Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4245 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 4245 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
RelaNOME: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/02/2024
Sentenza
sul ricorso iscritto al n. 15898/2018 proposto da:
NOME COGNOME , difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, difeso da ll’ AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO , domiciliato a Roma presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 1215/2018 del 9/3/2018.
Ascoltata la relazione del consigliere NOME COGNOME.
Ascoltato il AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ascoltati gli avvocati NOME COGNOME per la ricorrente e NOME COGNOME per il controricorrente.
Fatti di causa
Nel 2009 la venditrice RAGIONE_SOCIALE conveniva dinanzi al Tribunale di Como l’acquirente NOME COGNOME per la risoluzione del contratto di compravendita immobiliare (avente ad oggetto Villa Sequoia) e la ritenzione della somma di € 766.000, versata dall’acquirente come caparra confirmatoria. Allegava l’attrice che l’acquirente si era resa inadempiente all’obbligo di pagare più rate del mutuo con la Deutsche Bank s.p.a., quale modo di pagamento del prezzo, cui costei si era obbligata in virtù di accollo interno con lei venditrice. Si era perciò avverata la condizione risolutiva contrattuale e si era prodotta la risoluzione del contratto ex art. 1353 c.c. L’acquirente con venuta contestava, eccepiva l’inadempimento della venditrice, per la presenza di molteplici vizi e difetti del bene compravenduto e domandava in riconvenzionale la riduzione del prezzo di vendita nella misura di circa € 679.634 ovvero in alternativa la condanna della venditrice al pagamento dello stesso l’importo a titolo risarcitorio, considerati i costi e le spese necessari per l’ultimazione dei lavori nell’immobile, l’eliminazione dei vizi e difetti riscontrati e la regolarizzazione amministrativa e catastale del bene. In via subordinata domandava la risoluzione per colpa della venditrice con condanna di quest’ultima alla restituzione del prezzo nonché al risarcimento del danno. Il Tribunale, premesso che la reciproca contestazione di inadempimento contrattuale paralizzava l’efficacia automatica collegata normalmente alla clausola risolutiva espressa, comparava le condotte inadempienti delle parti, coglieva la più grave delle due nell’accertata (con c.t.u.) inidoneità all’uso del bene compravenduto, escludendo che il parziale inadempimento della compratrice all’obbligo di pagamento di alcune rate del mutuo avesse pregiudicato la realizzazione dello scopo contrattuale, e dichiarava risolto il contratto per colpa della venditrice attrice. Su appello della
compratrice convenuta, la pronuncia di primo grado è stata integralmente confermata.
Ricorre in cassazione la compratrice convenuta con tre motivi. Resiste il RAGIONE_SOCIALE della venditrice attrice con controricorso e memorie (in prossimità dell’adunanza camerale e poi dell’udienza pubblica). L’interlocutoria n. 27386/2023 ha rinviato la trat tazione del ricorso all’udienza pubblica. Il AVV_NOTAIO procuraNOME generale ha anche depositato osservazioni scritte.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo (p. 9 ss.) l’acquirente denuncia la violazione degli artt. 1490, 1492, 1497 c.c. nonché dell’art. 112 c.p.c. e si duole così che la sentenza impugnata, una volta inquadrato il caso di specie nell’ambito dell’art. 1497 c.c. poiché l’immobile non era idoneo all’uso, abbia statuito che l’unico rimedio fosse la risoluzione e quindi disatteso le domande di diminuzione del prezzo e/o di risarcimento del danno da lei proposte in via principale.
Il secondo motivo (p. 17 ss.) denuncia l’omesso esame circa fatto decisivo, cioè che l’accertamento della totale inidoneità del bene all’uso di destinazione contrasta con la volontà di conservazione del contratto manifestata dall’acquirente attraverso l’or dine delle domande proposte e l’impugnazione della pronuncia di primo grado, volontà che già di per sé impedisce di considerare che il bene sia del tutto inidoneo all’uso. Si deduce la conseguente violazione degli artt. 1490, 1492, 1497 c.c. e degli artt. 113 e 115 c.p.c. Censurata è la parte della sentenza di appello che: (a) ha rilevato, sulla base delle risultanze della c.t.u., che il bene compravenduto presentasse «tali e tanti difetti da renderlo del tutto inidoneo all’uso cui era destinata»; (b) ha ricondotto la fattispecie alla disciplina ex art. 1497 c.c.; (c) ha limitato il rimedio esperibile alla sola risoluzione del contratto.
Il terzo motivo (p. 24 ss.) denuncia, in via subordinata, la violazione degli artt. 100 e 112 c.p.c., per avere la Corte di appello dichiarato inammissibili i primi due motivi di appello in quanto non sorretti dall’interesse ad impugnare. In particolare, con il primo motivo di appello l’acquirente ha denunciato la violazione dell’art. 112 c.p.c. per essere stata qualificata la domanda di risoluzione della venditrice come da clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c., mentre si trattava di domanda di risoluzione per l’asserito avveramento della condizione risolutiva ex art. 1353 c.c. Di conseguenza il giudice di primo grado avrebbe dovuto rigettare la domanda della venditrice, dopo aver accertato che il contratto non era sottoposto a condizione, ma conteneva invece una clausola risolutiva espressa di cui la venditrice non si era mai avvalsa.
2. -Nella parte censurata dal primo motivo, la sentenza argomenta in sintesi in questi termini. Pur essendo mancata una pronuncia espressa sulle riconvenzionali di riduzione del prezzo o di risarcimento del danno, è da confermare la decisione del primo giudice di accoglimento della sola domanda subordinata di risoluzione del contratto. Infatti, la natura dei vizi del bene era di ostacolo di per sé all’accoglimento delle domande proposte in via principale ex art. 1492 c.c., poiché entrambe le presuppongono che il vincolo contrattuale permanga. In presenza di vendita di bene affetto da vizi, l’art. 1492 c.c. consente al compraNOME di chiedere, a sua scelta, la risoluzione del contratto (ove non esclusa dagli usi per determinati vizi) oppure la riduzione del prezzo, ma solo ove i vizi accertati risultino contenuti nei limiti di usuale tollerabilità. Ove invece, come nel caso di specie, i vizi si traducano in mancanza delle qualità essenziali (dalla c.t.u. risulta che la villa venduta presentasse tali e tanti difetti da renderla del tutto inidonea all’uso
cui era destinata), il rimedio è solo la risoluzione del contratto come previsto dall’art. 1497 c.c. Fin qui la sentenza impugnata.
La ricorrente denuncia che la pronuncia sia in contrasto con l’indirizzo ormai consolidato che il risarcimento del danno (o la diminuzione del prezzo) è dato anche nel caso di inidoneità ovvero di difetto di qualità (promesse o essenziali) del bene compravenduto ex art. 1497 c.c. Si reputa che in questa direzione sia orientata la giurisprudenza maggioritaria.
Il controricorrente argomenta che secondo gli accertamenti in primo e in secondo grado la controversia rientra nella esclusivamente nella fattispecie dell’art. 1497 c.c., poiché l’immobile era privo degli elementi minimi essenziali all’uso convenuto. Le ipotesi rispettivamente previste dagli artt. 1490 e 1497 differiscono perché i vizi ex artt. 1490 c.c. attengono ad imperfezioni del procedimento di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione della cosa, mentre la mancanza di qualità essenziali ex art. 1497 c.c. implica che la cosa venduta debba considerarsi come appartenente per la sua natura, per gli elementi che la compongono o per le sue caratteristiche strutturali a un tipo diverso ovvero a una specie diversa da quelli dedotti in contratto. In tal caso, la riduzione del prezzo rimane esclusa e disponibile è la sola risoluzione del contratto, perché il bene è privo del suo valore di scambio. L’argomentazione del controricorrente è arricchita da una citazione di insigne dottrina: «se il vendiNOME di un cavallo da corsa consegna un cavallo da corsa zoppo e il giudice diminuisce il prezzo, modifica il contratto quanto al corrispettivo ma lo lascia tale per quanto riguarda la res vendita. Se invece è stato consegnato in luogo di un cavallo da corsa un cavallo da tiro, ed il compraNOME potesse tenerlo per un prezzo minore, il contratto sarebbe modificato non solo nel prezzo ma anche nella res:
cioè, sarebbe sostituito al contratto concluso dalle parti un contratto totalmente -e non solo parzialmente -diverso».
Nelle sue osservazioni, il PM muove dall’orientamento in tema di certificato di abitabilità (NUMERO_DOCUMENTO) per argomentare che è possibile far ricorso alle azioni di riduzione del prezzo e di risarcimento (con mantenimento del vincolo contrattuale) anche nelle ipotesi ex art. 1497 c.c., ma ciò dipende dall’apprezzamento di fatto del giudice di merito nel senso che il grado di difformità del bene e la gravità dei vizi non ne impediscano la commerciabilità e l’idoneità all’uso cui è destinato o che comunque i difetti riscontrati siano eliminabili. Nel caso di specie la Corte di appello ha accertato però, mediante accertamento tecnico, che la villa venduta presentava tali e tanti difetti da renderla del tutto inidonea all’uso cui era destinata.
3. – Il primo motivo è fondato.
L’assetto legislativo (e, in parte qua, giurisprudenziale) dei rapporti tra rimedi in caso di vizi (art. 1490 c.c.), mancanza delle qualità promesse o delle qualità essenziali (art. 1497 c.c.), cattivo funzionamento (art. 1512 c.c.) e aliud pro alio datum risente ancora de ll’idea che , per ricorrere alla tutela giurisdizionale dello Stato, occorra di volta in volta una disposizione di rimedio specifica, sul contenuto della quale si proiettano i lineamenti della lesione del diritto (o della messa in pericolo o della contestazione di quest’ultimo ) di volta in volta affermata, cosic ché il passaggio da un rimedio all’altro determini tendenzialmente un mutamento dell’oggetto del processo. Per quanto benvenut e siano ancora oggi tali disposizioni, poiché accorciano il percorso tra la lesione del diritto e la configurazione di un adeguato provvedimento di tutela, occorre guardarsi dal l’accreditare la menzionata rigidità processuale come conseguenza opportuna o comunque inevitabile di tale assetto. Al contrario, essa è difficilmente conciliabile con la moderna teoria del
diritto di azione, i cui meriti storici sono consistiti nell’avviare il superamento dei limiti propri di un sistema di tutela giurisdizionale che appunto ancora avvertiva l’influenza del carattere di tipicità delle azion i del diritto romano classico e quindi nel ricostruire l’azione giudiziaria come atipica nella sua essenza, cioè come diritto processuale che ha per presupposto la semplice affermazione della titolarità di un diritto sostanziale, riconosciuto come tale dall’ordinamento, e per finalità la richiesta di un provvedimento giurisdizionale – non già di tutela quale che sia, ma – diretto nel suo contenuto a soddisfare il bisogno specifico di tutela fatto valere.
Ne segue, in linea di principio, che la previsione normativa di una pluralità di disposizioni tipiche, dirette a rimediare a violazioni del diritto tra di loro distinte nel modo di manifestarsi, non è di ostacolo a che tale pluralità si rispecchi nella formulazione di una domanda giudiziale complessa e/o gradata nella sua articolazione, ovvero in un’ammissibile modificazione della domanda. Né è di ostacolo a che la domanda di tutela si configuri come richiesta di un provvedimento di tutela non ancora tipizzato legislativamente, purché rispondente allo specifico bisogno di tutela fatto valere.
Un esemplare di tali condizionamenti storici e di una casistica che rivolge istanze di abbattimento di paratie (istanze ormai frequentemente accolte dalla dottrina e dalla giurisprudenza) è l ‘assetto dei rimedi in caso di vendita di cosa non conforme a quella pattuita (ove traccia del retaggio storico è depositata nel nome tradizionale di taluni di essi: azioni edilizie). In particolare, esemplare è la costellazione disegnata dalle iniziative processuali originate dal caso di specie, ove l’acquirente aveva fin dall’inizio del processo manifestato i suoi bisogni di tutela secondo un ordine di priorità che vede al primo posto l’interesse al mantenimento della proprietà sulla cosa acquisita attraverso
lo scambio contrattuale e in posizione subordinata l’interesse ad avviare una vicenda risolutiva del contratto, con conseguenti restituzioni. Ciò ha trovato espressione nella proposizione in via principale della domanda di riduzione del prezzo (o di risarcimento del danno per il medesimo importo) e in via subordinata della domanda di risoluzione del contratto. Accidentalmente, l’ interesse si è acuito in corso di causa dinanzi al sopravvenuto fallimento della venditrice e al conseguente mutamento del quadro in cui sarebbe da inserire la pretesa alla restituzione del prezzo.
Dinanzi ad una domanda di tutela così specificamente congegnata nella sua complessità e nel suo ordine di priorità, l’ c.c. si limita a ricordare che, laddove la cosa venduta non abbia le qualità essenziali per l’uso a cui è destinata (come nel caso di specie è stato accertato sulla base della c.t.u.), sono applicabili le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento. Pertanto, ciò non esclude logicamente che il compraNOME – se ed in quanto lo voglia in via prioritaria – abbia diritto a mantenere fermo in capo a lui (attraverso una domanda di riduzione del prezzo) la proprietà del bene conseguita per effetto del contratto. La soluzione opposta avrebbe come conseguenza che l’ordine dei rimedi – e quindi la scala di priorità dei bisogni di tutela da soddisfare sia dettato non già dall’atNOME ma dal convenuto della domanda di tutela.
Se è vero che «il processo deve dare per quanto è possibile praticamente a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello ch’egli ha diritto di conseguire ai sensi del diritto sostanziale», l’atNOME che risulti avere ragione (non il convenuto) ha diritto di delineare il «proprio quello». Né i «sensi del diritto sostanziale» possono essere impastoiati da vincoli fatti discendere da formulazioni letterali che – come quelle degli artt. 1492 e 1497 c.c. nelle loro relazioni reciproche -rendono ossequio
ad una tradizione storica da ambientare nel clima moderno; mentre le distinzioni tra vizi attinenti ai processi di produzione, ecc., da un lato, e, dall’altro lato, le qualità afferenti alla natura della cosa, così come gli esempi addotti a loro sostegno, non estendono la loro forza al di là delle parole e delle immagini che essi impiegano nel profilarsi alla nostra attenzione. Non esistono le qualità essenziali in sé delle cose, ma si danno le qualità predicate come essenziali (o meno) in vista di un interesse verso di esse meritevole di tutela. Ne segue che la suddivisione tra i vizi (occorsi nel procedimento di produzione e/o conservazione), da un lato, e, dall’altro lato, la mancanza di qualità essenziali rispetto al tipo dedotto nel contratto esprime piuttosto il tentativo di elargire ex post ragioni a un retaggio storico.
La conclusione è in linea con l’ orientamento prevalente della dottrina, secondo il quale il caso di presenza di vizi e quello di mancanza di qualità sono soggetti ad una disciplina che non conosce paratie, ma snodi di collegamento, giacché il profilo di atipicità dell’azione giudiziaria conferisce non solo alla domanda di risoluzione ma anche a quella di riduzione del prezzo il tratto di rimedio generale a tutela dell’acquirente, che quindi può domandare la riduzione del prezzo anche nelle fattispecie contemplate dall’art. 1497 c.c.
Infine, la conclusione valorizza e sviluppa ulteriormente gli orientamenti giurisprudenziali secondo i quali la presenza di vizi e la mancanza di qualità sono assoggettate alla stessa disciplina. In questa direzione, cfr. Cass. 206/1978, ove si qualifica il caso di consegna di filato per tessitura anziché per maglieria come difetto di qualità (non aliud pro alio) e si premette che vizi e difetto di qualità sono assoggettati alla stessa disciplina; Cass. 5361/1978, secondo cui la riduzione del prezzo prevista nei casi ex art. 1492 co. 3 c.c. per la cosa viziata è applicabile anche per la cosa priva di qualità ex art. 1497 c.c.; Cass. 10728/2001,
ove in caso di consegna di veicolo usato anziché nuovo (qualificato come difetto di qualità) si è riconosciuta l’ azione per il risarcimento del danno sotto forma di una proporzionale riduzione del prezzo corrispondente al maggior valore che la cosa avrebbe avuto (nella fattispecie si è specificato che il difetto di qualità non era di tale gravità da giustificare la risoluzione del contratto: profilo che diviene irrilevante nell’impostazione qui accolta); nello stesso senso Cass. 247/1981. Viceversa, vengono disattese le pronunce che escludono l’a zione per la riduzione del prezzo in caso di difetto di qualità: cfr. Cass. 5845/2013, ove si è esclusa la riduzione del prezzo in caso di difetto di avviamento commerciale, qualificato come qualità che nella specie era stata promessa (si è riconosciuta eventualmente la risoluzione ex art. 1453 c.c.).
– Il primo motivo è accolto, i restanti motivi assorbiti, la sentenza cassata in relazione al motivo accolto, la causa rinviata alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbiti i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, rinvia la causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 23/1/2024.