Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8304 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8304 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 23513/2021 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME ( ) e NOME COGNOME (EMAIL);
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (EMAIL );
-controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE quale mandataria e procuratrice di RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa
dall’AVV_NOTAIO ( );
avverso la sentenza n. 1637/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 21 maggio 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5 marzo 2024 dal Consigliere NOME COGNOME:
Rilevato che
RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore speciale RAGIONE_SOCIALE, otteneva il 10 dicembre 2016 dal Tribunale di Monza decreto ingiuntivo nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per il pagamento di euro 1.033.000, oltre interessi e spese, per la loro qualità di fideiussori -in forza di fideiussione rilasciata il 2 novembre 2001 fino a tale importo – di RAGIONE_SOCIALE, fallita il 27 giugno 2016.
Si opponeva NOME COGNOME, disconoscendo la propria sottoscrizione della fideiussione, denunciando violazione dell’articolo 1956 c.c. e mancato rispetto di buona fede e correttezza, eccependo la nullità della fideiussione per non averlo la banca informato della sua intenzione di ulteriormente finanziare per ottenerne l’autorizzazione ai sensi dell’articolo 1956 c.c., e affermando l’inadempimento da parte della banca de gli obblighi di trasparenza e di informazione di cui all’articolo 119 TUB, per avere non so lo omesso di chiedere al COGNOME l’autorizzazione ex articolo 1956 c.c., ma anche per non avergli inviato alcuna comunicazione sui rapporti asseritamente garantiti.
Si costituiva l’opposta, insistendo nella sua domanda monitariamente presentata. Intervenivano pure gli altri fideiussori e RAGIONE_SOCIALE, cessionaria in blocco, in forza dell’articolo 58 TUB , dei crediti di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Disposta consulenza tecnica d’ufficio – che dichiarava autentiche le sottoscrizioni rinvenibili sulla fideiussione attribuita al COGNOME -, il Tribunale rigettava l’opposizione con sentenza del 6 marzo 2019.
Il COGNOME proponeva appello, cui resistevano RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, gli altri rimanendo contumaci . La Corte d’appello di Milano rigettava il gravame con sentenza del 21 maggio 2021.
Il COGNOME ha presentato ricorso, basato su sei motivi; si sono difesi con rispettivo controricorso RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE quale mandataria e procuratrice di COGNOME. Quest’ultima e il ricorrente hanno depositato memoria.
Considerato che
Con il primo motivo si denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’articolo 183 c.p.c.
La doglianza si riferisce al motivo d’appello che aveva veicola to l’eccezione già proposta in primo grado relativa alla inammissibilità della verificazione della sottoscrizione in quanto effettuata sull’originale della scrittura disconosciuta , esibito – però mai prodotto dall’opposta soltanto alla seconda udienza, cioè scaduti i termini di cui all’articolo 183, sesto comma, c.p.c. , dal che l’attuale ricorrente aveva dedotto l’inammissibilità della verificazione e la nullità della consulenza tecnica d’ufficio.
Con il secondo motivo si denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’articolo 1956 c.p.c. , argomentando sull’adempimento dell’onere probatorio in relazione alla richiesta dell’autorizzazione del fideiussore per un’obbligazione futura, e sostenendo che tale onere grava il creditore.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1956, 1175 e 1375 c.c., in relazione all’articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., argomentando, anche qui ampiamente, sulla situazione economica e finanziaria della società garantita e sulla relativa informazione del fideiussore.
Con il quarto motivo si denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 1956 c.c. e 119 d.lgs. 1 settembre 1993 n. 385 (TUB) in ordine agli obblighi informativi della banca verso il fideiussore, che sarebbero stati contravvenuti.
Con il quinto motivo si denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’articolo 2, secondo comma, lettera a), l. 287/1990 in ordine ad alcune clausole del modello fideiussorio.
Con il sesto motivo si denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 183 c.p.c. e 2697 c.p.c., in ordine all’onere probatorio che sarebbe gravato sul ricorrente.
Il primo motivo è fondato.
7.1 Il giudice d’appello (sentenza, pagina 10s.) h a disatteso il motivo d’appello relativo alla eccezione di inammissibilità della verificazione per non avere il COGNOME nell’atto di opposizione al decreto ingiuntivo contestato la conformità della copia prodotta dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE all’originale; inoltre ancora ha notato il giudice d’appello – prima della emissione del decreto ingiuntivo la banca, con lettera del 23 settembre 2016, aveva inviato al legale del COGNOME una copia della fideiussione che sarebbe stata da lui rilasciata e, a fronte del disconoscimento della fideiussione, nella comparsa di costituzione quale opposta, aveva chiesto tempestivamente la verificazione ‘riservandosi espressamente’ di produrre l’originale ed eventuali documenti idonei come scritture di comparazione ‘al momento in cui i medesimi dovranno essere consegnati al nominando CTU’; all’udienza successiva alla consumazione dei termini di cui all’articolo 183 c.p.c. , poi, l’ opposta banca ‘ebbe ad esibire in udienza l’originale’.
7.2 Il ricorrente sostiene, nel motivo in esame, che l’originale avrebbe dovuto essere prodotto entro il termine dell’articolo 183, sesto comma, n.2 c.p.c., e che tardiva sarebbe stata quindi la sua produzione se compiuta in seguito.
Comunque l’originale nella presente causa non sarebbe mai stato prodotto venendo invece ‘solo esibito e poi, successivamente, consegnat o al CTU e di
nuovo mai introdotto negli atti del giudizio , ‘ma solo esibito tardivamente’, onde il ricorrente non avrebbe avuto neppure l’obbligo del disconoscimento. Pertanto – deduce il COGNOME l’istanza di verificazione avrebbe dovuto essere rigettata, ‘dovendo necessariamente essere effettuata sull’originale’, non tempestivamente prodotto. Infatti (e si invocano scritti dottrinali) la verificazione sarebbe un modo per conferire efficacia probatoria, ex articolo 2702 c.p.c., alla scrittura privata; e dunque la giurisprudenza di questa Suprema Corte (Cass. 520/2017 e Cass. 16551/2015) ha affermato che, se si disconosce la fotocopia di una scrittura privata, la parte che se ne vuole avvalere deve produrre l’originale, e altresì che, se poi di questo si verifica ulteriore disconoscimento, deve chiederne la verificazione; ulteriore giurisprudenza (come Cass. 7267/2014) insegna poi che il disconoscimento dell’autenticità della firma della scrittura privata fa sì che la parte che se ne voglia avvalere debba produrre l’originale per ottenerne la verificazione , altrimenti potrà essere possibile provare con i mezzi ordinari il contenuto del documento, ma giammai la firma. E infatti l’articolo 217 c.p.c. prevede che, qualora sia richiesta verificazione, il giudice istruttore deve disporre cautele di custodia del documento.
Conclude il ricorrente che nella fattispecie in esame si sarebbe violato il termine dell’articolo 183, sesto comma, n.2 c.p.c.
7.3 Tutti questi rilievi del ricorrente sono pienamente condivisibili.
L’insegnamento apportato da Cass. 7267/2014 è stato poi confermato di recente dal non massimato Cass. 33769/2019; e già anteriormente erano uscite le conformi Cass. 9202/2004, Cass. 11739/1999 e Cass. 9869/2000, tutte massimate, e che quindi avrebbero dovuto essere ben note alla corte milanese. È vero che in precedenza si rinvengono anche pronunce, per così dire, ‘variegate’ in tema, ma ormai da tempo detta giurisprudenza, ben richiamata dal ricorrente, si è appunto integralmente consolidata.
D’altronde , è evidente il significato dell’articolo 217 c.p.c. invocato nel motivo, giacché se la verificazione potesse effettuarsi sulla copia non vi sarebbe alcuna necessità di ‘cautele opportune per la custodia del documento’ divers e e
superiori rispetto alla tutela degli altri documenti prodotti e quindi presenti nei fascicoli di parte.
Tale necessità di superiore tutela, peraltro, insorge solo quando viene disposta la verificazione a seguito del disconoscimento -di cui è un immediato effetto -, e quindi non è sostenibile che, a differenza appunto degli altri documenti, quello oggetto di verificazione possa essere prodotto oltre i termini decadenziali.
7.4 Pertanto, nel caso qui in esame la verificazione non avrebbe dovuto essere espletata perché risulta essere stata compiuta su un documento mai acquisito e soltanto esibito tardivamente; ciò conduce all’accoglimento del ricorso, assorbiti gli altri motivi, e a cassare la sentenza impugnata con conseguente rinvio.
Per ineludibile completezza, poiché l’errore presente nella sentenza emerge ictu oculi , si rileva comunque che anche il secondo motivo è manifestamente fondato, in quanto grava sul creditore l’onere di dimostrare di avere ricevuto la speciale autorizzazione del fideiussore come previsto nell’articolo 1956 c.c., dovendo il creditore tutelare l’interesse del fide iussore, come ontologicamente non può non avvenire nella concretizzazione di un sinallagma governante un negozio in cui confluiscono gli interessi di più parti.
Questa Suprema Corte, in casi a questo conforme, ha chiaramente affermato che nella fattispecie il creditore è la parte onerata da un obbligo previsto ex lege a tutela della controparte, cioè del garante, (Cass. 21730/2010; Cass. ord. 27932/2018), rendendolo consapevole della situazione affinché non venga a perdere, per la volontà del creditore di aumentare il proprio rischio, la garanzia patrimoniale generica su cui il garante stesso aveva fatto iniziale affidamento, nell’ar ticolo 1956 c.c. essendo stato incorporato il principio di correttezza /buona fede, per cui la norma – rileva la Relazione ministeriale al Codice Civile ‘richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del d ebitore il giusto riguardo all’interesse del creditore’. E un principio giuridicamente etico quale quello della correttezza/buona fede va inteso in senso oggettivo, in quanto manifesta un dovere di solidarietà rinvenibile nell’articolo 2 Cost., che crea una tutela reciproca tra le parti pur essendo queste
titolari di interessi contrapposti. Nella fattispecie in esame, cioè la fideiussione per obbligazioni future, l’onere del creditore di chiedere l’autorizzazione del fideiussore prima di concedere il credito al soggetto che quest’ultimo garantisce – soggetto del quale il creditore conosce il sopravvenuto deterioramento delle condizioni patrimoniali – presidia il diritto, ontologicamente solidaristico nella normativamente delineata species negoziale, del fideiussore di sottrarsi, non autorizzandola, ad un’obb ligazione divenuta senza sua colpa maggiormente gravosa (Cass. ord. 7444/2017).
Nella fattispecie, la correttezza/buona fede si concretizza in un dovere di comportamento cui il creditore è tenuto non solo al momento del rilascio della fideiussione ma per tutta la durata della vicenda contrattuale (Cass. 23273/2006). E non è certo sostenibile -come sembra invece ritenere il giudice d’appello che una clausola negoziale come l’articolo 5 del contratto de quo (sentenza, pagina 12) possa esonerare il creditore garantito dall’adempimento delle fondamentali regole di correttezza/buona fede, id est dalla loro concretizzazione nell’articolo 1956 c.c., ‘rovesciando’ i suoi derivati obblighi proprio sul soggetto -il fideiussore -che con essi la legge obbliga a tutelare.
Trattandosi, dunque, di un obbligo ineludibile da parte del creditore, è sistemicamente logico che spetta a quest’ultimo dimostrare di aver lo adempiuto, ovvero dimostrare che il fideiussore, adeguatamente informato dell’oggettivo peggioramento delle condizioni patrimoniali del soggetto il cui debito il fideiussore garantisce, ha rilasciato la speciale apposita autorizzazione di cui all’articolo 1956 c.c.
Tutto questo dimostra, appunto, la fondatezza anche del secondo motivo del ricorso.
Il ricorso va accolto quanto ai primi due motivi, assorbiti gli altri, con cassa zione in relazione dell’impugnata sentenza e rinvio alla Corte d’Appello di Milano, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie p.q.r. i primi due motivi di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’ Appello di Milano, in diversa composizione.
Così deciso in Roma il 5 marzo 2024