Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16374 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16374 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/06/2025
Oggetto: Annullamento o nullità vendita Assenza procura
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16298/2020 R.G. proposto da COGNOME NOME, in proprio e quale procuratrice di COGNOME NOMECOGNOME entrambe rappresentate e difese dall’avv. NOME COGNOME presso il cui studio in Roma, INDIRIZZO sono elettivamente domiciliate;
-ricorrente –
contro
COGNOME e COGNOME, rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME e prof. avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrenti –
COGNOME ;
-intimato – avverso la sentenza n. 1051 della Corte d’Appello di Venezia, pubblicata il 15/3/2019 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/2/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
1. COGNOME NOME e COGNOME NOME convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Rovigo, COGNOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, esponendo che, in data 28/4/1997, avevano conferito al fratello NOME, a COGNOME COGNOME e a COGNOME NOME procura a vendere il fondo Casilina, di cui erano tutti comproprietari per successione, e che i procuratori avevano venduto il bene, sottoposto a sequestro in favore delle medesime attrici, con contratto del 17/12/1997 a NOME e NOME, senza esplicitare il rapporto di coniugio tra procuratori e acquirenti, sicché chiedevano la pronuncia di annullamento e/o di nullità del contratto del 17/12/1997 e il risarcimento del danno. Costituitisi in giudizio, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME eccepirono la prescrizione quinquennale e decennale dell’azione e chiesero la cancellazione del sequestro sul bene.
Con sentenza n. 476/2012 del 31/10/2012, il Tribunale di Rovigo dichiarò prescritta l’azione.
Il giudizio di gravame, instaurato da COGNOME NOME e COGNOME NOME, si concluse, nella resistenza di COGNOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, con la sentenza n. 1051/2019, pubblicata il 15/3/2019, con la quale la Corte d’Appello di Venezia rigettò l’appello, reputando non provato, ai fini della prescrizione, che le rappresentate avessero scoperto la data del rapporto di coniugio solo nel 2008 e non rigorosa la prova della data della scoperta del dolo.
Quanto poi alla imprescrittibilità dell’azione di nullità, i giudici hanno evidenziato come le deduzioni poste a sostegno dell’azione
fossero tutte incentrate sugli artt. 1394 e 1395 cod. civ., ossia sul conflitto di interessi e sul contratto con sé stesso, fondanti l’annullabilità del contratto, e come non vi fosse prova dell’intervenuta interruzione della prescrizione.
Contro la predetta sentenza, NOME COGNOME in proprio e quale procuratrice di NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati anche con memoria. COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME resistono con controricorso, illustrato anche con memoria, mentre COGNOMENOME è rimasto intimato.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso è lamentata la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano omesso di pronunciarsi sulla domanda di risarcimento per violazione del mandato, proposta in primo grado e reiterata in appello nei confronti dei procuratori sul presupposto che questi, attraverso l’interposizione fittizia delle mogli, avessero venduto a sé stessi, in violazione dell’art. 1395 cod. civ., che avessero inserito nell’atto di vendita l’obbligo di cancellazione del provvedimento di sequestro conservativo a favore delle attrici non previsto nella procura e avessero omesso di rendere il conto del proprio operato e di incassare una parte del prezzo di vendita. Detta domanda non poteva considerarsi assorbita dalla pronuncia di prescrizione dell’azione di annullamento, in quanto fondata sulla violazione del rapporto di mandato tra rappresentante e rappresentato avente natura contrattuale.
Col secondo motivo, subordinato all’ipotesi in cui la decisione sulla domanda risarcitoria venisse considerata esistente in quanto assorbita dalla pronuncia di intervenuta prescrizione, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1395, 1218 e 2946 cod.
civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito implicitamente considerato prescritta la domanda di risarcimento dei danni contro i procuratori, errando sulla qualificazione della responsabilità a carico di essi. Ad avviso delle ricorrenti, occorreva, infatti, distinguere tra rapporto interno (di gestione, ossia di mandato) e rapporto esterno (di rappresentanza, ossia di procura), strettamente collegati tra loro. L’azione risarcitoria era stata fondata sulla violazione del primo, dovuta al fatto che i rappresentanti avevano stipulato un contratto con sé stessi e avevano inserito nel contratto un obbligo di cancellazione della trascrizione del sequestro conservativo ottenuto da esse nel 1987, benché non prescritto nella procura, e avevano omesso di rendere il conto della gestione. Tale forma di responsabilità per inadempimento era soggetta alla prescrizione decennale decorrente dalla data dell’atto di vendita, ossia dal 17/12/1997, il cui termine era stato interrotto con la lettera di richiesta del risarcimento ricevuta dai convenuti il 27/11/2007, con conseguente sua tempestività, essendo stato il giudizio di primo grado avviato il 26-27-29/7/2008.
3.1 Preliminarmente, va rigettata l’eccezione di tardività del ricorso sollevata dai controricorrenti, per essere stato lo stesso proposto successivamente al decorso del termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza.
Questa Corte ha, infatti, già avuto modo di affermare che, in tema di impugnazioni, la modifica dell’art. 327 cod. proc. civ., introdotta dalla legge 18 giugno 2009 n. 69, che ha sostituito il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza all’originario termine annuale, è applicabile, ai sensi dell’art. 58, comma 1, della predetta legge, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un
successivo grado di giudizio (Cass., Sez. 2, 17/04/2012, n. 6007; Cass., Sez. 1, 5/10/2012, n. 17060), mentre la riduzione del periodo di sospensione feriale da quarantasei a trentuno giorni, introdotta dall’art. 16, comma 1, del d.l. n. 132 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 162 del 2014, si applica, ai fini del computo dei termini di cui agli artt. 325 e 327 cod. proc. civ., alle impugnazioni delle sole decisioni pubblicate o notificate a partire dal 1° gennaio 2015 (Cass., Sez. 3, 23/6/2021, n. 17949).
Nella specie, risulta dalle stesse deduzioni delle ricorrenti che l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado fu notificato ai convenuti il 26-27-29 luglio 2008 e, dunque, prima del 4 luglio 2009, data a decorrere dalla quale andava applicato il termine di sei mesi in luogo di quello annuale, con la conseguenza che, essendo stata la sentenza impugnata pubblicata il 15/3/2019 ed essendo stato il ricorso mandato per la notifica il 16/6/2020, deve escludersi la sua intempestività.
Quanto alle deduzioni sulla genericità del ricorso, le stesse non possono essere valutate sulla base dei generali contenuti del ricorso, ma richiedono una valutazione individualizzata su ciascuna delle censure.
3.2 Venendo al merito, i primi due motivi, da trattare congiuntamente in quanto strettamente connessi, afferendo al medesimo thema decidendum riguardante la domanda di risarcimento correlata al rapporto di mandato, sono fondati.
Va innanzitutto osservato come la sentenza impugnata riporti, tra le conclusioni rassegnate dalle appellanti, anche la domanda di accertamento della violazione, da parte di NOME COGNOME e NOME COGNOME dei poteri conferiti con la procura autenticata il 28-29/4/1997 e quella di loro condanna al risarcimento dei danni, nella misura di euro 90.000,00, ‘da essi provocati con il comportamento tenuto’, già proposta davanti al Tribunale allorché
era stata rilevata, a fondamento della stessa, la mancata evidenziazione del rapporto di coniugio tra i procuratori e le acquirenti, la sussistenza di un sequestro sul fondo e la violazione degli artt. 1394, 1395 e 1418 cod. civ., ed esitata nella pronuncia di rigetto.
A fronte di ciò, i giudici di merito hanno circoscritto la decisione alla sola intervenuta prescrizione dell’azione di annullamento e nullità dell’atto pubblico di vendita del 17/12/1997, sostenendo, al riguardo, l’infondatezza tanto del primo motivo d’appello -afferente alla data di scoperta del rapporto di coniugio tra i rappresentanti e le acquirenti e, dunque, del dolo -, in quanto non era, all’uopo, sufficiente la mera produzione del certificato anagrafico della famiglia in assenza di altre deduzioni istruttorie, quanto del secondo, sia con riferimento alla parte in cui veniva evidenziata l’imprescrittibilità dell’azione di nullità ex art. 1422 cod. civ., giacché le deduzioni attoree sulla sussistenza del conflitto di interessi e di un contratto con sé stesso conducevano all’annullabilità del contratto, soggetta, in quanto tale, alla prescrizione decennale, la quale non era stata validamente interrotta ex art. 2943 cod. civ., essendo stato il giudizio introdotto solo nel 2008, dieci anni dopo l’atto di vendita del 17/12/1997, sia con riferimento alla parte afferente alla rilevanza della commissione del reato di cui all’art. 388 cod. pen., non sussistendo alcuna norma che obbligasse alla cancellazione del sequestro a pena di nullità e non risultando alcun ordine dell’autorità in tal senso.
3.3 Nessuna decisione è stata, invece, assunta in relazione alla domanda risarcitoria fondata sulle dedotte condotte poste in essere dai rappresentanti (contratto con sé stesso e in conflitto di interessi, inserimento della clausola di cancellazione del sequestro in violazione del contenuto della procura e omesso rendimento del
conto), le quali non possono, però, che essere ricondotte al rapporto interno tra le parti.
Infatti, la procura, in quanto negozio unilaterale con il quale l’interessato investe, di fronte ai terzi, un soggetto del potere di rappresentarlo (in tutti gli atti che lo concernono, se generale e in determinati atti, se speciale), esaurisce la sua funzione, quale fonte di rappresentanza, nella mera autorizzazione, di fronte ai terzi, del rappresentante ad agire in nome e in vece del rappresentato e non può essere confusa con il sottostante rapporto di gestione, che lega l’agente all’interessato, il quale può essere anche di mandato, di società, o di lavoro, sicché la stessa si caratterizza per la sua indipendenza ed astrattezza, in quanto, come atto concettualmente a sé stante, è idonea a conferire il potere di rappresentanza, qualunque sia il rapporto interno che intercede tra il rappresentante ed il rappresentato, che deve distinguersi da essa (Cass., Sez. 1, 19/05/1962, n. 1158).
Proprio in quanto si risolve nel mero conferimento ad un soggetto del potere di compiere un atto giuridico in nome di un altro soggetto, la procura implica giocoforza la sussistenza di un rapporto sottostante, in forza o in funzione del quale la stessa è rilasciata (Cass., Sez. 2, 30/5/2006, n. 12848), sicché il suo conferimento e il suo concreto esercizio da parte del soggetto che ne è investito costituiscono, in mancanza di deduzioni in ordine alla riconducibilità della stessa a rapporti gestori attinenti alla rappresentanza di enti giuridici o imprese od altre situazioni o rapporti pure in astratto compatibili con il suo rilascio, elementi sufficienti per affermare la sussistenza di un rapporto di mandato ad essa sotteso (Cass., Sez. 3, 06/08/2013, n. 18660; Cass., Sez. 2, 30/5/2006, n. 12848), restando indifferente, invece, il requisito di forma, atteso che il mandato spiega i suoi effetti nel rapporto interno tra rappresentato e rappresentante, dando luogo ad un
rapporto meramente obbligatorio, mentre gli effetti del contratto di compravendita immobiliare in capo al rappresentato si producono in forza della sola procura, sicché la soluzione di estendere solo a questa e non anche al primo l’obbligo della forma solenne trova una solida base proprio nel collegamento necessario, di tipo giuridico e funzionale, che è dato rinvenire tra il contratto base, sottoposto all’onere di forma, e l’atto di conferimento della procura (Cass., Sez. 2, 30/5/2006, n. 12848; Cass., Sez. 3, 02/09/2013, n. 20051; Cass., Sez. 3, 28/10/2016, n. 21805; Cass., Sez. 6-3, 13/12/2021, n. 39566).
Posto allora che il mandatario esplica attività giuridica non solo per conto, ma anche in nome del mandante e che, pertanto, al mandato si aggiunge anche la rappresentanza, è evidente come l’intera situazione venga ad essere regolata sia dalle norme sul mandato (art. 1704 cod. civ. e ss.), sia da quelle concernenti la rappresentanza (art. 1387 e ss. cod. civ.), che disciplinano rispettivamente il lato interno e quello esterno del rapporto (Cass., Sez. 3, 19/08/1991, n. 8882).
Ciò comporta che, in una siffatta situazione, possono concorrere tanto l’annullamento del contratto concluso dal rappresentante con sé stesso ai sensi dell’art. 1395 cod. civ., quanto l’azione di danni per l’infedele esecuzione del mandato ai sensi dell’art. 1710 cod. civ., ben potendo il rappresentato rispettivamente esercitare sia l’azione di annullamento del contratto concluso con sé stesso dal mandatario con rappresentanza e senza i necessari poteri, sia l’azione scaturente da responsabilità del mandatario infedele verso il mandante, avente fonte nel contratto di mandato e causa nella violazione del generale principio di diligenza che il mandatario deve osservare nell’esecuzione del mandato conferitogli, trattandosi di azioni fondate ciascuna su titolo distinto ed autonomo e soggette a differente regime di prescrizione che, nella prima, è quinquennale
e, nella seconda, decennale, siccome discendente da responsabilità contrattuale (Cass., Sez. 3, 19/08/1991 , n. 8882 cit.).
Né può dirsi che l’azione di risarcimento ex art. 1710 cod. civ. sia preclusa da quella di annullamento del contratto prevista dall’art. 1395 cod. civ., né che le conseguenze di una infedele esecuzione del mandato porterebbero ad un danno derivante unicamente da illecito extracontrattuale per violazione del principio del neminem laedere con prescrizione, anch’essa quinquennale, dell’azione proposta ex art. 2043 cod. civ., atteso che le condotte descritte dagli artt. 1395 cod. civ. e 1710 cod. civ., costituendo espressione dell’infedele esecuzione del mandato, danno luogo ad un concorso di diritti, autonomamente azionabili e soggetti a differenziato regime di prescrizione, non essendo il mandante tutelato dalla sola azione di annullamento, ma potendo esso esercitare, in aggiunta, l’azione contrattuale ex art. 1710 cod. civ. per il caso in cui venga lesa e danneggiata la sua sfera giuridica dalla conclusione di un contratto con sé stesso da parte del mandatario (Cass., Sez. 3, 19/08/1991, n. 8882, cit.).
Ciò comporta che l’azione risarcitoria ben possa fondarsi tanto sulla violazione dell’obbligo, gravante sul mandatario ai sensi dell’art. 1713 cod. civ., di rendere il conto dell’attività compiuta, attraverso la prospettazione della situazione contabile e la giustificazione, in generale, dell’attività svolta, e di rimettere al rappresentato quanto ricevuto nell’espletamento dell’incarico (Cass., Sez. 3, 06/08/2013, n. 18660; Cass., Sez. 2, 30/5/2006, n. 12848; si veda in tema anche Cass., Sez. 1, 10/12/2009, n. 25904; Cass., Sez. 2, 11/11/2008, n. 26943; Cass., Sez. 2, 30/08/1994 , n. 7592; Cass., Sez. 3, 10/06/1977 , n. 2418; Cass., Sez. 3, 29/05/1976, n. 1963; Cass., Sez. 2, 02/08/1973 , n. 2230), quanto sulla violazione del dovere di curare gli interessi del rappresentato, attraverso la stipulazione di contratto in confitto di
interessi ex art. 1394 cod. civ., ricorrente quando il rappresentante sia portatore di interessi incompatibili con quelli del rappresentato (Cass., Sez. L, 18/7/2007, n. 15981), o del contratto con sé stesso ex art. 1395 cod. civ., il quale contiene una presunzione iuris tantum di conflitto di interessi, che è onere del rappresentante superare mediante la dimostrazione, in via alternativa, di una delle due condizioni tassativamente previste, vale a dire l’autorizzazione specifica da parte del rappresentato o la predeterminazione degli elementi negoziali, assunte dal legislatore come idonee ad assicurare la tutela del rappresentato per via del ruolo attivo che egli assume nella fase prodromica del contratto (Cass., Sez. 3, 20/8/2013, n. 19229; Cass., Sez. 1, 21/11/2008, n. 27783).
È allora evidente come sia ravvisabile nella specie la lamentata omissione di pronuncia, non avendo i giudici di merito affrontato, come si è visto, il motivo d’appello afferente alla reiezione della domanda contrattuale di violazione degli obblighi scaturenti dal rapporto di mandato, sostanzialmente confondendo l’azione di annullamento con quella risarcitoria da inadempimento contrattuale e ponendosi in contrasto col principio di diritto che si enuncia nei termini che seguono:
« In tema di rappresentanza, la procura, quale negozio unilaterale col quale il rappresentato investe il rappresentante del potere di compiere un atto giuridico in suo nome e in sua vece, implica necessariamente la sussistenza di un rapporto sottostante che ne giustifica il rilascio e che, in assenza di deduzioni su specifici rapporti gestori con la stessa astrattamente compatibili, può ricondursi al rapporto di mandato, distinguendosi l’una e l’altro in quanto mentre la prima esaurisce la sua funzione davanti ai terzi, il secondo involge, viceversa, il solo rapporto interno tra rappresentante e rappresentato. Ne consegue che in tale caso, essendo il complessivo rapporto regolato sia dalle norme sulla
rappresentanza, sia da quelle sul mandato, che disciplinano rispettivamente il lato esterno e quello interno del rapporto, possono concorrere tanto l’annullamento del contratto concluso dal rappresentante con sé stesso ai sensi dell’art. 1395 cod. civ., quanto l’azione di danni per l’infedele esecuzione del mandato ai sensi dell’art. 1710 cod. civ., siccome azioni fondate ciascuna su titolo distinto ed autonomo e soggette a differente regime di prescrizione, che, nella prima, è quinquennale ex art. 1442 cod. civ. e, nella seconda, in quanto di natura contrattuale, necessariamente decennale ».
Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta, infine, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1442 e 1943 cod. civ., dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto che l’azione di annullamento si fosse prescritta, essendo trascorso il termine di dieci anni dalla sottoscrizione del contratto di compravendita del 17/12/1997, così errando sia sulla durata del termine, essendo quello corretto ex art. 1442 cod. civ. quinquennale, sia sulla data di sua decorrenza, ossia, ai sensi dell’art. 1442 cod. civ., quella del tempo in cui il diritto poteva essere fatto valere (cessazione violenza o scoperta dell’errore o del dolo).
Il terzo motivo resta assorbito dall’accoglimento dei primi due.
In conclusione, dichiarata la fondatezza dei primi due motivi e l’assorbimento del terzo, il ricorso deve essere accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, che riesaminerà la vicenda alla luce del principio sopra enunciato.
Il giudice di rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda