Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34483 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34483 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/12/2024
O R D I N A N Z A
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede in Isola della Scala (VR), in persona del legale rappresentante sig. NOME COGNOME rappresentata e difesa per procura alle liti in calce al ricorso da ll’ Avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso lo studio d ell’Avvocato NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
Ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE con sede in Verona, in persona del legale rappresentante dott. NOME COGNOME rappresentata e difesa per procura alle liti in calce al controricorso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultim o in Roma, INDIRIZZO
Controricorrente
avverso la sentenza n. 1100/2019 della Corte di appello di Venezia, depositata il 18. 3. 2019.
Udita la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 27. 11. 2024.
Fatti di causa e ragioni della decisione
Con sentenza n. 1100 del 18. 3. 2019 la Corte di appello di Venezia confermò la decisione di primo grado che aveva respinto la domanda di risarcimento dei danni avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE
La società RAGIONE_SOCIALE agì in giudizio esponendo di avere acquistato dalla convenuta, nel 2003, un terreno al fine di procedere alla sua edificazione; che nel contratto era previsto l’obbligo della venditrice di rimuovere, a propria cura e spese, le cisterne esistenti sul fondo; che, nel corso della esecuzione dei lavori di rimozione, era stata constatata la contaminazione dell’area per lo sversamento di materiali liquidi inquinanti, nella specie idrocarburi; che i lavori di bonifica dell’area, eseguiti dal Consorzio dopo avere denunciato tale situazione alla acquirente, erano durati anni, tanto che solo nel 2007 la provincia ne aveva certificato il completamento; che la presenza del terreno di materiale inquinante e l’eccessiva durata dei lavori di bonifica avevano impedito alla esponente di ottenere dal comune le autorizzazioni necessarie per il progettato recupero edilizio dell’area; che la condotta della controparte le aveva procurato un pregiudizio economico evidente, di cui doveva rispondere sia per la violazione degli obblighi contrattuali scaturenti dalla vendita, che a titolo di responsabilità extracontrattuale per fatto illecito.
Il Tribunale di Verona rigettò la domanda, escludendo la responsabilità del consorzio per fatto illecito, atteso che il fatto ad esso addebitato dalla società acquirente rientrava nella sua responsabilità contrattuale, nello specifico per difetto di qualità del bene venduto ; dichiarò tuttavia l’azione contrattuale prescritta, ai sensi dell’art. 1495 c.c., essendo decorso più di un anno dalla scoperta e comunicazione della situazione denunziata.
La Corte di appello confermò tale decisione, affermando che: la pronuncia di estinzione per prescrizione del diritto al risarcimento del danno non era viziata da extrapetizione, atteso che la relativa eccezione, sollevata dal Consorzio con la comparsa di costituzione e risposta in primo grado, non era stata abbandonata dalla convenuta ma era stata mantenuta ferma in sede di
R.G. N. 29553/2019.
precisazione delle conclusioni; doveva escludersi una responsabilità extracontrattuale del Consorzio, risultando il pregiudizio lamentato direttamente collegato alle obbligazioni contrattuali dello stesso, che, ai sensi della clausola II del contratto di vendita, si era assunto lo specifico obbligo di rimuovere le cisterne esistenti sul terreno e di ripristinare lo stato dei luoghi; che la pretesa della società attrice, siccome motivata dal ritardo con cui la controparte aveva completato le opere di bonifica del terreno, era infondata, atteso che la stessa acquirente, in sede di trattativa contrattuale, avrebbe dovuto considerare l’eventualità che le cisterne esistenti sul terreno adibite allo stoccaggio di idrocarburi potessero avere prodotto fenomeni di inquinamento per sversamento e la parte stessa non aveva comunque allegato circostanze da cui desumere l’esistenza, a carico della convenuta, di un ritardo colpevole nel compimento dei lavori di bonifica.
Per la cassazione di questa sentenza, con atto notificato il 7. 10. 2019, ha proposto ricorso la s.rRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE affidandosi a quattro motivi.
Il Consorzio agrario del Nordest ha notificato controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il primo motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per error in procedendo , per non avere ravvisato nella pronuncia di primo grado che aveva dichiarato prescritto il diritto azionato in giudizio dalla esponente un vizio di extapetizione. Si sostiene che la decisione è errata laddove ha ritenuto che la controparte, con il semplice richiamo in sede di precisazione delle conclusioni a quelle rassegnate nella comparsa di risposta, avesse mantenuto ferma anche l’eccezione di prescrizione , che invece avrebbe dovuto considerarsi abbandonata anche alla luce delle memorie istruttorie depositate nel corso del giudizio, che non ne facevano menzione.
Il motivo è infondato.
La Corte di merito ha respinto il motivo di appello che denunziava il vizio di extrapetizione rilevando che l’eccezione di prescrizione sollevata dal consorzio convenuto in comparsa di costituzione e risposta non poteva ritenersi abbandonata o rinunciata dal momento che la parte, nel precisare le conclusioni, aveva fatto espresso riferimento a quelle rassegnate nella
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suddetta comparsa. La valutazione operata sul punto dal giudice territoriale è senz’altro corretta, riconoscendo sia la legge che la prassi giudiziaria la facoltà delle parti di precisare le conclusioni finali richiamando gli atti del processo nei quali sono state formulate.
La ricorrente nemmeno pone in dubbio che l’eccezione di prescrizione sia stat a sollevata dalla convenuta nel suo atto introduttivo, mentre irrilevante deve considerarsi il dato che detta eccezione non sia stata richiamata o illustrata nelle memorie istruttore.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: ‘ contraddittorietà e travisamento – violazione e falsa applicazione di legge – omesso esame -in relazione alla dedotta prescrizione decennale e non annuale a seguito di riconoscimento del vizio ‘. Con esso la ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia individuato il termine di prescrizione in un anno, ai sensi dell’art. 1495 c.c., e non in dieci anni, in violazione del principio secondo cui l’impegno del venditore di eliminare i vizi della cosa venduta comporta a suo carico il sorgere di una nuova obbligazione, distinta da quella di garanzia edilizia e soggetta, come tale, alla prescrizione ordinaria.
Il mezzo è infondato.
La sentenza impugnata ha giustificato l’applicazione del termine prescrizion ale previsto dall’art. 1495 c.c. per le azioni a tutela del venditore sulla base della considerazione che l’obbligo di bonifica del terreno compravenduto era stato espressamente previsto dal contratto. Ha richiamato in proposito la clausola II, che poneva a carico della parte alienante l’obbligo di rimuovere le cisterne esistenti e di ripristinare lo stato dei luoghi, precisando che tale ultimo obbligo ‘ necessariamente comprende tutto quanto necessario per ripristinare nell’area compravenduta le caratteristiche per cui era stata acquistata, che comunque presupponevano l’asportazione di contenitori di cui erano note ad entrambe le parti contraenti -o erano comunque conoscibili (cfr,. provvedimento prefettizio del 17-12-2003, doc.2/Consorzio) -sia le funzioni che lo stato che si presentavano al momento dell’interramento ‘.
La Corte, quindi, ha escluso che l’obbligo del Consorzio di provvedere alle opere di disinquinamento dell’area trovasse la propria fonte in un atto
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posteriore al contratto, fosse cioè una obbligazione autonoma assunta dal venditore a fronte della constatata difformità del bene. Il rilievo che tale obbligo derivasse espressamente dal contratto stesso l’ha poi portata a ritenere che esso rientrasse nel più ampio diritto di garanzia del venditore per vizi e difetti della cosa venduta o per mancanza delle qualità, sottoposto al più breve termine di prescrizione di cui all’art. 1495 c.c.. Il ricorso, va sottolineato, non investe in modo specifico le ragioni che sostengono tale ultima statuizione, ma si limita a richiamare l’applicazione della giurisprudenza che ravvisa nell’obbligo assunto dal venditore dopo la vendita di eliminare i vizi e le difformità della cosa una autonoma obbligazione, fattispecie in cui è possibile ravvisare una novazione dell’originario obbligo di garanzia per i vizi della cosa e che, come si è visto, è diversa da quella in cui, sulla base di una specifica clausola del contratto, la parte alienante si sia obbligata a conformare il bene alle esigenze dell’altra parte.
Il terzo motivo di ricorso, proposto in via subordinata al precedente, è così rubricato: ‘ contraddittorietà e travisamento – violazione e falsa applicazione di legge ex art. 1667 c.c. ‘, per non avere la Corte di appello ravvisato nella assunzione dell’obbligo della parte venditrice di bonificare il terreno alienato un obbligazione di facere , aggiuntiva a quella scaturente dalla vendita ed assimilabile a quella che deriva da un contratto di appalto, soggetta, come tale, al termine di prescrizione biennale.
Il motivo è inammissibile.
La censura sembra muovere dalla premessa che le parti abbiano convenuto, accanto alla vendita, un contratto di appalto, avente ad oggetto la bonifica del terreno venduto, prospettazione che non solo è nuova ma è del tutto priva di sostegno argomentativo mediante riferimenti concreti al testo contrattuale. Il mezzo , nell’invocare l’applica zione del l’art. 1667 c.c., presuppone quindi una diversa interpretazione e qualificazione giuridica del contratto, sotto la specie di un contratto di vendita misto ad appalto, ma senza addurre alcun elemento a sostegno di tale ipotesi.
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato ‘ contraddittorietà e travisamento -violazione e falsa applicazione di legge – omesso esame -in relazione alla
responsabilità dei vizi in capo al venditore ‘. Con esso si censura l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui la stessa parte acquirente avrebbe dovuto considerare l’eventualità che le cisterne adibite allo stoccaggio di idrocarburi esistenti sul terreno potevano aver prodotto fenomeni di contaminazione ed inquinamento e che, comunque, la parte stessa non aveva allegato circostanze da cui desumere l’esistenza, a carico della convenuta, di un ritardo colpevole. Si assume in contrario che era obbligo della parte venditrice verificare l’idoneità del bene compravenduto alla conosciuta destinazione edificatoria e che nella comparsa conclusionale d’appello la parte aveva dedotto che il Consorzio aveva iniziato i lavori di risanamento del terreno con un ritardo di dieci mesi e non aveva curato con la dovuta diligenza e cura la pratica di bonifica dell’area presso gli enti amministrativi competenti.
Anche questo motivo è inammissibile.
Come eccepito dal controricorrente, la censura di violazione di legge è inammissibile, ai sensi dell’art. 366, comma 1 n. 4), per l’omessa indicazione, anche nel corpo del motivo, delle norme di diritto su cui essa si fonda (Cass. n. 18998 del 2021; Cass. Sez. un. n. 23745 del 2020; Cass. n. 4905 del 2020).
In ordine alle altre censure, è sufficiente osservare che la Corte di appello ha motivato il rigetto della domanda di risarcimento dei danni sulla base anche del rilievo che, pur in presenza di solleciti alla conclusione dei lavori di bonifica, la società attrice non aveva dedotto alcun elemento di fatto specifico per dimostrare il colpevole ritardo nella loro esecuzione da parte del Consorzio, e che quest’ultimo aveva inoltre allegato e documentato la sequenza degli interventi effettuati, i quali si erano svolti sotto il controllo della competente autorità amministrativa, senza specifiche contestazioni della appellante. La colpa del Consorzio in ordine ai tempi dei lavori di bonifica è stata quindi esclusa sulla base di una ricostruzione fattuale della vicenda che, risolvendosi in un apprezzamento demandato alla esclusiva competenza del giudice di merito, non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità.
Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
R.G. N. 29553/2019.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro 14.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 novembre 2024.