Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 346 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 346 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/01/2024
PORTATA DEL VINCOLO AMMINISTRATIVO SU BENE DI INTERESSE STORICO
NOME
NOME
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere
COGNOME
Consigliere – Rel.
Ud. 08/11/2023 CC
COGNOME
R.G.N. 17017/2021
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
Ha pronunciato la seguente
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 17017/2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME
-ricorrente – contro
Ospedale Israelitico in persona del Legale Rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 2522/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/04/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che:
1.L’Ospedale Israelitico intimava alla Società RAGIONE_SOCIALE, citandola per la convalida, licenza per finita locazione al 30.9.2017, relativamente al locale avente accesso da INDIRIZZO e dall’androne di INDIRIZZO, condotto dalla convenuta in locazione ad uso commerciale in forza di contratto stipulato il e decorrente dal 1° ottobre 2005. L’intimante sosteneva che aveva comunicato disdetta, dapprima, con racc 16/10/13 e, poi, con racc del 16/10/15 e che i contatti per la stipula di un nuovo contratto non avevano sortito esito.
Si costituiva la società intimata, la quale -dopo aver: a) opposto il “vincolo di natura amministrativa e (l’esigenza di) tutela dell’Antico RAGIONE_SOCIALE quale bene di interesse storico”, vincolo ed esigenza introdotti dal dm 2717/53 e dalla l 1089/1939, “oggi confluita nel d.lgs. 29 ottobre 1999 n 490”; b) richiamato la lettura delle suddette disposizioni data dalla sentenza Tar Lazio 7/2/11 , resa inter partes, nonché il fondamento costituzionale, ex art 9 e 42, della deminutio del diritto dominicale; c) addotto che erano parti essenziali del giudizio anche il Ministero Beni Culturali e Regione Lazio, perseguendo politiche di conservazione e valorizzazione del patrimonio pubblico storicoartistico, rispettivamente, italiano e regionale; nonché Roma Capitale, in quanto deputata alla tutela del bene storico RAGIONE_SOCIALE, dalla stessa riconosciuto “RAGIONE_SOCIALE“; d) rilevato che le disdette, in quanto non precedute dalla preventiva consultazione e autorizzazione ministeriale, risultavano affette da un ‘vizio di nullità” concludeva chiedendo di dichiarare la nullità delle disdette e, conseguentemente, rigettare la domanda, accertando l’automatica rinnovazione del contratto per la durata di sei anni, nonché autorizzare la chiamata in causa di Ministero, Regione Lazio e Roma Capitale.
La fase sommaria si concludeva con l’emissione dell’ordinanza di rilascio, il mutamento del rito da ordinario in speciale locatizio e la concessione dei termini per l’integrazione degli atti difensivi.
L’Ospedale attorea insisteva nella domanda.
La società convenuta reiterava le conclusioni svolte e chiedeva, in via riconvenzionale, “previa determinazione del giusto canone”, l’emissione, ai sensi dell’art 2932, cod civ, di sentenza che produca gli effetti del contratto locatizio non concluso.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 24473/2018, da un lato, dichiarava il contratto inter partes cessato per finita locazione alla data del 30/9/17, così confermando l’ordinanza di rilascio emessa ex art 665, cpc e condannava la Società al rilascio dell’immobile e fissando per l’esecuzione la data del 20/2/19; dall’altro rigettava la domanda riconvenzionale della società convenuta, che veniva condannata alla rifusione delle spese processuali.
Occorre aggiungere che: a) l’Ospedale avviava l’esecuzione della sentenza di primo grado e la Società riceveva in data 8.4.2019 la notifica dell’atto di precetto e del titolo esecutivo costituito dalla sentenza n. 24473/2018; b) avverso l’esecuzione faceva opposizione la Società; c) nel giudizio di opposizione interveniva il Ministero dei Beni culturali ed ambientali (MIBACT), ex art. 105 comma 2 c.p.c. a sostegno dell’opposizione all’esecuzione; d) il Tribunale di Roma con sentenza 18970/2019 rigettava l’o pposizione, condannando la Società alla rifusione delle spese processuali.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva appello la Società, articolando quattro motivi di impugnazione con i quali chiedeva, in riforma della sentenza impugnata e previa sospensione della sua efficacia esecutiva -che:
in via principale, fosse rigettata la domanda ex adverso proposta;
in via subordinata, in accoglimento della domanda riconvenzionale, fosse dichiarato l’inadempimento del locatore all’obbligo asseritamente nascente dal decreto del ministro della Pubblica istruzione del 27 luglio 1953, di rinnovare il contratto di locazione ovvero di concluderne uno nuovo, con conseguente emissione di sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., che riproducesse gli effetti del contratto non concluso; e venissero dichiarate nulle ed inefficaci l’intimazione di sfratto e l’avversa domanda p er mancanza di preventiva denuncia ed autorizzazione all’Amministrazione di tutela;
c) in via ancora più subordinata, venisse accertata la nullità della condanna al rilascio e della nuova data di esecuzione.
L’Ospedale si costituiva nel giudizio di appello, chiedendo il rigetto dell’impugnazione ed eccependo l’inammissibilità di ogni nuova eccezione proposta dalla Società.
La Corte d’Appello di Roma, dapprima con ordinanza 5 dicembre 2019 sospendeva l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado; e poi, con sentenza n. 2522/2021, rigettava l’appello confermando la sentenza di primo grado e condannando la società appellante alla rifusione anche delle spese relative al secondo grado del giudizio di merito.
Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso la RAGIONE_SOCIALE
3.1. Il primo motivo si articola in due censure di cui la seconda è subordinata al mancato accoglimento della priva.
3.1.1. Con la prima censura la Società denuncia, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.: in via principale, violazione e falsa applicazione del giudicato esterno sul contenuto del vincolo di tutela posto sul bene
culturale ‘RAGIONE_SOCIALE‘ quale accertato dalla sentenza del Tar del Lazio n. 1164/2011 resa tra le parti; nella parte in cui (p. 3) la corte territoriale -dopo aver affermato che <> -ha affermato che <>.
Osserva che la corte, per accertare l’effettiva portata del vincolo amministrativo, sarebbe dovuta partire proprio dal giudicato esterno formatosi tra le parti, e cioè dalla sentenza del TAR del Lazio n. 1164/2011, depositata il 7 febbraio 2011, passata in giudicato, avente ad oggetto proprio l’esatta determinazione della portata del vincolo di tutela (oggetto di giudizio), ma tanto non ha fatto.
Sottolinea la violazione del giudicato esterno ed all’uopo trascrive la parte centrale della motivazione della sentenza con la quale, in particolare, per quanto qui rileva, il TAR del Lazio:
ha osservato che con la determinazione dirigenziale non era stato affatto ‘aggiunto un ulteriore vincolo’ (che, secondo l’Ospedale Israelitico, avrebbe ‘pregiudicato, riducendole enormemente, le concrete future possibilità di utilizzo dell’immobile sito in INDIRIZZO), rispetto al vincolo già posto con il decreto del 23 luglio 1953;
b) ha riportato il contenuto del decreto di tutela ed ha richiamata l’esigenza di <>;
ha interpretato il vincolo posto dal decreto del 23 luglio 1953 nei seguenti termini: <>;
d) ha chiarito anche il significato dell’espresso riferimento alla <> nel decreto istituivo del vincolo di tutela, confutando l’interpretazione riduttiva dell’Ospedale (secondo il quale il riferimento letterale si giustificava esclusi vamente in virtù dell’esigenza di distinguere la proprietà dell’immobile, dalla titolarità della gestione dell’esercizio commerciale), in quanto <<in senso contrario depone sia la lettera del dispositivo del D.M. che si riferisce al vincolo al Caffè Greco, sia la ratio della tutela, coincidente, come già evidenziato, non tanto e non solo nella natura dell'immobile, ma soprattutto nella destinazione attuale del locale consolidatasi nell'arco di circa 200 anni'.
In definitiva, secondo la ricorrente, il vincolo di tutela è stato interpretato dal TAR <>. Pertanto, non sarebbe tutelata soltanto la destinazione d’uso di a lcuni locali nei quali debba continuare a svolgersi un’attività di un certo tipo; e neppure sarebbero tutelati soltanto alcuni arredi destinati a rimanere in un determinato immobile; ma, ad essere tutelata, attraverso un vincolo notificato volutamente ai due proprietari, sarebbero le distinte componenti di un determinato complesso aziendale, intriso di storia, arte e cultura. Dunque, il vincolo non riguarderebbe solo l’immobile e la sua destinazione d’uso (e dunque un solo proprietario), ma anche la specifica attività commerciale svolta dal titolare dell’azienda RAGIONE_SOCIALE (l’altro proprietario vincolato ‘per la parte dei mobili e della licenza di esercizio’) e la tesi (sostenuta dall’Ospedale e fatta propria dalla sentenza impugnata) secondo cui è sufficiente che nei locali sia mantenuta (se e quando sarà trovato un nuovo conduttoreimprenditore) una qualsiasi ‘destinazione commerciale’, si porrebbe in assoluto e frontale contrasto con il sopra riportato giudicato amministrativo.
3.1.2. Con la seconda censura, che articola in via subordinata, la società denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 1362, primo e secondo comma, c.c.; 1366 e 1367 c.c. nella parte in cui la corte territoriale ha esaminato il contenuto del decreto del ministro della pubblica istruzione del 27 luglio 1953 (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)
Si duole la corte territoriale:
ha violato l’art. 1362, primo comma, c.c. laddove ha ignorato l’intenzione del Ministro della Pubblica Istruzione, nell’istituire eccezionalmente un vincolo operante nei confronti di due proprietari, con notifica del vincolo ad entrambi, che era stata accertata dalla
sentenza del TAR del Lazio resa inter partes: <>;
ha violato l’art. 1362, comma 2, c.c., in quanto il Ministero della pubblica Istruzione, prima, Il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, poi, hanno esteso il vincolo, con decreto ministeriale del D.M. del 6 febbraio 1954, sostenendo anche nel giudizio di opposizione all’esecuzione dello sfratto, con atto di intervento, l’interpretazione estensiva del vincolo;
ha violato l’art.1366 c.c., in quanto non è certo ‘secondo buona fede’, e conforme all’interesse pubblico, un’interpretazione di un vincolo di tutela che conduca alla distruzione di un bene culturale per finita locazione, ogni qual volta il locatore decida di intimare uno sfratto;
ha violato l’art. 1367 c.c., in quanto ha reso il provvedimento amministrativo sostanzialmente privo di contenuto.
3 .2. Con il secondo motivo, sempre in relazione all’art. 360 comma prima n. 3 c.p.c., l’RAGIONE_SOCIALE denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3, comma 2, 10, comma 3, 13, 20 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, e dell’art. 9 Cost., nel la parte in cui la corte territoriale, confermando la convalida dello sfratto, ha determinato lo smembramento delle due distinte componenti del complesso aziendale per cui è causa, cioè ha autorizzato la divisione delle due proprietà (dei locali da un lato; dei mobili e della licenza di esercizio, dall’altro) rese indivisibili dal vincolo.
Precisamente si duole che la corte territoriale -che in sede di ordinanza di accoglimento della istanza di sospensiva aveva affermato che <> – nella impugnata sentenza invece ha consentito ad una delle parti del vincolo (il proprietario delle mura) di intimare lo sfratto per finita locazione all’altra parte del vincolo (cioè al titolare del complesso aziendale, senza il quale non può esistere alcun RAGIONE_SOCIALE, perché proprietario del marchio e dell’azienda che opera sotto quel marchio).
Osserva che, eseguito lo sfratto, il locale rimarrebbe chiuso e vuoto fino a quanto eventualmente non subentrerà un nuovo conduttore-imprenditore che, tuttavia, non potrebbe che iniziare una nuova attività con un’altra ‘licenzia di esercizio’. Il nuovo con duttore, per continuare l’attività aziendale tutelata a marchio RAGIONE_SOCIALE (l’unica specifica attività che sia possibile svolgere in quell’immobile come prescritto dal vincolo di tutela), dovrebbe acquistare l’azienda dalla Società RAGIONE_SOCIALE l’az ienda, e, quindi, subentrare così in tutti i contratti ad essa inerenti (art. 2558 c.c.), ivi compresi i contratti di lavoro con i circa 40 dipendenti (ex art. 2112 c.c.), i contratti con i fornitori ed anche il contratto di locazione dell’immobile che dev e ospitare quell’attività aziendale (che non è che uno dei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda).
Sottolinea che un nuovo conduttore non potrebbe certo appropriarsi dell’azienda (di cui è proprietaria la Società RAGIONE_SOCIALE e che comprende arredi, opere d’arte, beni strumentali per
l’esercizio dell’attività di caffetteria, rapporti giuridici) ed utilizzare il marchio del RAGIONE_SOCIALE (segno distintivo di quella specifica azienda), senza averne concordato la cessione dalla Società RAGIONE_SOCIALE
3.3. Con il terzo motivo la Società denuncia omessa pronuncia sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 59 D.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 (già art. 30 l. 1° giugno 1939, n. 1089), (art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.) e comunque violazione e falsa applicazione della suddetta disposizione (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.) nella parte in cui la corte territoriale ha affermato che: <>.
Si duole che la corte territoriale, tanto affermando, nulla ha motivato sull’art. 30 l. n. 1389 del 1939 (ora art. 59 D.lgs. n. 42 del 2004) e comunque ha erroneamente affermato che l’autorizzazione non sarebbe richiesta ‘per la disdetta del contratto ovve ro per la domanda giudiziale di accertamento della finita locazione’, come se i suddetti atti non comportassero modifiche materiali e funzionali in violazione del vincolo di immodificabilità
3 .4. Con il quarto motivo la Società denuncia, in relazione all’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c. omesso esame del motivo di appello basato sull’art. 939, primo comma, c.c. nella parte in cui la corte
territoriale ha omesso l’esame della specifica censura (formulata in atto di appello) alla sentenza di primo grado ed ha ritenuto che sul punto l’appellante avesse fatto rinvio ad un separato giudizio ancora da proporre.
Precisa che in atto di appello aveva svolto la seguente censura <>, dedotta in via di eccezione riconvenzionale con la Memoria di integrazione degli atti introduttivi. <>.
Osserva che, tanto rilevando, aveva sostanzialmente osservato che il rapporto locatizio doveva ritenersi superato per effetto del vincolo di natura reale, creato dal vincolo di tutela; e che, a fronte di tale censura.
Si duole che la corte territoriale ha così motivato: <>, senza considerare che a fondamento della sua eccezione riconvenzionale aveva dedotto il comma secondo (e non il comma primo) dell’art. 939 c.c.
3.5. Ad esito della illustrazione dei motivi e nel denegato caso in cui sia ritenuto che, secondo l’attuale disciplina, l’interesse del locatore al rilascio di un immobile prevalga sull’interesse pubblico alla conservazione di un bene culturale tutelato, del valore del Caffè Greco, prospetta la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 657 c.p.c. ove interpretato nel senso che consenta di convalidare la licenza per finita locazione di un immobile anche nel caso in cui questo sia parte integrante di un bene culturale, sottoposto ad un vincolo di tutela, che comprenda la specifica attività aziendale che vi si svolge, di proprietà del conduttore, ed i beni mobili che si trovano al suo interno, parimenti di proprietà del conduttore, e che, come nel caso di specie, leghi indissolubilmente tutte le parti del bene culturale vincolato.
Osserva che tale interpretazione determinerebbe, attraverso una semplice convalida di sfratto per finita locazione, lo ‘smembramento’ del bene culturale vincolato, e, perciò, la sua distruzione, posto che la specifica attività aziendale tutelata non potrebbe essere più svolta, nell’immobile vincolato ad ospitarla, dal proprietario sfrattato, che dovrebbe lasciare l’immobile libero da persone (ivi compresi i dipendenti) e da cose (di sua proprietà, anche se di enorme valore); né quella specifica attività aziendale potrebbe essere svolta dal
proprietario dell’immobile rilasciato, che non è il titolare di quella specifica attività aziendale, salvo che non stipuli con il conduttore un contratto di cessione dell’attività stessa contemporaneamente al rilascio.
Sostiene che tale interpretazione si porrebbe in contrasto: a) con l’art. Cost. 9, comma 2, Cost., in quanto consentirebbe al proprietario dell’immobile di distruggere il bene culturale, con la sola volontà di porre fine al contratto di locazione alla scad enza; b) con l’art. Cost. 41 primo comma Cost., in quanto consentirebbe al proprietario dell’immobile di sacrificare, oltre all’interesse pubblico tutelato dal vincolo, la liberà di iniziativa economica ed il diritto di proprietà del conduttore; c) con l’a rt. 41 secondo comma Cost., in quanto il rilascio dell’immobile impedirebbe ad una iniziativa economica privata di continuare a svolgersi in conformità all’utilità sociale ed all’interesse pubblico cui il vincolo di tutela l’aveva destinata; d) con l’art. 42, comma 2, Cost., in quanto consentirebbe al proprietario di un immobile, vincolato ad ospitare un’attività aziendale elevata a bene culturale, di determinarne la cessazione a proprio arbitrio, in violazione non solo del limite dell’utilità sociale, ma, addirittura, degli specifici limiti gravanti su quella proprietà immobiliare e derivanti dal vincolo di tutela; e) con il combinato disposto di cui agli artt. 42 e 9 Cost., in quanto il conduttore, una volta che il bene culturale è smembrato e distrutto ne ll’identità giuridica creata dal vincolo, dovrebbe rilasciare l’immobile libero non solo da persone (quelle che svolgono l’attività o vi concorrono a qualsiasi titolo, e gli utenti dell’attività tutelata), ma anche dalle cose di sua proprietà, e cioè dai beni mobili (arredi storici ed opere d’arte al cui valore concorreva anche l’essere i beni in questione all’interno di quell’immobile) funzionali allo svolgimento di quell’attività; f) con l’art. 3 Cost. perché tra due proprietari
assoggettati al medesimo vincolo di tutela (il proprietario dell’immobile, da un lato, l’imprenditore -proprietario dei beni mobili funzionali all’esercizio dell’attività aziendale tutelala dall’altro lato) l’applicazione incondizionata dell’art. 657 c.p.c. tutelerebbe esclusivamente il proprietario dell’immobile, consentendogli di intimare lo sfratto per finita locazione come se quel vincolo non esistesse, sacrificando il diritto di proprietà e di iniziativa economica del proprietario-imprenditore; g) con l ‘art. 24 Cost. nella parte in cui l’art. 657 c.c. non prevede che l’intimazione dello sfratto per finita locazione di immobile sottoposto ad un vincolo di tutela, quale quello oggetto del presente giudizio, sia notificata oltre che al conduttore, anche al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, cioè al soggetto interessato alla conservazione del vincolo a tutela dell’interesse pubblico, affinché possa partecipare al giudizio, quale destinatario degli effetti della sentenza.
Rileva infine che, se mai si ritenesse (come fa l’Ospedale) che il conduttore debba lasciare l’immobile libero da persone, ma non dalle proprie cose, sull’erroneo presupposto che il bene culturale, ed il vincolo di tutela, sopravvivano allo sfratto, si determinerebbe uno spossessamento del conduttore dai propri beni, o, addirittura, un esproprio, fuori dei casi previsti dalla legge, con plateale violazione dell’art. 42 Cost.
4.Ha resistito con controricorso l’Ospedale Israelitico
5.Nelle more dell’udienza la cote territoriale con ordinanza 29 agosto 2023 ha sospeso l’efficacia esecutiva del titolo perché l’esecuzione dello sfratto avrebbe comportato ‘la cessazione dell’attività svolta dalla Società RAGIONE_SOCIALE.
6.Per l’odierna udienza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte, mentre i Difensori di entrambe le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive conclusioni.
Considerato che:
Il Collegio , all’esito della camera di consiglio, ritiene opportuno rinviare a nuovo ruolo la trattazione in pubblica udienza, attesa la particolare rilevanza della questione relativa al giudicato amministrativo formatosi ed alla estensione del vincolo.
P. Q. M.
La Corte rinvia la trattazione a nuovo ruolo per la fissazione in udienza pubblica.
Così deciso in Roma, l’ 8 novembre 2023, nella camera di