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Vendita su tipo di campione: onere della prova

Una società fornitrice di prodotti cosmetici è stata condannata per inadempimento contrattuale a causa di vizi della merce. In Cassazione, la società ha sostenuto che si trattasse di una vendita su tipo di campione, ma la Corte ha rigettato il ricorso. La qualificazione del contratto come vendita comune o su campione è un accertamento di fatto riservato ai giudici di merito, non sindacabile in sede di legittimità. La Corte ha inoltre dichiarato inammissibili i motivi relativi al riesame dei fatti per via della regola della “doppia conforme”, essendo le sentenze di primo e secondo grado allineate sulla valutazione della responsabilità.

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Vendita su tipo di campione e Onere della Prova: La Cassazione Chiarisce

In un contratto di fornitura, la qualità della merce è tutto. Ma cosa succede se i prodotti consegnati non rispettano le specifiche? E chi deve provare la conformità o la difformità? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un caso emblematico, chiarendo i confini tra la valutazione dei fatti, riservata ai giudici di merito, e l’interpretazione della legge, compito della Corte stessa. Al centro della controversia vi è la corretta qualificazione del contratto, in particolare se si tratti o meno di una vendita su tipo di campione, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di onere della prova.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore ingegneristico commissionava a un’azienda farmaceutica lo studio e la fornitura di un innovativo prodotto cosmetico: pastiglie per la doccia aromatizzate. Il rapporto commerciale, tuttavia, si incrinava rapidamente. La società acquirente contestava la qualità della fornitura, lamentando che le pastiglie presentavano gravi difformità rispetto alle caratteristiche pattuite: peso inferiore al previsto, dimensioni non conformi e, soprattutto, un tempo di dissolvimento notevolmente più breve di quello richiesto, oltre a una non corretta miscelazione degli ingredienti.

Il Tribunale di primo grado, basandosi sulle risultanze di una consulenza tecnica d’ufficio (c.t.u.), accertava l’inadempimento della società fornitrice, condannandola a un cospicuo risarcimento dei danni. La Corte d’Appello confermava la responsabilità della fornitrice, pur riducendo l’importo del risarcimento, ritenendo che le prove dimostrassero in modo inequivocabile la non conformità dei prodotti alle specifiche indicate già nella conferma d’ordine iniziale.

I Motivi del Ricorso e la tesi della Vendita su tipo di campione

La società fornitrice decideva di ricorrere in Cassazione, articolando la propria difesa su quattro motivi principali. Il fulcro dell’argomentazione era la presunta violazione dell’art. 1522 c.c. sulla vendita su tipo di campione. Secondo la ricorrente, i giudici di merito avrebbero errato nel non qualificare il contratto in questo modo. Tale qualificazione avrebbe invertito l’onere della prova: sarebbe spettato all’acquirente dimostrare che la merce consegnata era difforme dai campioni precedentemente approvati, e non al fornitore provare la conformità.

Gli altri motivi di ricorso criticavano le conclusioni della c.t.u., sostenevano che le contestazioni avevano riguardato solo una parte minoritaria della fornitura e contestavano il rigetto della propria domanda di pagamento del saldo residuo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, giudicando i motivi in parte infondati e in parte inammissibili.

Sul punto centrale, quello relativo alla qualificazione del contratto, la Corte ha ribadito un principio fondamentale: stabilire la natura di un contratto e il suo contenuto è un accertamento di fatto che spetta esclusivamente al giudice di merito. La Corte di Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella della Corte d’Appello, a meno che non vi sia stata una palese violazione delle norme sull’interpretazione dei contratti. In questo caso, i giudici di merito avevano motivato la loro decisione, concludendo che le caratteristiche del prodotto erano state definite nella conferma d’ordine e non attraverso l’approvazione di un campione successivo. Di conseguenza, non era possibile qualificare il rapporto come vendita su tipo di campione.

Per quanto riguarda le critiche alla c.t.u. e la questione dei lotti contestati, la Corte ha dichiarato i motivi inammissibili in applicazione della regola della “doppia conforme”. Poiché la sentenza d’appello aveva confermato integralmente la valutazione sulla responsabilità già espressa dal tribunale, era preclusa in sede di legittimità ogni ulteriore discussione sui fatti accertati.

Infine, anche il motivo relativo all’eccezione di inadempimento è stato giudicato inammissibile, in quanto si limitava a riproporre una visione dei fatti già smentita nei precedenti gradi di giudizio.

Conclusioni

L’ordinanza in esame offre importanti spunti pratici. In primo luogo, sottolinea l’importanza cruciale di una chiara e dettagliata redazione dei contratti di fornitura. Definire con precisione le specifiche tecniche del prodotto e le modalità di verifica della conformità (ad esempio, tramite approvazione di un campione) è essenziale per prevenire future controversie.

In secondo luogo, la decisione riafferma con forza i limiti del giudizio di Cassazione. La Suprema Corte non è un “terzo grado” di merito dove si possono ridiscutere i fatti. Il suo compito è garantire la corretta applicazione della legge, non riesaminare le prove. La qualificazione giuridica di un rapporto, quando basata sull’analisi di documenti e circostanze di fatto, rientra pienamente nella sfera di competenza dei giudici di primo e secondo grado, e le loro conclusioni, se adeguatamente motivate, non sono censurabili in sede di legittimità.

Quando un contratto di fornitura si qualifica come “vendita su tipo di campione”?
Un contratto si qualifica come “vendita su tipo di campione” quando le parti concordano che la qualità della merce debba essere determinata in riferimento a un campione specifico. La decisione se un contratto rientri in questa categoria è un accertamento di fatto basato sull’interpretazione della volontà delle parti, come risulta dagli accordi e dai documenti contrattuali.

Cosa significa la regola della “doppia conforme” e quali sono le sue conseguenze in Cassazione?
La regola della “doppia conforme” (art. 348-ter, co. 5, c.p.c.) stabilisce che se la sentenza d’appello conferma la decisione di primo grado basandosi sulle stesse argomentazioni di fatto, non è possibile presentare ricorso in Cassazione per il motivo di “omesso esame circa un fatto decisivo”. Di fatto, impedisce di ridiscutere i fatti del caso davanti alla Suprema Corte quando due giudici di merito sono giunti alla medesima conclusione.

Può il giudice di Cassazione riesaminare i fatti accertati nei gradi di merito?
No, il giudice di Cassazione non può riesaminare i fatti. Il suo ruolo è quello di giudice di legittimità, il che significa che il suo compito è verificare la corretta interpretazione e applicazione delle norme di legge da parte dei giudici di merito, senza entrare in una nuova valutazione delle prove e delle circostanze fattuali della causa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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