Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2511 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2511 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/01/2024
ORDINANZA
OGGETTO:
vendita di cose mobili
R.G. 29985/2018
C.C. 12-1-2024
sul ricorso n. 29985/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con indirizzo pec EMAIL
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE, c.f. P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma presso l’AVV_NOTAIO, nel suo studio in INDIRIZZO
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 1214/2018 della Corte d’appello di Milano pubblicata il 9-3-2018 udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12-12024 dalla AVV_NOTAIO NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.La sentenza n. 10189/2016 depositata il 19-9-2016 del Tribunale di Milano ha accertato l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE al contratto concluso con RAGIONE_SOCIALE avente a oggetto la fornitura di prodotti cosmetici -pastiglie per la doccia aromatizzatee l’ha condannata a pagare a titolo di risarcimento dei danni Euro 589.000,00, oltre interessi e rifusione delle spese di lite, rigettando ogni ulteriore domanda.
2.RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello, che la Corte d’appello di Milano ha parzialmente accolto, condannando la società appellante a risarcire il danno alla società appellata nella minore somma di Euro 90.000,00 e rigettando gli altri motivi di appello.
La sentenza ha considerato che la società appellante contestava la ricostruzione del rapporto commerciale intercorso tra le parti, sostenendo che non fosse configurabile un ordinario contratto di vendita ma un rapporto complesso che si era articolato dapprima in un contratto di consulenza finalizzato alla creazione di prototipi e poi in contratto di vendita sul tipo di campione approvato da RAGIONE_SOCIALE. Ha dichiarato che la doglianza era infondata, in quanto l’inadempimento di COGNOME era stato rilevato sulla base delle risultanze della c.t.u. espletata in fase di a.t.p., nella quale era emerso che i prodotti forniti non avevano le caratteristiche pattuite e quindi le obbligazioni delle parti non erano state rispettate, a prescindere dalla qualificazione giuridica del tipo di vendita conclusa; ha aggiunto che le caratteristiche tecniche delle pastiglie erano state indicate nella conferma d’ordine del NUMERO_DOCUMENTO, relativa a ‘studio e realizzazione di prodotto cosmetico’, a dimostrazione che non vi erano fasi contrattuali distinte ma le caratteristiche del prodotto erano già state specificate. Ha rigettato anche il motivo di appello con il quale l’appellante aveva lamentato la qualificazione del rapporto in termini di vendita di aliud pro alio, in quanto le risultanze peritali avevano confermato la difformità delle pastiglie alle caratteristiche pattuite e la gravità delle difformità
riscontrate era tale da incidere sulla funzione naturale o ritenuta essenziale dalle parti.
La sentenza ha rigettato anche le critiche alla consulenza d’ufficio, evidenziando che la consulenza aveva rilevato le consistenti difformità delle pastiglie rispetto alle caratteristiche pattuite, sia con riguardo al peso delle singole pastiglie, risultato inferiore del 12%, sia con riguardo alle dimensioni e al tempo di dissolvimento, di gran lunga inferiore a quello pattuito di tre/quattro minuti, con frantumazione in diverse parti e presenza di granuli bianchi di amido di mais che denotava una non corretta miscelazione degli ingredienti.
La sentenza ha rigettato anche il motivo di appello con il quale la società appellante lamentava il rigetto della domanda relativa al pagamento del suo credito residuo in quanto, a fronte dell’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE nella fornitura della merce risultata viziata, bene aveva fatto RAGIONE_SOCIALE a sospendere ogni ulteriore pagamento.
La sentenza ha parzialmente accolto soltanto il motivo di impugnazione relativo alla quantificazione del danno, rilevando che non erano stati indicati nella sentenza di primo grado i criteri e l’iter logico -giuridico per la quantificazione del danno e non erano state specificate le prove del danno all’immagine riconosciuto; ha dichiarato che il danno doveva essere ancorato al dato oggettivo del valore complessivo della fornitura pari a Euro 90.000,00.
3.Avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
4.RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 12-1-2024 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo rubricato ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 1522, 2697 e 1470 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.)’ la società ricorrente evidenzia di avere sempre sostenuto che ricorresse la fattispecie di cui all’art. 1522 cod. civ., per cui sarebbe spettato alla società acquirente RAGIONE_SOCIALE provare che il prodotto realizzato dalla società venditrice RAGIONE_SOCIALE non aveva le caratteristiche dei campioni a lei forniti e che costituivano l’unico possibile termine di raffronto per la merce fornita alla RAGIONE_SOCIALE. Sostiene che la sentenza impugnata, riten endo l’inadempimento della venditrice sulla base delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio svolta in fase di accertamento tecnico preventivo e prescindendo dalla qualificazione giuridica del tipo di vendita intercorso tra le parti, abbia commesso generale errore di prospettiva, non essendo possibile prescindere dal tipo di vendita. Sostiene che sia la sentenza di primo grado sia quella di appello abbiano, almeno implicitamente, ritenuto trattarsi di fattispecie riconducibile all’art. 1522 cod. civ . e lamenta che poi la sentenza impugnata abbia privato l’accordo per una vendita quanto meno su tipo di campione di qualsiasi valore; ciò perché ha raffrontato le compresse messe in produzione dopo la conferma d’ordine di data 8 -11-2011 non con i prototipi/campioni approvati dalla società acquirente, ma con le caratteristiche inizialmente e indicativamente -in quanto oggetto di successivo studio e campionatura ai fini della verifica di concreta realizzabilità- segnalate alla società venditrice dalla società acquirente. Evidenzia che in tal senso sono rivelatori i documenti, dai quali risulta che in una prima fase l’incarico conferito a COGNOME consisteva in un incarico di studio volto a sondare la realizzabilità del prodotto che la RAGIONE_SOCIALE intendeva commercializzare e in tutte le successive
comunicazioni tra le parti si faceva riferimento ai ‘campioni’. Quindi rileva che la vendita è seguita alla consegna del campione a NOME e solo dopo l’approvazione da parte della stessa è stata ordinata la fornitura dei prodotti, senza che mai success ivamente l’acquirente abbia chiesto di accertare la difformità della merce consegnata rispetto alla campionatura approvata; lamenta che il fatto dell’intervenuta accettazione della campionatura non sia stato correttamente considerato, con l’effetto di trav isare il rapporto contrattuale e le obbligazioni delle parti.
2.Con il secondo motivo ‘ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento alla c.t.u. espletata in sede di A.T.P. (art. 360 n. 5 c.p.c.)’ la ricorrente evidenzia che già nella comparsa di costituzione di primo grado aveva contestato le conclusioni dell’indagine svolta in sede di accertamento tecnico preventivo e poi nell’atto di citazione in appello aveva lamentato gli errori e le lacune della c.t.u. medesima. Rileva che la conclusione del c.t.u., secondo cui i tempi di disgregazione delle pastiglie erano imputabili alle caratteristiche delle stesse, era contrastata dai dati oggettivi, in base ai quali era emerso che i tempi di scioglimento variavano in relazione alla portata, alla pressione, alla durezza e alla temperatura dell’acqua, nonché alla tipologia delle essenze di profumazione utilizzate. Aggiunge che la seconda parte dell’assunto del c.t.u., relativa a una non corretta miscelazione degli ingredienti utilizzati, era priva di significato comprensibile, in quanto il consulente non aveva spiegato come dovesse essere realizzata la corretta miscelazione degli ingredienti; lamenta che la sentenza non abbia considerato quanto accertato dal c.t.u. in ordine al fatto che nel 96,4% dei casi il tempo di dissolvimento delle pastiglie aveva superato la soglia stabilita. Lamenta che la sentenza impugnata abbia ignorato le critiche mosse alla consulenza tecnica e abbia immotivatamente
eluso la questione relativa all’incidenza di fattori estrinseci sulla durata di scioglimento delle compresse, limitandosi a richiamare generiche e indimostrate valutazioni del c.t.u.
3.Con il terzo motivo ‘ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 n. 5 c.p.c.)’ la società ricorrente rileva di avere evidenziato anche che, a tutto concedere, risultava che la società acquirente aveva contestato solo due dei sei lotti consegnati; lamenta che la sentenza impugnata nulla replichi a riguardo, mostrando palesemente di non avere esaminato tale aspetto della vicenda e i documenti assunti dall’appellante a sostegno dell’assunto.
4.Con il quarto motivo ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.)’ la ricorrente evidenzia che in primo grado aveva proposto domanda riconvenzionale volta a ottenere il pagamento del prezzo residuo per Euro 51.521,92 e la rifusione delle spese di accertamento tecnico preventivo; lamenta che la sentenza impugnata abbia dichiarato si trattasse di domanda riferita non al pagamento del prezzo ma al costo delle attività relative alle prove espletate e sostiene la violazione ed er ronea applicazione dell’art. 1460 cod. civ., in quanto COGNOME aveva correttamente adempiuto alle obbligazioni assunte.
5 .Preliminarmente deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla società controricorrente in considerazione delle modalità di redazione del ricorso medesimo.
Si deve dare continuità al principio secondo il quale la violazione da parte del ricorrente per cassazione dei principi di chiarezza e sinteticità espositiva può condurre a una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intellegibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-
forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 cod. proc. civ. (Cass. Sez. U 30-11-2021 n. 37552 Rv. 662971-01). Nella fattispecie il ricorso, seppure non sia rispettoso del principio di sinteticità espositiva, in quanto caratterizzato da lunghezza eccessiva e non necessaria all’esposizione delle argomentazioni, consente di individuare le censure rivolte alla sentenza impugnata.
6.Il primo motivo è infondato.
E’ acquisito il principio secondo il quale in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. Sez. 1 13-10-2017 n. 24155 Rv. 645538-03, Cass. Sez. L 11-1-2016 n. 195 Rv. 638425-01, Cass. Sez. 5 30-12-2015 n. 26110 Rv. 638171-01). Nella fattispecie le argomentazioni della ricorrente non sono utili a fare emergere una erronea interpretazione o applicazione da parte della sentenza impugnata delle disposizioni sulla vendita e sulla vendita a campione, in quanto sono finalizzate a sostenere -anche sulla base dei documenti richiamati nel ricorso- che quella conclusa dalle parti fosse vendita a campione; in questo modo la ricorrente lamenta nella sentenza impugnata una erronea ricognizione della fattispecie concreta, per cui i relativi argomenti non sono apprezzabili in questa sede. Infatti, spetta al giudice di merito individuare il contenuto del contratto che è stato concluso sulla base dei fatti e degli elementi di giudizio dedotti dalle parti e interpretare il contratto stesso alla luce dei criteri ermeneutici previsti dalla legge e nella fattispecie la sentenza impugnata non ha
ritenuto che il contratto concluso dalle parti fosse vendita a campione o su tipo di campione nei termini sostenuti dalla ricorrente. Specificamente, la sentenza a pag. 4 ha dichiarato che le caratteristiche tecniche delle pastiglie oggetto del contratto erano state indicate nella conferma d’ordine del 26 -7-2011, dove si faceva riferimento a ‘studio e realizzazione prodotto cosmetico’; s ulla base di questo dato la sentenza ha ritenuto dimostrato che non vi erano le fasi contrattuali distinte alle quali la ricorrente continua a fare riferimento nel ricorso e ha ritenuto dimostrato che le caratteristiche del prodotto da consegnare oggetto dell’accordo delle parti fossero quelle indicate nella conferma d’ordine e non quelle di un successivo campione. Si tratta evidentemente di accertamento di fatto, sul quale non incidono gli argomenti svolti con il primo motivo di ricorso, e che ha giustificato la mancata applicazione delle disposizioni sulla vendita a campione invocate dalla ricorrente, per cui non rimane neppure spazio per una diversa qualificazione del contratto in sede di legittimità.
7.Il secondo e il terzo motivo, in quanto proposti ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. lamentando l’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, sono inammissibili per la preclusione derivante dalla regola della c.d. ‘doppia conforme’ d i cui all’art. 348 -ter co.5 cod. proc. civ. ratione temporis vigente. La regola si applica alla fattispecie, in quanto la sentenza di secondo grado ha integralmente confermato la sentenza di primo grado in punto responsabilità per inadempimento della società venditrice, rigettando integralmente i relativi motivi di appello aventi a oggetto le questioni ora riproposte con il secondo e terzo motivo di ricorso e riformando la sentenza impugnata limitatamente alla quantificazione del danno, che ha ridotto per ragioni del tutto indipendenti da quelle che hanno comportato il rigetto degli altri motivi di appello . Nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ , il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui all’art.
360 co.1 n. 5 cod. proc. civ. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. 3 28-2-2023 n. 5947 Rv. 667202-01, Cass. Sez. 1 22-12-2016 n. 26774 Rv. 643244-03, Cass. Sez. 2 10-3-2014 n. 5528 Rv. 630359-01); diversamente, nella fattispecie la ricorrente nello svolgimento dei due motivi lamenta che la pronuncia di secondo grado sia stata conforme a quella di primo grado.
8.Il quarto motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 co. 1 n.4 cod. proc. civ.
Gli argomenti svolti nel motivo sono finalizzati a lamentare l’erronea applicazione da parte della sentenza impugnata dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ. esclusivamente sulla base dell’assunto che la società acquirente avesse adempiuto correttamente alle sue obbligazioni; in questo modo le deduzioni non contengono l’ enunciazione richiesta dall’art. 366 co.1 n. 4 cod. proc. civ. delle ragioni per le quali l’eccezione di inadempimento sarebbe stata erroneamente applicata, ma si limitano ad auspicare che dall’accoglimento della prospettazione dei fatti offerta dalla ricorrente consegua anche l’esclusione dell’esistenza dei presupposti per l’applicazione dell’eccezione di inadempimento. Neppure gli altri argomenti svolti nel l’ambito di questo motivo, laddove riferiti a una erronea interpretazione del contenuto della domanda, sono ammissibili, in quanto evidentemente non proponibili lamentando violazione e falsa applicazione dell’art 1460 cod. civ.
9.In conclusione il ricorso deve essere integralmente rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, la società ricorrente deve essere condannata alla rifusione a favore della società controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, in dispositivo liquidate.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese di lite del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 7.600,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione