Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1614 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1614 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 32052/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato in Roma presso l’AVV_NOTAIO COGNOME in INDIRIZZO
ricorrente
contro
COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, AFFRONTI UMBERTO, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliati in Roma presso l’AVV_NOTAIO nel suo studio in INDIRIZZO
contro
ricorrenti e ricorrenti incidentali a vverso la sentenza n. 454/2019 della Corte d’appello di Genova pubblicata il 27-3-2019
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 1611-2023 dal consigliere NOME COGNOME
OGGETTO: annullamento di contratto per violenza morale
R.G. 32052/2019
C.C. 16-11-2023
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME convenne avanti il Tribunale di Savona NOME COGNOME e NOME COGNOME, formulando domanda ex art. 2932 cod. civ. in relazione al contratto preliminare 16 marzo 2010, alle scritture modificative 7 agosto 2012, 28 agosto 2012 e alla scrittura privata 8 febbraio 2013, nelle quali NOME COGNOME e NOME COGNOME erano promissari venditori e NOME COGNOME promissario acquirente di quattro fabbricati. Si costituirono i convenuti NOME COGNOME e NOME COGNOME, chiedendo il rigetto della domanda e proponendo a loro volta in via riconvenzionale domanda di annullamento della scrittura 8 febbraio 2013 in quanto viziata da violenza, domanda ex art. 2932 cod. civ. relativamente ai contratti stipulati il 16 marzo 2010, 7 agosto 2012 e 28 agosto 2012 con la condanna al pagamento del residuo importo e al risarcimento dei danni; in via subordinata chiesero la risoluzione di quei contratti e il risarcimento dei danni.
Con sentenza non definitiva n. 644 pubblicata il 28-5-2015 il Tribunale di Savona dichiarò che la scrittura datata 8-2-2013 era invalida ex art. 1435 c.c., essendo stato il consenso dei convenuti viziato da violenza morale esercitata dall’attore , e annullò la scrittura; accertò il grave inadempimento dell’attore in relazione ai contratti preliminari datati 16-3-2010 aventi a oggetti gli immobili denominati ‘Villa AVV_NOTAIO‘, ‘Villa Angiolina’, ‘Villa NOME‘ e ‘Condominio Barocco’ e in relazione alla scrittura 28-8-2012 e dichiarò la risoluzione dei contratti.
Con sentenza definitiva n. 1432/2017 il Tribunale di Savona condannò l’attore al pagamento di Euro 34.915,00 con gli interessi decorrenti dalla data di deposito della comparsa di costituzione e risposta, quale danno residuale subito dai convenuti, conteggiato previa detrazione dell’importo di Euro 270.000,00 già corrisposto dall’attore; condann ò altresì l’attore alla rifusione a favore dei
convenuti delle spese di lite liquidate in Euro 1.466,00 per esborsi ed Euro 30.000,00 per compensi, ponendo definitivamente a carico dell’attore le spese di c.t.u.
2.Proposti appello principale da parte di NOME COGNOME e appello incidentale da parte di NOME COGNOME e NOME COGNOME alle due sentenze, riunite le impugnazioni, con sentenza n. 454 pubblicata il 273-2019 la Corte d’appello di Genova l e ha integralmente rigettate, compensando le spese del grado.
La sentenza ha rigettato i motivi di appello con i quali NOME COGNOME aveva censurato la pronuncia di annullamento del contratto 82-2013. Ha considerato che quel contratto modificava in termini nettamente peggiorativi per i convenuti i precedenti accordi, in quanto consentiva a COGNOME di acquistare un solo immobile, in luogo dei quattro oggetto dei precedenti accordi, con un mancato guadagno di Euro 1.187.000,00 e poneva anche a carico degli COGNOME le spese di demolizione degli immobili non venduti con una maggiore tassazione per loro; ha dichiarato che i consorti RAGIONE_SOCIALE avevano acconsentito alla conclusione di quel contratto per evitare la messa all’incasso di assegno di Euro 120.000,00 da loro consegnato a COGNOME a garanzia dell’affare, perché i convenuti, nonostante le pressanti richieste non erano riusciti a ottenere la restituzione dell’assegno ; ha considerato che l’assegno era stato trattenuto anche dopo che erano stati pagati gli oneri di urbanizzazione, a garanzia del cui versamento l’assegn o era stato rilasciato, ed era stato poi restituito solo al momento della conclusione del contratto del febbraio 2013; h a evidenziato che l’appellante aveva dichiarato negli atti del giudizio di essere stato a conoscenza del fatto che l’assegno era scoperto e che il protesto avrebbe causato la richiesta di immediato rientro dell’esposizione debitoria con la banca. Quindi, richiamato il principio secondo il quale anche la minaccia di fare valere un diritto assume i caratteri della violenza morale se è diretta a
conseguire un vantaggio ingiusto, ha dichiarato che tali presupposti sussistevano nel caso di specie, in quanto COGNOME aveva provveduto alle obbligazioni di cui alla garanzia e il titolo era trattenuto in modo ingiustificato da COGNOME, con lo scopo di costringere i consorti COGNOME a concludere contratto sfavorevole rispetto ai precedenti.
La sentenza ha rigettato anche i motivi di appello principale e incidentale relativi alla quantificazione del danno. Confermando la sentenza di primo grado, ha riconosciuto ai consorti COGNOME il danno per la sostanziale incommerciabilità del compendio immobiliare nel periodo di vigenza dei contratti preliminari, quale danno in re ipsa, sulla base di stima equitativa secondo il criterio dei presumibili utili nella misura del 10% del prezzo pattuito a suo tempo per ogni immobile, per i tre anni di vigenza dei preliminari. Ha riconosciuto a titolo di risarcimento del danno le spese di demolizione del fabbricato, escludendo il concorso di colpa dei danneggiati per non avere chiesto una proroga per procedere alla demolizione; ha altresì riconosciuto il danno riferito al mancato versamento dei corrispettivi pattuiti nei contratti preliminari in relazione alla pesante esposizione debitoria dei convenuti, per maggiori interessi corrispettivi maturati nel periodo sui mutui in precedenza contratti, escludendo l’impre vedibilità di tale danno ex art. 1225 cod. civ.
3.Avverso la sentenza NOME ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, affidato a nove motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso, nel quale hanno proposto anche ricorso incidentale tardivo con due motivi.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ., in data 6-11-2023 i controricorrenti hanno depositato memoria illustrativa e in data 15-11-2023 ha depositato memoria illustrativa il ricorrente.
A ll’esito della camera di consiglio del 16-11-2023 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Preliminarmente deve essere rilevata l’inammissibilità della memoria depositata dal ricorrente solo il 15-11-2023 e perciò dopo il decorso del termine di dieci giorni prima dell’udienza posto dall’art. 380 bis.1 cod. proc. civ.
RICORSO PRINCIPALE
2. Con il primo motivo ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., a norma dell’art. 360 c.p.c. nn. 3 e 4. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, a norma dell’art. 360 c.p.c., n.5’ il ricorrente evidenzia di avere dedotto che tra gli accordi del 28 agosto 2012 e la scrittura di data 8 febbraio 2013 era intercorsa intensa corrispondenza diretta a precisare le rispettive posizioni, a dimostrazione che la scrittura del 2013 non era stata una imposizione dettata da violenza morale; sostiene che l’omesso esame dei documenti abbia condizionato negativamente il giudizio, lamenta che la sentenza impugnata abbia omesso di pronunciarsi sul punto e abbia omesso di esaminare i fatti storici relativi allo svolgimento della trattativa.
2.1.Il motivo è inammissibile nella parte in cui è proposto ai sensi dell’art. 360 co.1 n.5 cod. proc. civ. , in quanto si applica ratione temporis l’art. 348 -ter co. 5 cod. proc. civ. inserito ex d.l. 22-6-2012 n. 83 conv. in legge 7-8-2012 n. 134 e, vertendosi in ipotesi di ‘ doppia conforme ‘ , il ricorrente non indica che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto del suo appello siano state diverse (Cass. Sez. 3 28-2-2023 n. 5947 Rv. 667202-01, Cass. Sez. 1 22-12-2016 n. 26774 Rv. 643244-03).
Il motivo è inammissibile anche nella parte in cui evoca l’art. 115 cod. proc. civ., in quanto per dedurre la violazione dell’art. 115 cod.
proc. civ. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con il contenuto della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi, mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre prove , essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 cod. proc. civ. (Cass. Sez. U 30-9-2020 n. 20867 Rv. 659037-01).
Il motivo è inammissibile anche nella parte in cui lamenta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia , in quanto il vizio è ravvisabile quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta a ottenere l’attuazione in concreto della volontà di legge che garantisca un bene e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale debba essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. Sez. 6-1 16-7-2018 n. 18797 Rv. 649791-01, Cass. Sez. 6-5 27-11-2017 n. 28308 Rv. 646428-01). Quindi, l’omesso esame delle risultanze istruttorie in sé, come lamentato dal ricorrente, non è denunciabile in termini di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
3 .Con il secondo motivo ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 1427, 1435 e 1438 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3 e vizio per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, a norma dell’art. 360 cp.c. n. 5’ il ricorrente evidenzia che la controparte non aveva indicato i concreti pregiudizi ai quali sarebbe stata esposta dall’incasso dell’assegno e non aveva affermato di avere ricevuto minacce d’incasso del titolo; lamenta che la sentenza non abbia considerato che COGNOME aveva versato ad COGNOME e COGNOME la complessiva somma di Euro 250.000,00 e che gli stessi COGNOME e COGNOME avevano partecipato fattivamente alla redazione
della scrittura privata 8 marzo 2013, non subendola né facendosene imporre il contenuto, nella lunga e dirimente trattativa. Sostiene perciò che la sentenza impugnata sia incorsa nella violazione e falsa applicazione degli artt. 1427, 1435 e 1438 cod. civ. e nell’ omesso esame di fatto storico, in quanto la mancanza di plausibilità delle conclusioni raggiunte deriva dall’omesso esame della trattativa documentalmente provata.
3 .1.Il motivo proposto ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. è inammissibile per le ragioni già esposte, vertendosi in ipotesi di ‘doppia conforme’.
Il motivo proposto ai sensi dell’art. 360 co. 1 n.3 cod. proc. civ. è a sua volta inammissibile, in quanto il vizio di violazione di legge consiste nell’erronea ricognizione, da parte della sentenza impugnata, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; invece l’allegazione di una e rronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. Sez. 1 5-2-2019 n. 3340 Rv. 652549-01, Cass. Sez. 1 13-10-2017 n. 24155 Rv. 645538-03). Nella fattispecie gli argomenti dei ricorrenti non individuano alcuna erronea ricognizione della fattispecie astratta nella pronuncia impugnata, ma sono volti in sostanza a proporre una diversa lettura del materiale probatorio al fine di escludere l’esistenza della violenza morale , per la mancanza di minaccia e di pregiudizio.
Richiamato i l principio secondo il quale l’apprezzamento del giudice di merito sull’esistenza della minaccia e sulla sua efficacia a coartare la volontà della persona è accertamento di fatto (Cass. Sez. 2 15-2-2007 n. 3388 Rv. 594742-01, per tutte), si osserva che, in ordine alla minaccia e al pregiudizio, la sentenza impugnata (pag. 6) ha
considerato che lo stesso attore aveva esposto fatti attestanti la sua conoscenza della situazione di indebitamento di COGNOME presso gli istituti di credito, dichiarando di essere al corrente che l’assegno di Euro 120.000,00 era scoperto e che lo stesso lo aveva implorato di non metterlo all’incasso , in quanto il protesto gli avrebbe causato la richiesta di rientro dalle banche; la valutazione che la condotta posta in essere dal COGNOME, il quale non aveva restituito l’assegno prima della conclusione del contratto nel febbraio 2013, integrasse minaccia di porre all’incasso l’assegno involge l’apprezzamento spettante al giudice di merito, il quale ha esattamente richiamato il principio secondo il quale anche la minaccia di fare valere un diritto integra violenza morale allorché sia diretta a conseguire danno ingiusto, e cioè un risultato abnorme e diverso rispetto a quello conseguibile attraverso l’esercizio del diritto (Cass. Sez. 1 9-10-2015 n. 20305 Rv. 637342-01, Cass. Sez. 3 23-8-2011 n. 17523 Rv. 619215-01). Ancora, con riguardo al versamento dell’importo di Euro 250.000,00 e alla partecipazione alla trattativa valorizzati dal ricorrente per escludere il vizio del consenso, la sentenza ha considerato (pag. 5) che il contratto del febbraio 2013 modificava in termini nettamente peggiorativi i precedenti accordi, in quanto consentiva a COGNOME di acquistare un solo immobile invece dei quattro dei precedenti impegni, con un mancato guadagno di Euro 1.187.000,00, e poneva a carico di COGNOME le spese di demolizione degli immobili non venduti, con applicazione di maggiore tassazione; quindi, con il giudizio di fatto ad essa spettante e non sindacabile in questa sede in quanto immune da vizi logici e giuridici, la Corte territoriale ha valutato che il pregiudizio sussisteva anche a fronte del pagamento dell’importo di Euro 250.000,00 e che la partecipazione alla trattativa da parte di COGNOME e COGNOME non escludeva che la loro volontà fosse viziata da violenza morale.
4 .Con il terzo motivo ‘ violazione dell’art. 112 c.p.c. per nullità del procedimento in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.’ il ricorrente lamenta che la sentenza gli abbia imputato di non avere giustificato la ragione per la quale aveva trattenuto l’assegno nel periodo delle trattative svolte fino al contratto del febbraio 2013; dichiara che sia stata la pretermissione assoluta del contenuto di quelle trattative ad avere impedito di apprezzare la giustificazione di tale condotta, in quanto la stessa sentenza aveva affermato che l’assegno era stato consegnato a garanzia della buona conclusione dell’affare . Aggiunge che la sentenza non ha considerato la condotta di COGNOME e COGNOME i quali, dopo avere avuto in restituzione l’assegno a seguito del contratto del febbraio 2013 e avere così potuto contestare l’accordo, avevano invece cominciato a dare esecuzione all’accordo stesso, dando incarico sia per le demolizioni, sia al AVV_NOTAIO di predisporre il rogito e anche di eseguire i frazionamenti necessari. Con riguardo a questi profili, il ricorrente lamenta l’omissione di pronuncia.
4.1.Il motivo è inammissibile in primo luogo per la ragione già esposta, riferita al fatto che l’omissione di pronuncia è prospettabile esclusivamente con riferimento a un capo di domanda.
Il motivo è inammissibile anche per la ragione, ulteriore e in concreto anche assorbente, che si fonda su una lettura parziale e scorretta della sentenza impugnata. La sentenza ha espressamente considerato (pag.7) che l’assegno era stato consegnato in garanzia, che COGNOME aveva provveduto alle obbligazioni di cui alla garanzia e che pertanto l’assegno era ingiustificatamente trattenuto da COGNOME, il quale non aveva obiettivo legittimo, in quanto il trattenimento dell’assegno perseguiva il fine di costrin gere COGNOME alla conclusione di contratto allo stesso sfavorevole rispetto ai precedenti. La sentenza ha altresì espressamente dichiarato (pag.8) che il comportamento tenuto da COGNOME e COGNOME in epoca successiva alla conclusione del
contratto non poteva avere la valenza di incidere sulla validità dello stesso, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, evidenziando altresì che i convenuti non avevano dato esecuzione all’obbligazione di trasferimento della proprietà . In questo modo, la sentenza ha ampiamente esaminato proprio le argomentazioni delle quali il ricorrente lamenta in modo inammissibile l’omesso esame.
5. Con il quarto motivo ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 1438 c.c. in relazione all’art. 360 c.c. n.3′ il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia riconosciuto l’esistenza della violenza morale sulla base della deposizione resa dall’AVV_NOTAIO, il quale aveva riferito di avere appreso tale richiesta in epoca non sospetta dai convenuti, sulla base della deposizione del AVV_NOTAIO, la quale aveva confermato che più volte gli COGNOME avevano chiesto la restituzio ne dell’assegno, sulla base della deposizione dell’AVV_NOTAIO, la quale aveva dichiarato di essere stata interpellata dagli RAGIONE_SOCIALE per verificare se fosse possibile bloccare l’assegno, sulla base della ‘mail’ dell’AVV_NOTAIO, nella quale la stessa ave va riferito di essere stata contattata dagli RAGIONE_SOCIALE per ottenere la restituzione del titolo; lamenta che la sentenza abbia dichiarato che dalle dichiarazioni testimoniali risultava che vi erano stati contrasti tra le parti per la restituzione del titolo, che era stato restituito solo dopo la stipula del contratto di febbraio 2013 e che quindi era dimostrato che COGNOME aveva rifiutato senza giustificato motivo la restituzione del titolo. Specificamente, in ordine alla deposizione del teste COGNOME, il ricorrente rileva trattarsi di testimonianza de relato ex parte, priva in sé di valore probatorio, in ordine alla deposizione del teste COGNOME, sostiene che sia stata letta erroneamente e, in ordine alla deposizione dei testi COGNOME e COGNOME, ne sostiene la valutazione in termini perplessi. Quindi, richiamate ulteriormente le trattative non esaminate dalla Corte d’appello, il ricorrente sostiene che la Corte abbia mal governato il suo
potere di ricostruire il fatto, in quanto gli elementi probatori acquisiti non consentivano di configurare minaccia di COGNOME tesa a coartare la volontà degli COGNOME.
5.1.Il motivo è inammissibile, in quanto volto esclusivamente a ottenere una diversa ricostruzione in fatto della vicenda, sulla base di una proposta di lettura delle risultanze probatorie diversa da quella eseguita dal giudice di merito, che è totalmente al di fuori dei limiti del giudizio di legittimità.
Si deve fare applicazione del principio secondo il quale, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativasecondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce a una differente risultanza probatoria (come, ad esempio valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta a una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile solo nei rigorosi limiti posti dall’art. 360 co. 1 n.5 cod. proc. civ. (Cass. Sez. U 30-92020 n. 20867 Rv. 659037-02; Cass. Sez. 1 1-3-2022 n. 6774 Rv. 664106-01, Cass. 6-1 17-1-2019 n. 1229 Rv. 652671-01).
Nella fattispecie tutti gli argomenti svolti dal ricorrente sono esclusivamente finalizzati a sostenere che la corte d’appello abbia malamente ricostruito i fatti, per cui non sono apprezzabili. Neppure la deduzione sulla testimonianza de relato actoris , unica che in astratto potrebbe giustificare la lamentata violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., è in concreto fondata, perché la sentenza non ha attribuito rilievo
a quella testimonianza in sé, ma l’ha soltanto indicata quale uno degli elementi emersi in causa.
6 .Con il quinto motivo ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 183 co. 6 n. 2. Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3’ , il ricorrente evidenzia che all’udienza del 13-12017 aveva confermato la propria opposizione all’acquisizione dei documenti che il consulente d’ufficio aveva dichiarato mancanti ai fini dell’esecuzione della perizia e lamenta che non sia stato rilevato né dal giudice di primo grado né dal giudice d’appello che la documentazione avrebbe dovuto essere offerta dai convenuti almeno entro il termine per il deposito delle memorie ex art. 183 co.6 n. 2 cod. proc. civ. Lamenta che, in violazione del principio secondo il quale il consulente d’ufficio non può avvalersi di documenti non prodotti ritualmente dalle parti, la sentenza impugnata abbia dichiarato che il consulente d’ufficio non era stato autorizzato ad acquisire documenti nuovi, ma a procedere all’integrazione di documenti già esistenti in atti, considerando che aveva acquisito le tavole progettuali e i piani di ammortamento allegati ai contratti di mutuo ed erano stati tempestivamente depositati i contratti di mutuo e le pratiche urbanistiche.
6 .1.Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 co.1 n. 3 e 6 cod. proc. civ., che si risolve in una carenza di specificità tale da non consentire di fare emergere l’errore di diritto lamentato.
Si deve fare applicazione del principio secondo il quale il consulente d’ufficio, nei limiti delle indagini assegnategli dal giudice e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti -non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro caricotutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti, a condizione che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento
della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio (Cass. Sez. U. 1 -2-2022 n. 3086 Rv. 663786-3; a seguito della pronuncia delle Sezioni Unite, Cass. Sez. 2 21-7-2023 n. 21903 Rv. 668558-01, per tutte). Nella fattispecie, acquisito il dato che erano stati prodotti nei termini dalla parte interessata pratiche urbanistiche e contratti di mutuo, il ricorrente non allega a quali fini il consulente d’ufficio abbia ritenuto di acquisire anche le tavole progettuali allegate alle pratiche urbanistiche e i piani di ammortamento allegati al contratto di mutuo; quindi, non è consentito verificare se il consulente d’ufficio sia incorso nella violazione di legge lamentata, che ricorre, secondo i principi posti dalle Sezioni Unite, soltanto nel caso di acquisizione di documenti volti a dimostrare i fatti principali che era onere della parte provare.
7.C on il sesto motivo ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, a norma dell’art. 360 c.p.c., n.5’ il ricorrente censura i parametri utilizzati per il risarcimento del danno. In primo luogo, esclude che il danno da non commerciabilità del bene potesse essere ritenuto in re ipsa, in quanto ai fini risarcitori il danno deve essere allegato e provato, e lamenta che la sentenza impugnata non abbia giustificato la conferma delle somme liquidate in via di equità dal primo giudice. Rileva che la sentenza impugnata non ha dato ragione di un fatto decisivo emerso nel corso del giudizio, riferito al fatto che uno dei fabbricati previsti nel progetto edificatorio era stato edificato ed era in uso a terzi; evidenzia che questo edificio avrebbe dovuto avere non un costo teorico, come quantificato dal consulente d’ufficio, ma effettivo, che i convenuti non avevano provato; lamenta che non sia stato
acquisito l’atto di vendita a terzi, che avrebbe destituito di fondamento le richieste di risarcimento del danno.
7 .1.Il motivo proposto ai sensi dell’art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ. per lamentare l’omesso esame del fatto della reale edificazione di un fabbricato è inammissibile per la ragione, già esposta, che si verte in ipotesi di ‘ doppia conforme ‘ e quindi non può essere esaminato.
Nella parte in cui lamenta che erroneamente la sentenza impugnata abbia ritenuto in re ipsa il danno da incommerciabilità del bene, la pronuncia si sottrae alle critiche del ricorrente. Secondo l’indirizzo al quale si deve dare continuità, in tema di preliminare di vendita immobiliare, al promittente venditore che agisce per la risoluzione del contratto e per il risarcimento del danno, per il caso di inadempimento del promissario acquirente, deve essere liquidato il pregiudizio per la sostanziale incommerciabilità del bene nella vigenza del preliminare, la cui sussistenza è in re ipsa e non necessita di prova (Cass. Sez. 2 31-5-2017 n. 13792 Rv. 644471-01, Cass. Sez. 2 10-32016 n. 4713 Rv. 639356-01, Cass. Sez. 3 3-12-2009 n. 25411 Rv. 610360-01, Cass. Sez. 2 5-11-2001 n. 13630 Rv. 549989-01). In effetti, non risulta necessario che il promittente venditore dimostri di avere perso delle concrete possibilità di vendita dell’immobile, perché è proprio la vigenza del preliminare a escludere la possibilità di vendita e cioè a comportare la sostanziale incommerciabilità.
8. Con il settimo motivo ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 15 d.p.r. 380/2001 in relazione all’art. 360 c.p.c. n.3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. n.3’ il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che spettasse ad COGNOME e COGNOME il risarcimento del danno relativo al costo di demolizione degli immobili. Evidenzia che erano stati COGNOME e COGNOME ad offrirsi di eseguire la demolizione e che l’art. 15 d. P.R. 380/2001 non richiede alcuna demolizione, ma pone solo un termine
per iniziare i lavori e altro termine per concluderli. Lamenta altresì che non sia stata accolta la sua tesi sul concorso di colpa dei danneggiati , evidenziando che i convenuti, se avessero effettivamente voluto evitare la demolizione, avrebbero potuto fruire di una proroga del permesso a costruire.
8.1. Il motivo è infondato.
La circostanza che COGNOME e COGNOME si fossero assunti i costi di demolizione non esclude che tali costi fossero per loro danno risarcibile, in quanto essi si erano assunti tali costi con la scrittura del febbraio 2013 annullata per vizio della volontà, mentre in forza degli accordi precedenti quei costi erano a carico di COGNOME. Per tale ragione non può neppure ritenersi che la circostanza che essi abbiano proceduto alla demolizione, anziché a chiedere una proroga per l’inizio dei lavori edilizi, comporti un loro concorso di colpa, per cui non è ravvisabile violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 cod. civ. Per di più, la sentenza impugnata , sulla base dell’accertamento in fatto a essa spettante, ha dichiarato che la demolizione era imposta dalla Pubblica Amministrazione per conservare la validità della concessione edilizia e gli argomenti del ricorrente, in quanto svolti in termini generali, non intaccano l’accertamento in fatto così eseguito.
9. Con l’ottavo motivo ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 1225 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, a norma dell’art. 360 c.p.c. n. 5’ il ricorrente lamenta che sia stato riconosciuto il danno riferito al pagamento degli interessi passivi sui mutui non estinti a causa dell’inadempimento del promittente acquirente, non trattandosi di danni prevedibili; sostiene altresì che la data di partenza del calcolo degli interessi dovesse essere posta al 1612015, in quanto l’inadempimento era divenuto definitivo a quella data.
9 .1.Premessa l’inammissibilità del motivo proposto ex art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ. per la ‘doppia conforme’, non è ravvisabile la violazione o falsa applicazione dell’art. 1225 cod. civ. La sentenza impugnata, sulla base del presupposto non censurato che si vertesse in ipotesi di danno per inadempimento derivante da colpa del debitore, ha espressamente (pag.10) ed esattamente richiamato il principio secondo il quale l’imprevedibilità alla quale fa riferimento l’art. 1225 cod. civ. costituisce un limit e non all’esistenza del danno, ma alla misura del suo ammontare, determinando la limitazione del danno risarcibile a quello prevedibile non da quello specifico debitore, ma avendo riguardo alla prevedibilità astratta inerente a una determinata categoria di rapporti, sulla scorta delle regole ordinarie di comportamento dei soggetti economici e, cioè, secondo un criterio di normalità in presenza delle circostanze di fatto conosciute (Cass. Sez. 2 29-7-2011 n. 16763 Rv. 618742-01 richiamata nella sentenza impugnata; nello stesso senso Cass. Sez. 2 14-11-2019 n. 29566 Rv. 656187-01, Cass. Sez. L 31-7-2014 n. 17460 Rv. 631909-01). La valutazione che nella fattispecie, per quella categoria di rapporto, rientrassero nei danni prevedibili gli importi degli interessi passivi sui mutui non estinti a causa dell’ inadempimento è valutazione di fatto incensurabile in sede di legittimità (cfr. Cass. Sez. 2 8-9-2017 n. 20961 Rv. 645422-02).
In ordine alla decorrenza degli interessi, il motivo è inammissibile ex art. 366 co. 1 n. 6 cod. proc. civ. in quanto la sentenza impugnata non esamina la relativa questione e quindi il ricorrente avrebbe dovuto specificamente indicare in quali atti l’aves se posta perché, in mancanza di tale specificazione, la questione risulta nuova e non può essere esaminata (Cass. Sez. 2 9-8-2018 n. 20694 Rv. 650009, Cass. Sez. 61 13-6-2018 n. 15430 Rv. 649332-01).
10. Con il nono motivo ‘ violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 115 del 2002 in relazione all’art. 360 c.p.c . n. 3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 91 in relazione all’art. 360 c.p.c. n.3’ il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia confermato la pronuncia di primo grado in punto spese di lite. Sostiene che la sentenza di primo grado aveva liquidato le spese facendo riferimento al valore della causa indicato dai convenuti in Euro 1.500.000,00 erroneamente, perché quel valore era stato dichiarato al fine del pagamento del contributo unificato e perciò a fini esclusivamente fiscali, mentre il valore della causa doveva essere parametrato alla somma effettivamente liquidata, anziché a quella domandata.
10.1.Il motivo è infondato.
I convenuti avevano proposto in via riconvenzionale anche domanda, accolta, di dichiarazione di risoluzione dei contratti 16-32010, 7 agosto 2012 e 28 agosto 2012 che integrava domanda distinta da quella risarcitoria e doveva essere alla stessa cumulata ai fini di determinare il valore della causa (Cass. Sez. 3 17-1-2007 n. 967 Rv. 595312-01); quei contratti preliminari prevedevano la vendita del compendio immobiliare per l’importo di Euro 1.500.000 e quindi ai sensi dell’art. 12 cod. proc. civ. era quello il valore da considerare al fine del valore della causa.
RICORSO INCIDENTALE
11.Con il primo motivo di ricorso incidentale ‘insufficiente e/o inesatta e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo, violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 nn. 3, 4 e 5 cod. proc. civ. con riferimento all’art. 2056 cod. civ.)’ i ricorrenti in via incidentale sostengono che, nonostante il periodo di incommerciabilità del bene da tenere in considerazione fosse quello intercorrente dalla vigenza del preliminare fino alla domanda di risoluzione, la sentenza lo abbia erroneamente circoscritto in tre anni,
sulla base della considerazione che per volontà delle parti con il contratto del 2013 i precedenti preliminari erano stati risolti; evidenziano che lo stato di incommerciabilità è perdurato dal 10-22010, data di stipula del primo preliminare, fino al 17-1-2015, data in cui l’inadempimento è divenuto definitivo a fronte della domanda di risoluzione proposta dai promittenti venditori; rilevano che fare riferimento alla data di sottoscrizione del contratto di febbraio 2013 significa smentire e contraddire l’a ccertamento sul fatto che la scrittura fosse affetta da vizio del consenso.
11.1.Il motivo formulato ex art. 360 co.1 n.5 cod. proc. civ. censurando l’insufficienza della motivazione è inammissibile perché, a seguito della riformulazione della disposizione ex art. 54 d.l. 83/2012 conv. in legge 134/2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione della sentenza resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 co.6 Cost., che viene violato soltanto allorché la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente o si fondi su contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o risulti perplessa e obiettivamente incomprensibile (Cass. Sez. 1 3-3-2022 n. 7090 Rv. 664120-01, Cass. Sez. 6-3 25-9-2018 n. 22598 Rv. 650880-01, Cass. Sez. 3 12-10-2017 n. 23940 Rv. 645828-01).
Per il resto il motivo è infondato, dovendosi richiamare quanto sopra esposto al punto 6.1 in ordine al danno da sostanziale incommerciabilità del bene, spettante al promittente venditore nel periodo della vigenza del contratto preliminare per il fatto che l’esistenza del contratto preliminare di per sé comporta la perdita delle possibilità di vendita del bene. Ne consegue che tale danno viene meno nel momento in cui viene meno il vincolo posto dal contratto preliminare, per qualsiasi ragione e quindi anche, nella fattispecie, in forza del contratto del febbraio 2013 poi annullato per il vizio della
volontà. Infatti, la circostanza che quel contratto fosse annullabile non incideva sul dato che producesse i suoi effetti, tra i quali quelli di risolvere i precedenti preliminari, per cui dal momento della conclusione di quel contratto i proprietari già potevano liberamente disporre degli immobili oggetto dei precedenti preliminari.
12. Con il secondo motivo di ricorso incidentale ‘ insufficiente e/o inesatta e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo, violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 nn. 3, 4 e 5 cod. proc. civ. con riferimento agli artt. 2056 e 1226 cod. civ.) ‘ i ricorrenti in via incidentale lamentano che il danno da incommerciabilità sia stato quantificato senza considerare che il consulente d’ufficio aveva determinato il valore del compendio immobiliare al gennaio 2015 in Euro 532.510,79, mentre il prezzo inizialmente concordato dalle parti era di Euro 1.500.000,00; quindi sostengono che la differenza, pari a Euro 967.489,79, avrebbe dovuto costituire il parametro di riferimento.
12.1.Il motivo proposto ex art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ. per lamentare l’insufficiente motivazione è inammissibile per le ragioni sopra esposte, non essendo l’insufficiente motivazione denunciabile in sè.
Il motivo proposto ex art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. sostenendo la violazione o falsa applicazione degli artt. 2056 e 1226 cod. civ. è a sua volta inammissibile, in quanto gli argomenti svolti dai ricorrenti incidentali non sono finalizzati a fare emergere errori nell’interpretazione o applicazione delle disposizioni, ma solo a sostenere che il danno avrebbe dovuto essere liquidato nel diverso modo, più favorevole, da loro stessi proposto. Però la sentenza impugnata (pag.10) ha anche espressamente preso in esame la tesi degli appellanti incidentali secondo la quale il danno avrebbe dovuto essere parametrato alla differenza tra il prezzo concordato in sede di
preliminare e il valore del compendio alla data di proposizione della domanda; con argomentazione immune da vizi logici e giuridici la sentenza ha evidenziato che tale parametro non era utilizzabile nella fattispecie, nella quale il danneggiato era rimasto proprietario del bene e perciò aveva subito solo i danni riferiti alla non commerciabilità del bene nella vigenza del preliminare.
13.In conclusione il ricorso principale e il ricorso incidentale vanno integralmente rigettati e, stante la reciproca soccombenza, vanno compensate le spese del giudizio di legittimità.
In considerazione dell’esito del ricorso principale e del ricorso incidentale, a i sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il rispettivo ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; compensa le spese del giudizio di legittimità.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali di ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto rispettivamente per il ricorso principale e per il ricorso incidentale ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione