Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14182 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14182 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 27/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27172/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME ricorrenti –
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimata – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI POTENZA n. 465/2021, depositata il 08/07/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero innanzi al Tribunale di Matera NOME COGNOME per sentirlo condannare al rilascio dell’immobile da quest’ultimo occupato sine titulo , oltre al risarcimento dei danni.
A sostegno della loro pretesa, esposero gli attori di aver acquistato con atto pubblico del 27.05.2005 l’intero complesso immobiliare dalla Curatela fallimentare della società RAGIONE_SOCIALE, del quale faceva parte anche l’appartamento sito al secondo piano occupato dal convenuto in virtù di un contratto preliminare stipulato con la società RAGIONE_SOCIALE in data 27.04.1989, società che non risultava essere proprietaria dell’appartamento, avendo essa venduto un immobile di proprietà altrui (della RAGIONE_SOCIALE, ex art 1478 e 1479 cod. civ.
Il Tribunale di Matera – ritenendo che NOME COGNOME avesse stipulato un contratto preliminare di compravendita con la RAGIONE_SOCIALE in relazione ad un immobile di proprietà di un altro soggetto giuridico – accolse la domanda e condannò il convenuto al rilascio dell’appartamento, oltre al pagamento in favore degli attori di €. 4.680,00 a titolo di risarcimento dei danni per l’illegittima occupazione.
La Corte d’Appello di Potenza, in accoglimento del gravame proposto dal convenuto, ha ribaltato l’esito della lite e rigettato la domanda degli attori dichiarando la nullità del contratto del 27.05.2005.
Per giungere a tale conclusione, la Corte di merito ha osservato:
-che la domanda degli attori andava qualificata come di rivendicazione, con la conseguenza che spettava ad essi fornire la prova della proprietà, dimostrando un acquisto a titolo originario;
che il contratto stipulato dal convenuto NOME COGNOME il 24.04.1989 doveva essere qualificato come vendita di cosa futura, posto che varie ragioni inducevano a considerare che l’immobile venduto dalla RAGIONE_SOCIALE non fosse «cosa altrui» (cioè proprietà della società RAGIONE_SOCIALE, in quanto venduto da un unico titolare sostanziale, stante il collegamento tra le due società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE;
che di conseguenza, doveva essere dichiarato nullo l’atto di compravendita concluso tra i due appellati e la Curatela della RAGIONE_SOCIALE per mancanza dell’oggetto, poiché si trattava di un immobile già venduto al Calandriello.
Avverso la suddetta pronuncia propongono ricorso per Cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME con tre motivi.
Resiste NOME COGNOME con controricorso.
A séguito della proposta ex art. 380 bis cpc del Consigliere Delegato, i ricorrenti hanno chiesto la decisione. Sono pervenute memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce violazione o falsa applicazione ‘ di norme di diritto ‘ e omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione (art. 360, comma 1, nn. 3) e 5) cod. proc. civ.). I ricorrenti rilevano che alla base della decisione della Corte territoriale vi sia la convinzione dell’esistenza di una «super società di fatto» occulta e/o di un centro unico di imputazione composto da RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e altre società facenti capo ad un unico titolare sostanziale. A loro dire, perché possa parlarsi di super società di fatto o di centro unico di imputazione si deve ravvisare, tra l’altro, la simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un’unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico,
purché ciò venga accertato in modo adeguato. A giudizio dei ricorrenti, l’accertamento richiesto non può limitarsi a dimostrare l’esistenza di un collegamento economico funzionale, o tantomeno azionario, tra le varie società del gruppo, come invece si legge nella motivazione della Corte d’Appello, che non ha neanche condotto apposita attività istruttoria né in ordine all’esistenza di un frazionamento di impresa, né in ordine all’abusività dello stesso, né riguardo all’esistenza o meno dell’appartamento ogge tto del preliminare alla data della sottoscrizione. Deve esserci la prova dell’esistenza di alcuni elementi essenziali nei rapporti interni tra le parti: l’accordo avente ad oggetto l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili, il fondo comune, l’ affectio societatis , l’alea comune dei guadagni e delle perdite, nonché l’esteriorizzazione del vincolo sociale.
Con il secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione di norme di diritto, erroneo inquadramento della fattispecie de qua in quella prevista dall’art. 1472 cod.. civ.(vendita di cose future). I ricorrenti osservano che il contratto di cui si discute non sia un contratto definitivo, come affermato dalla Corte territoriale, bensì un preliminare di vendita improprio, ossia ad effetti anticipati (consegna dell’immobile, pagamento del prezzo), e privo di effetti immediatamente traslativi del diritto di proprietà. Tanto si desumerebbe dal tenore letterale della scrittura (avente peraltro data incerta, in quanto non registrata e non trascritta), da cui emerge che la società promittente venditrice ha assunto su di sé la responsabilità della venuta ad esistenza del bene in vista del contratto definitivo.
Con il terzo motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione (art. 360, comma 1, n. 5) cod.. proc. civ.) -Mancata trascrizione del contratto -Non opponibilità al terzo acquirente. I ricorrenti lamentano che, anche qualora la scrittura
privata del 24.04.1989 venisse considerata come un contratto di vendita di cosa futura, essa non è mai stata oggetto di trascrizione nei registri immobiliari ( ex art. 2645 bis cod. civ.) e, pertanto, non risulterebbe opponibile ai terzi acquirenti in buona fede, difettando del requisito di cui agli artt. 2643, 2644 e 2645 cod. civ.
I primi due motivi sono inammissibili.
Secondo il costante orientamento di questa Corte di legittimità, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (tra le varie, v. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9752 del 18/04/2017).
Nel caso in esame, la Corte territoriale, ha utilizzato anche un’altra ratio decidendi del tutto autonoma, fondata sulla qualificazione della domanda quale rivendicazione e sul mancato assolvimento della cd. probatio diabolica da parte degli attori (v. sentenza pag. 4).
Ebbene, come eccepito anche in controricorso a pag. 9, detta autonoma ratio non risulta censurata (ed è sintomatico che nulla replicano i ricorrenti in memoria).
Sulla scorta del citato principio di diritto, va quindi dichiarata l’inammissibilità per difetto di interesse delle censure contro l’altra ratio (sollevate con i primi due motivi di ricorso) e resta logicamente assorbito l’esame del terzo motivo di ricorso.
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna solidale dei ricorrenti al pagamento delle spese.
Non applicano le disposizioni del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., atteso che il giudizio non è stato definito in conformità alla proposta del Consigliere Delegato.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile;
condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in €. 2.800,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2024.