avrebbe comprato per un prezzo nettamente inferiore a quello corrisposto nella misura di euro 1.050.000,00.
Con il quinto motivo, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 91 e 96 cpc, lamentando l’illegittimità della conferma con la sentenza di appello – della sua condanna alle spese e al risarcimento del danno per responsabilità aggravata disposta con la pronuncia del Tribunale.
In primo luogo, va rilevata l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità formulata dai controricorrenti con riguardo al prospettato difetto di specificità dei motivi di ricorso, rispondendo, invece, gli stessi ai requisiti previsti dall’art. 366, comma 1, c.p.c.
Ciò premesso, il primo motivo è da ritenere inammissibile per la preclusione da ‘doppia conforme’ come stabilita dall’art. 348 -ter, ultimo comma, c.p.c. – dal momento che la Corte di appello ha motivato sulla contestata proprietà del sottotetto in modo conforme alla sentenza di primo grado e la ricorrente non specifica come il percorso logico-giuridico-argomentativo addotto a sostegno della sentenza impugnata si discosti da quello adottato dal Tribunale (cfr. Cass. n. 26774/2016 e Cass. n. 5947/2023).
In ogni caso, la valutazione del fatto assunto come omesso è stata compiuta dalla Corte di appello, la quale ha accertato che il sottotetto era parte condominiale e che, indipendentemente dal titolo petitorio effettivo sullo stesso, la disponibilità e fruibilità dell’area coperta era di esclusiva pertinenza del condominio, per cui i vizi manutentivi non potevano essere addebitati ai proprietari dell’appartamento sottostante (donde anche la ‘non decisività’ della denunciata circostanza), aggiungendosi che era rimasto, altresì, accertato che nell’atto di compravendita il sottotetto non era menzionato come facente parte dell’oggetto del contratto e che in esso si era dato atto che a tale struttura non potesse nemmeno accedersi dall’appartamento compravenduto.
Il secondo motivo si profila inammissibile per la stessa ragione di cui al precedente, senza, peraltro, sottacere che la Corte di appello ha,
comunque, preso in considerazione il fatto assunto come omesso, dando atto che la natura portante o meno del tramezzo demolito costituiva un dato inconferente, posto che -come già stabilito dal giudice di prime cure -non era quella la causa per cui il solaio si era flesso a seguito dell’abbattimento di detto tramezzo, ma perché il muro costituiva un elemento di equilibrio, data la notevole ampiezza del salone e perché era stato demolito senza aver eseguito preventivamente delle opere di puntellatura che avrebbero consentito al solaio stesso di resistere alle sollecitazioni e alle vibrazioni determinate dall’abbattimento del tramezzo.
Quindi il vizio denunciato è, in ogni caso, insussistente.
9. Il terzo motivo è inammissibile e, comunque, privo di fondamento. Esso, in sostanza, impinge nella valutazione di merito compiuta dal giudice di appello conformemente a quella resa dal Tribunale, escludendo -al di là della circostanza che i vizi si erano manifestati nel sottotetto, il quale non era, come evidenziato, nella disponibilità dei venditori -la natura occulta dei vizi stessi in considerazione dell’acquisita consapevolezza dell’acquisto, da parte della ricorrente (società oltretutto operante nel settore immobiliare), di un immobile la cui costruzione risaliva agli anni ’50, ragion per cui, seppur mantenuto in buono stato, non risultava essere stato mai sottoposto ad alcuna opera di ristrutturazione, onde la stessa acquirente non poteva ignorare che i sottotetti degli immobili edificati nella predetta epoca erano costruiti con tecniche povere perché non destinati ad alcun uso ordinario.
La giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 3348/2018) ha, a tal proposito, chiarito, in via generale, che la garanzia per i vizi redibitori non copre i rischi che l’acquirente per forza di cose assume acquistando un bene in relazione al quale il vizio che lo inficia sia da ritenere facilmente riconoscibile, cioè, individuabile con l’ordinaria diligenza. E’, pertanto, ragionevole ritenere che l’acquisto di un bene di vetusta costruzione (il quale è fisiologicamente maggiormente sensibile
all’usura del tempo per più note ragioni: la sua diuturna esposizione alle intemperie e ai movimenti tellurici, la sua struttura costituita da materiali compositi e degradabili, la presenza d’impianti tecnologici altamente logorabili, la sua destinazione alla sopportazione di carichi continuati, le tecniche in uso al tempo della sua messa in opera), la cui datazione non sia stata celata dalla parte alienante, possa far ritenere agevolmente riconoscibili vizi, anche importanti, che eventualmente lo inficino. La circostanza che la parte degradata e bisognosa di ristrutturazione possa, eventualmente, riguardare parti strutturali dell’edificio immediatamente non percepibili con il senso della vista, quali, a titolo d’esempio, il tetto, i solai o le fondamenta, appare, di conseguenza, irrilevante.
Da tutte queste considerazioni deriva -come correttamente ritenuto nella sentenza impugnata -l’insussistenza della natura occulta dei vizi denunciati.
9. Il quarto motivo è pur esso inammissibile e, comunque, infondato. Innanzitutto, il motivo non riporta specificamente il ‘petitum’ della citazione originaria, il contenuto delle conclusioni precisate in primo grado e quello dell’atto di appello, per consentirne il confronto al fine di verificare l’effettività o meno della proposizione di nuove domande in sede di appello, non avendo rilevanza la circostanza che la ‘natura povera’ delle strutture fosse già emersa dalla c.t.u. espletata nel giudizio di prime cure.
I predetti contenuti si evincono, invece, puntualmente dal controricorso alle pagg. 27-28.
Nella domanda introduttiva del giudizio di primo grado l’RAGIONE_SOCIALE aveva rappresentato che i vizi asseritamente occulti riguardavano -sulla scorta dei punti di danneggiamento rilevati -dei travetti del solaio divisorio, mentre con l’atto di appello aveva poi sostenuto che i vizi occulti si dovessero ricondurre alla natura ‘povera’ della costruzione la cui edificazione risaliva agli anni ’50, ovvero che trattavasi di vizi che investivano direttamente le caratteristiche
costruttive del sottotetto, da cui la Corte di appello ha legittimamente desunto la violazione dell’art. 345 c.p.c.
Ad ogni modo (pur essendo assorbente la ravvisata inammissibilità della domanda in secondo grado in quanto nuova), la Corte di appello con un’adeguata motivazione di merito espressa solo ‘ad abundantiam’ -ha, comunque, escluso che l’allegata natura ‘povera’ potesse rappresentare un vizio occulto.
10. Il quinto ed ultimo motivo è privo di fondamento.
Presupposta la legittimità della condanna alle spese dell’appellante, attrice in primo grado, quale conseguenza dell’applicazione del principio della soccombenza, si osserva che la conferma della condanna dell’RAGIONE_SOCIALE anche al risarcimento del danno per lite temeraria ex art. 96, comma 1, c.p.c. emessa con la sentenza del primo giudice per aver incautamente (quindi con colpa grave) introdotto il giudizio di merito malgrado ancora non fosse stata depositata (ancorché già decorso il termine in proposito concesso) la relazione del perito nominato in sede di ATP preventiva (dalla quale sarebbe emersa la irrisorietà dei costi per le riparazioni necessarie, essendo stato, peraltro, riscontrato nel secondo sopralluogo che l’area del sottotetto era risultata asciutta) è da considerarsi legittima.
Infatti, in conseguenza dell’appena illustrato svolgimento della fase pre-processuale, essendosi interrotto il termine di prescrizione annuale dal deposito della relazione in sede di ATP, la ricorrente (quale originaria attrice) avrebbe avuto ancora un anno per valutare la verosimile fondatezza della sua azione, considerando tutte le circostanze del caso, ovvero l’individuazione della causa effettiva dei danneggiamenti, del luogo di provenienza, dell’imputazione soggettiva della stessa, l’effettività o meno della sussistenza di vizi propriamente occulti (tenendo conto, soprattutto, di quanto posto in risalto in ordine alla vetustà dell’immobile), esclusi poi da entrambe le convergenti sentenze di merito.
11. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Non sussistono le condizioni per disporre la condanna, a carico della ricorrente, prevista dall’art. 96, comma 3, c.p.c., come richiesto peraltro senza adeguata motivazione – dai controricorrenti.
Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P .R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessi euro 9.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltra contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P .R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della