Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8335 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8335 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/03/2024
ORDINANZA
Oggetto
PROPRIETÀ
Prelazione e retratto agrari Proprietario di fondo confinante Insussistenza dei presupposti proprietà di fondo destinato a ‘verde pubblico’
R.G.N. 21292/2022
COGNOME.
Rep.
Ud. 25/10/2023
sul ricorso 21292-2022 proposto da:
Adunanza camerale
COGNOME NOME, NOME COGNOME, domiciliati presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentati e difesi dagli Avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME, COGNOME, la prima, oltre che in proprio e nella qualità di erede di NOME COGNOME, anche quale di procuratrice speciale di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, anch’essi nella qualità di eredi di NOME COGNOME, tutte domiciliate presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentate e difese dall’ AVV_NOTAIO;
contro
ricorrenti –
nonché contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, domiciliati presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentati e difesi dall’ AVV_NOTAIO COGNOME;
– controricorrenti –
e contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME;
– intimati –
Avverso la sentenza n. 103/2022 d ella Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE Calabria, depositata il 07/02/2022;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 25/10/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 103/22, del 7 febbraio 2022, della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE Calabria, che nel respingerne il gravame avverso la sentenza n. 1490/13, del 31 agosto 2013, del Tribunale della stessa città -ha rigettato la domanda di retratto agrario proposta nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti -coniugi in regime di comunione legale dei beni, tra i quali un terreno sito in RAGIONE_SOCIALE Calabria, di proprietà della COGNOME e coltivato dalla stessa ad uliveto, unitamente al marito e al figlio -di aver adito l’autorità giudiziaria , lamentando di non aver ricevuto la proposta di acquisto dei terreni confinanti, anch’essi con asserita natura di
uliveto, alienati con contratto del 13 febbraio 2006, per un prezzo di € 20.000,00, da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME a NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Convenuti costoro in giudizio, per l’esercizio del diritto di retratto, essi eccepivano, innanzitutto, la natura non agricola del fondo oggetto di compravendita, trattandosi di terreni di natura urbana, con specifica destinazione in ‘zona omogenea F’ Aree a verde pubblico, in virtù dell’avvenuta approvazione con delibera n. 44 del 1970 -del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE Calabria. Veniva, inoltre, contestata la sussistenza dei presupposti soggettivi per l’esercizio dei diritti di prelazione e retratto, ex artt. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817 e 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590.
Rigettata la domanda dal primo giudice, la decisione veniva confermata in appello, stante la reiezione del gravame degli attori soccombenti.
Avverso la sentenza della Corte reggina hanno proposto ricorso per cassazione il RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, sulla base -come detto -di cinque motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione ed erronea applicazione dell’art. 2700 cod. civ.
Si censura la sentenza impugnata per aver escluso la natura agraria dei terreni oggetto di compravendita, per essere gli stessi destinati a ‘verde pubblico’, zona omogenea F, come confermato ‘dall’ulteriore certificazione’ (rispetto a quella allegata al co ntratto) ‘emessa il 7 giugno 2007 dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE Calabria’, e dunque ‘da atto pubblico ex art. 2699 cod. civ.’,
sicché, in mancanza di querela di falso, esso fa ‘piena prova ai sensi dell’art. 2700 cod. civ.’.
Rilevano, al riguardo, i ricorrenti che il certificato di destinazione urbanistica rientra nella categoria degli atti di certificazione aventi carattere dichiarativo del contenuto di atti preesistenti, e dunque non è costitutivo di effetti giuridici. Orbene, nel caso che occupa, la contestazione non ha investito ‘la difformità del contenuto del documento rispetto a quanto riscontrato negli atti presupposti’, ciò che avrebbe richiesto la querela di falso, bensì il ‘perdurare del vincolo a fronte della caducazione del piano regolatore per contrarietà alla legge regionale’, nonché ‘la caducazione dello stesso vincolo per decorrenza del termine quinquennale’, oltre che ‘per la natura agricola del terreno’.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio relativamente all’inserimento del terreno in zona agricola.
Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che dalla destinazione a verde pubblico non deriva, per l’amministrazione comunale, l’obbligo di procedere nel termine di cinque anni -a pena di decadenza -all’adozione di un provvedimento espropriativo, trattandosi, invece, di ‘un semplice vincolo conformativo a tempo indeterminato, non indennizzabile, non assolutamente inedificabile e non soggetto ad esclusiva iniziativa pubblica’, sicché, ‘non risultando affatto decaduto il PRG’, non potr ebbero includersi i terreni in questione nella c.d. ‘zona bianca’.
Tali affermazioni, secondo i ricorrenti, risulterebbero errate, giacché il vincolo imposto dal RAGIONE_SOCIALE risulterebbe venuto meno, per il mancato esercizio, da parte dell’amministrazione
municipale, entro il termine quinquennale (o al massimo decennale), di un provvedimento attuativo dello stesso.
Difatti, la natura di ‘vincolo di verde pubblico’ deve essere verificata caso per caso, alla stregua della disciplina urbanistica posta dallo strumento generale, dovendosi concludere, allorché la stessa comporti la preclusione totale di ogni attività edilizia da parte del privato, per la natura espropriativa dello stesso.
Nella specie, la destinazione di ‘area a verde pubblico’, imposta con il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE Calabria, costituisce -assumono i ricorrenti -espressione della potestà finalizzata all’esproprio, con conseguente validità a tempo indeterminato, perché ha una portata tale da precludere ogni attività edilizia da parte del privato, dato che la norma che ha impresso la destinazione sui fondi in contestazione prevede la completa e perenne identificabilità dei terreni rientranti nella zona omogenea F, destinate ad ‘aree a verde pubblico’, da parte dei privati. I noltre, essa prevede che l’utilizzo edificatorio sia consentito solo previa adozione di piani attuativi, mai posti in essere dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE Calab ria, non affidati all’iniziativa privata (o promiscua) e unicamente diretti alla realizzazione di opere di esclusiva iniziativa pubblica e interesse pubblico. Risulterebbe, pertanto pacifico che il vincolo sia soggetto a decadenza, ai sensi dell’art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, sicché la decisione della Corte d’appello ha omesso la valutazione di tale circostanza e ha erroneamente interpretato la normativa in materia di verde pubblico, concludendo che si tratti di vincolo conformativo non soggetto a scadenza.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione ed erronea applicazione dell’art. 8, comma 2, della legge 26 maggio 1965, n. 590 e dell’art. 7, comma 2, della legge 14 agosto 1971, n. 817.
Si censura la sentenza impugnata per aver rigettato l’appello sull’erroneo presupposto che i terreni ‘ de quibus ‘ non abbiano natura agricola.
Tuttavia, le norme testé richiamate escludono la prelazione agraria solo in caso di utilizzazione edilizia, industriale o turistica del fondo, in ragione della sua inclusione, con una di tali destinazioni, nel RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. Alla luce, però, degli argomenti precedentemente esposti -richiamati pure nell’illustrazione del presente motivo i terreni oggetto di controversia non risulterebbero rientrare in alcuna delle categorie elencate o destinazioni indicate, le une come le altre insuscettibili di essere estese.
3.4. Il quarto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione ed erronea applicazione della legge regionale della Regione Calabria 16 aprile 2002, n. 19, in relazione all’applicabilità e caducazione del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE Calabria.
Si censura la sentenza impugnata là dove afferma che legge regionale suddetta non avrebbe affatto caducato la delibera consiliare di approvazione del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, ma ne ha, anzi, ‘rafforzato, precisato ed esteso l’efficacia’, tra l’altro prevedendo espressamente, al n. 2) dell’art. 65, che i Piani Regolatori Generali conservino ‘validità fino a 44 mesi’, a partire dall’entrata in vigore delle linee guida di cui al comma 5 dell’art. 17 della medesima legge regionale n. 19 del 2002, ‘linee guida approvate, successivamente, con la delibera n. 106 del 10 novembre 2006’.
Al riguardo, i ricorrenti rilevano, in via preliminare, che la Corte territoriale ha applicato l’art. 65 della legge regionale n. 19 del 2002 ‘come modificato dalla successiva legge regionale del novembre 2016’. Trattandosi, però, di modifica posteriore al la
stipula dell’atto di compravendita , essa, per tale ragione, non sarebbe applicabile per la regolamentazione e disciplina del caso in esame.
Si ribadisce, inoltre, come il PRG del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE debba ritenersi inapplicabile, per contrarietà alla legge regionale n. 19 del 2002, in forza della quale sono ‘decadute le zonizzazione e le destinazioni di zona dei previgenti Piani Regolatori Generali e le norme tecniche di attuazione con la sostituzione in raggruppamenti a mezzo dell’adozione di piani comunali strutturali’. Infatti, alle zonizzazioni dei Piani Regolatori Generali, ‘sono stati sostituiti cinque raggruppamenti’ elencati sotto le lette re da a) fino a e) del comma 4 dell’art. 57 della stessa legge regionale n. 19 del 2022 -ovvero: ‘a) residenziale, b) turistico ricettiva, c) produttiva e direzionale, d) commerciale, e) agricola’. I terreni in questione, per ubicazione e caratteristiche (in particolare, coltura ad uliveto), ‘in assenza di qualsiasi utilizzazione da parte del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE Calabria, ricadevano, quindi, necessariamente nel raggruppamento e)’, quello agricolo, e ciò per effetto del mutamento di destinazione impresso ‘ ex lege ‘.
Difatti, i commi 10 e 11 sempre dell’art. 57 della medesima legge regionale n. 19 del 2002 stabiliscono: ‘Si ha mutamento di destinazione d’uso quando l’immobile, o parte di esso, viene ad essere utilizzato, in modo non puramente occasionale e momentaneo, per lo svolgimento di attività appartenente ad una delle categorie di destinazione di cui al comma 4 diversa da quella in atto’; ‘La destinazione d’uso «in atto» dell’immobile o dell’unità immobiliare è quella fissata dalla licenza, permesso di costruire o autorizzazione per essi rilasciata, ovvero, in assenza o nell’indeterminatezza di tali atti, dalla classificazione catastale attribuita in sede di accatastamento o da altri atti probanti’.
Orbene, per i terreni oggetto di controversia, in mancanza del rilascio di permessi di costruzione, licenze ed autorizzazioni, oltre che di qualsiasi utilizzo da parte del RAGIONE_SOCIALE, cui è riservata l’attuazione della destinazione a verde pubblico, ‘la destin azione ad uso agricolo’ concludono i ricorrenti -‘deve trarsi dalla classificazione catastale indicata come uliveto di II classe per tutte le particelle oggetto di compravendita’.
3.5. Infine, il quinto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. -violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
I ricorrenti censurano la decisione della Corte territoriale di ritenere assorbiti gli altri motivi di appello, attinenti profili diversi dalla natura agraria del terreno oggetto di compravendita, o meglio concernenti gli altri presupposti per l’esercizio del diritto di prelazione e retratto agrario.
Alla luce, infatti, della ‘manifesta erroneità della decisione circa il difetto dell’essenziale condizione della natura agraria dei terreni’, siffatta statuizione integrerebbe il vizio di omissione di pronuncia.
Hanno resistito all’avversaria impugnazione, con due distinti controricorsi, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, da un lato, nonché NOME COGNOME (anche nella qualità di erede di NOME COGNOME, oltre che di procuratrice speciale degli altri eredi, NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME), NOME COGNOME e NOME COGNOME, tutti chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
Sono rimasti solo intimati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
I ricorrenti e le controricorrenti COGNOME, COGNOME e COGNOME hanno depositato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di memoria scritta da parte del Procuratore RAGIONE_SOCIALE presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va rigettato.
9.1. Il primo motivo è inammissibile.
9.1.1. Nello scrutinarlo, occorre muovere dalla constatazione dell’esatta portata dell’affermazione operata dalla sentenza impugnata, in relazione alle certificazioni allegate al rogito notarile del 13 febbraio 2006.
Invero, la Corte reggina, allorché ha asserito che l’atto notarile e le sue certificazioni facevano ‘ piena prova ‘ della provenienza del documento e di quanto in essi attestato, non è incorsa in alcuna violazione dell’art. 2700 cod. civ. , avendo inteso solo individuare -a ciò riferendo il dato della piena efficacia probatoria -la corrispondenza di quanto attestato in quei documenti alle risultanze del piano regolatore comunale.
I ricorrenti, del resto, affermano espressamene di concordare su tale aspetto, sicché il motivo da essi proposto non si duole realmente di una violazione dell’art. 2700 c od. civ., bensì prospetta -come emerge, in particolare, da pag. 9 del ricorso -che da quella documentazione non risultava affatto il perdurare del vincolo a verde pubblico. Sotto tale profilo, pertanto, il motivo
svolge una critica che non è correlata alla motivazione che pure dice di voler censurare, donde la sua inammissibilità.
Ne costituisce riprova, del resto, il fatto che tale critica viene, poi, svolta col secondo motivo di ricorso, quale denuncia di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
9.2. Anche il secondo motivo è inammissibile (e comunque non fondato).
9.2.1. In disparte, infatti, il rilievo sull’operatività dell’art. 348ter , ultimo comma, cod. proc. civ. (norma, applicabile ‘ ratione temporis ‘ al presente giudizio, che preclude in caso -qual è quello presente -di c.d. ‘doppia conforme di merito’ la proposizione di motivi di ricorso per cassazione formulati ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., salvo che la parte ricorrente non soddisfi l’onere, ciò che nella spe cie non risulta avvenuto, ‘di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse’; cfr. Cass. Sez. 1, sent. 22 dicembre 2016, n. 26 774, Rv. 643244-03; Cass. Sez. Lav., sent. 6 agosto 2019, n. 20994, Rv. 654646-01), deve preliminarmente constatarsi che esso non svolge affatto una censura riconducibile al paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., atteso che non indica un fatto omesso, ma svolge una serie di considerazioni in base alle quali la destinazione a verde pubblico si sarebbe dovuta ritenere venuta meno per mancato esercizio, da parte del RAGIONE_SOCIALE Calabria, dei propri poteri.
Rivelatore, in tal senso, è quel passaggio del ricorso con cui si lamenta che la Corte territoriale ‘ha omesso la valutazione ed ha erroneamente interpretato la normativa in materia di verde pubblico concludendo che si tratti di vincolo conformativo non
soggetto a scadenza’ (cfr. pag. 12 del ricorso). Si tratta, all’evidenza, di censura che esula dalla previsione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., ipotizzabile solo quando l’omissione investa un ‘fatto vero e proprio’ (non una ‘questione’ o un ‘punto’ della sentenza) e, quindi, ‘un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo’ (così, in motivazione, Cass. Sez. 5, sent. 8 settembre 2016, n. 17761, Rv. 641174-01; nello stesso senso Cass. Sez. 65, ord. 4 ottobre 2017, n. 23238, Rv. 64630801), vale a dire ‘un preciso accadimento, ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storiconaturalistico’ (Cass. Sez. 5, sent. 8 ottobre 2014, n. 21152, Rv. 632989-01; Cass. Sez. Un., sent. 23 marzo 2015, n. 5745, non massimata), ‘un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto’ (cfr. Cass. Sez. 1, ord. 5 marzo 2014, n. 5133, Rv. 62964701), e ‘come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni’ (Cass. Sez, 6 -1, ord. 6 settembre 2019, n. 22397, Rv. 655413-01).
9.2.2. Ciò detto, il motivo risulta, in ogni caso, inammissibile, quand’anche si ritenesse possibile enucleare dal lo stesso -in applicazione del principio secondo cui l’onere d i specificità ex art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. non va inteso ‘quale assoluta necessità’, per il ricorrente, ‘di formale ed esatta indicazione dell’ipotesi, tra quelle elencate nell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., cui si ritenga di ascrivere il vizio’ denunciato, giacché spetta, pur sempre, ‘al giudice di legittimità d i individuare la volontà dell’impugnante e stabilire se la stessa, così come esposta nel mezzo d’impugnazione, abbia dedotto un vizio di legittimità sostanzialmente, ma inequivocamente, riconducibile ad alcuna
delle tassative ipotesi di cui all’art. 360’ (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sentenza 24 luglio 2013, n. 17931, Rv. 62726801) -una censura di violazione dell’art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, norma alla quale il motivo fa riferimento.
Esso, tuttavia, pur apprezzato in questi termini, non rispetta l’art. 366 , comma 1, n. 6), cod. proc. civ., difettando nella sua illustrazione qualsiasi indicazione del se e come la questione con esso proposta -relativa alla decadenza del vincolo ai sensi del suddetto art. 2 della legge n. 1187 del 1968 -risulti essere stata prospettata nel giudizio di merito.
9.2.3. In ogni caso, il motivo risulta, nel merito, non fondato.
Se è vero, infatti, che la natura di ‘vincolo di verde pubblico’ deve essere, come sostengono i ricorrenti, verificata caso per caso, va tuttavia ribadito che ‘l’ipotesi che una destinazione di piano regolatore generale -e segnatamente, per quanto rileva nella vicenda in esame, la destinazione a «verde pubblico» esprima un vincolo conformativo, costituisce l’evenienza ordinaria’, mentre ‘assume carattere di eccezione l’ipotesi inversa, che la destinazione si traduca, cioè, in un vincolo preordinato all’esproprio’, non configurabile per il sol fatto che la delibera di destinazione manifesti l’intento ‘di soddisfare le esigenze della cittadinanza a fruire di una più ampia attrezzatura a verde’, giacché essa non può ritenersi ‘indice univoco di un vincolo preo rdinato all’espropriazione’ (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 19 maggio 2016, n. 10325, Rv. 639976-01).
Il vincolo preordinato all’espropriazione, infatti, ‘richiede contestualmente quali presupposti’:
-‘a) che lo stesso si traduca in una imposizione a titolo particolare incidente su beni determinati al precipuo fine della precisa e puntuale localizzazione di un intervento edilizio che, per
suoi natura e scopo, è d’esclusiva appropriazione e fruizione collettivo’;
-‘b) che la relativa realizzazione deve risultare incompatibile con la proprietà privata e perciò presupporre ineluttabilmente, per il suo compimento, l’espropriazione del bene’;
-‘c) che l’imposizione deve, infine, determinare l’inedificabilità del bene colpito e, dunque, lo svuotamento del contenuto del diritto di proprietà, incidendo sul suo godimento, tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ovvero da diminuirne in modo significativo il valore di scambio’ (così, nuovamente, Cass. Sez. 1, sent. n. 10325 del 2016, cit.).
Orbene, a questi principi si è attenuta la sentenza impugnata nell’affermare la natura ‘conformativa’ e non espropriativa -del vincolo derivante dalla destinazione a verde pubblico. Tale conclusione, infatti, è stata motivata dando rilievo alla duplice circostanza che il vincolo in questione risultava ‘non assolutamente inedificabile e non soggetto ad esclusiva iniziativa pubblica (potendo la relativa destinazione realizzarsi anche ad iniziativa privata o promiscua)’, così ravvisandosi l’inesistenza di ben due dei requisiti necessari per ritenere, invece, integrata l’eccezionale natura espropriativa dello stesso.
9.3. Pure il terzo motivo di ricorso è inammissibile (e comunque non fondato).
9.3.1. Preliminare è, infatti, il rilievo che anch’esso partecipa del medesimo profilo di inammissibilità ex art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ. che inficia il motivo che lo precede, giacché neppure in questo caso viene precisato in quale sede processuale, e con quali modalità, la questione oggetto del presente motivo sia stata sollevata.
Valgono, poi, ad escluderne la fondatezza le considerazioni illustrate nell’esaminare il motivo che precede.
9.4. L’esito della declaratoria d’inammissibilità s’impone anche per il quarto motivo.
9.4.1. La sua formulazione, infatti, non rispetta l’art. 366 , comma 1, n. 6), cod. proc. civ., svolgendo censure sulla base di fonti amministrative delle quali non ci fornisce né la ‘ localizzazione ‘, tra gli atti del giudizio, né l’indicazione diretta od indiretta del loro contenuto rilevante ai fini della decisione.
Sul punto, infatti, deve ribadirsi la necessità che la parte ricorrente per cassazione provveda ad assolvere quell’onere di ‘puntuale indicazione’ del documento o atto su cui si fonda i l proprio atto di impugnazione, imposto dall’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ., pur nell’interpretazione ‘non formalistica’ di tale norma che s’impone alla luce della sentenza della Corte EDU Succi e altri c. Italia, del 28 ottobre 2021 (cfr. Cass. Sez. Un., ord. 18 marzo 2022, n. 8950, Rv. 664409-01).
Parimenti, va qui confermato che ‘l’indicazione espressa degli atti processuali o dei documenti sui quali il ricorso si fonda’, va inteso nel senso che ‘indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso è rintracciabile, sicché la mancata «localizzazione» del documento basta per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, senza necessità di soffermarsi sull’osservanza del principio di a utosufficienza dal versante «contenutistico»’ (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 1, ord. 10 dicembre 2020, n. 28184, Rv. 660090-01).
9.5. Infine, il quinto motivo di ricorso non è fondato, dovendo escludersi la ricorrenza della denunciata omissione di pronuncia.
9.5.1. Infatti, poiché il giudice di appello ha confermato il rigetto della domanda di retratto sul presupposto della natura non agricola del fondo per cui è causa (respingendo, sul punto, uno specifico motivo di gravame), ha ritenuto superfluo procedere alla disamina degli altri motivi, volti a dimostrare la sussistenza delle ulteriori condizioni di legge -anch’esse escluse dal giudice di prime cure -per l’esercizio del relativo diritto, operando una pronuncia c.d. di ‘assorbimento improprio’. Va dato seguito, pertanto, al principio secondo cui, ‘quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni’, come, appunto, nel caso in esame, ‘l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento’ (Cass. Sez. 1, ord. 12 novembre 2018, n. 28995, Rv. 651580-01; in senso analogo Cass Sez. Lav., sent. 22 giugno 2020, n. 12193, Rv. 658099-01), potendosi, al più, censurare le ragioni dell’assorbimento, purché contestando fondatamente ciò che nella specie non è avvenuto, dato l ‘ esito dello scrutinio dei precedenti motivi di ricorso -la decisione ritenuta ‘assorbente’.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico dei ricorrenti e liquidate come da dispositivo.
A carico dei ricorrenti, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante
all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte rigetta il ricorso, condannando NOME COGNOME e NOME COGNOME a rifondere, da un lato, a NOME COGNOME (anche nella qualità di erede di NOME COGNOME, oltre che di procuratrice speciale degli altri eredi, NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME), NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché, dall’altro, a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate, per le prime, in complessivi € 3.0 00,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge, nonché, per i secondi, in comples sivi € 3.000,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge, spese da distrarsi, in ambo i casi, in favore dei rispettivi difensori, dichiaratisi antistatari.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della