Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6583 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6583 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20113/2021 R.G. proposto da: NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (EMAIL) e COGNOME NOME (EMAIL), giusta procura speciale in calce al ricorso.
–
ricorrente – contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (EMAIL) che lo rappresenta e difende, anche disgiuntamente, all’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), giusta procura speciale allegata al controricorso.
–
contro
ricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME
–
intimati – avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 1973/2021 depositata il 28/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/11/2023 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. COGNOME NOME e NOME convennero in giudizio avanti al Tribunale di Benevento COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, chiedendo, previo accertamento dell’avvenuto trasferimento della proprietà in capo a COGNOME NOME di un complesso immobiliare sito in Ariano Irpino, costituito da terreno agricolo con annessi fabbricati urbani e rurali di proprietà di COGNOME NOME, la declaratoria d’inefficacia del successivo atto di vendita compiuto dalla COGNOME in favore della RAGIONE_SOCIALE, in quanto lesivo delle proprie ragioni di credito.
A tal fine gli attori dedussero che i loro ‘danti causa’ NOME COGNOME e COGNOME NOME -rispettivamente loro padre e nonna – dopo avere stipulato un contratto preliminare con la COGNOME (il COGNOME quale procuratore speciale della COGNOME, proprietaria), avente ad oggetto il complesso immobiliare di cui sopra, avevano rilasciato una procura speciale alla COGNOME, conferendole ogni potere in merito ai detti immobili, ricevendo parte del prezzo pari ad euro 200.000,00 in contanti e parte, pari ad ulteriori euro 200,000,00 in cambiali rimaste impagate. La COGNOME aveva poi, in forza della detta procura, rivenduto gli immobili – ad un prezzo molto inferiore, pari ad euro 80.000,00 –
alla RAGIONE_SOCIALE, amministrata dal proprio marito e di cui erano soci i figli. Tale importo era stato versato direttamente in favore dei rappresentati.
Chiesero pertanto l’accertamento della dissimulazione della vendita in favore della COGNOME, tramite il rilascio della procura speciale e la conseguente revoca, ex art. 2901 cod. civ., del successivo contratto di compravendita intercorso fra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE; i n subordine chiesero l’annullamento ex art. 1394 cod. civ. di quest’ ultimo contratto, per conflitto d’interessi.
Costituitasi, la COGNOME chiese il rigetto delle domande.
Anche la RAGIONE_SOCIALE si costituì, chiedendo il rigetto delle domande ed in subordine, in via riconvenzionale, la restituzione dell’importo di euro 80.000,00 versato quale prezzo dell’acquisto, oltre interessi e rivalutazione, nonché delle spese sopportate per la compravendita pari ad euro 10.780,00.
1.2. Il Tribunale rigettò le domande degli attori, ritenendo che ‘l’in sé dell’operazione negoziale’ era costituito dall’avere la NOME inteso acquistare la proprietà dei beni di COGNOME NOME e COGNOME NOME per poi rivenderli alla RAGIONE_SOCIALE, conseguendo, contestualmente al pagamento del prezzo di acquisto dei beni, una procura a vendere.
Il Tribunale evidenziò come tale operazione si ponesse ‘in un campo ben distinto dalla simulazione’, poiché l’intera operazione era realmente voluta. Difatti il Tribunale considerò che se il fine dell’operazione era quella di ottenere un risparmio fiscale, tale fine era certamente voluto e, dunque non simulato. In ogni caso, poiché gli attori avevano agito quali eredi di COGNOME NOME e COGNOME NOME, erano incorsi nei limiti probatori di cui all’art. 1414 cod. civ., sicchè comunque non era stata provata la natura simulata dell’operazione.
1.3. Esclusa la simulazione dell’operazione, il Tribunale ritenne assorbito l’esame della domanda ex art. 2901 cod. civ.
Quanto alla domanda ex art. 1394 cod. civ., il Tribunale la considerò infondata, in quanto la procura conteneva espressamente l’autorizzazione per la COGNOME a contrarre anche in conflitto d’interessi con i rappresentati.
La sentenza nr. 29/2017 dell’11 febbraio 2017 del Tribunale di Benevento è stata impugnata da COGNOME NOME e COGNOME NOME.
La Corte d’ Appello di Napoli, ritenendo che nel caso di specie fosse intervenuta una vendita indiretta del complesso immobiliare tra NOME e NOME, cioè che dunque l’operazione in sé fosse un negozio indiretto composto da due contratti di compravendita il primo tra COGNOME NOME e COGNOME NOME ed il secondo tra quest’ultima e la RAGIONE_SOCIALE, per l’effetto ha accolto l’appello, emettendo la sentenza n. 1937/2021 del 25/05/2021, che ha così statuito: ‘1. Accoglie l’appello e, per l’effetto, accertato che è intervenuta una vendita indiretta del complesso immobiliare sito in Ariano Irpino di proprietà di COGNOME NOME tra quest’ultima e COGNOME NOME, dichiara inefficace nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME la successiva vendita del suddetto compendio immobiliare, intervenuta tra COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE a rogito AVV_NOTAIO, rep. 37265, registrato in Ariano Irpino in data 12.11.2007. 2. Rigetta la domanda riconvenzionale di RAGIONE_SOCIALE 3. Condanna NOME e RAGIONE_SOCIALE, in solido, al pagamento, in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio’.
Avverso questa sentenza NOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso COGNOME NOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, n. 4, con riferimento all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ.’ .
Lamenta che la decisione emessa dalla Corte di Appello di Napoli sarebbe affetta da nullità, in quanto la sua motivazione sarebbe contraddittoria e priva di una approfondita disamina logico-giuridica per quanto concerne gli elementi di fatto risultanti dall’istruttoria; talune affermazioni contenute in sentenza sarebbero in contrasto tra loro e non consentirebbero di individuare con la dovuta precisione l’iter logico -giuridico in forza del quale la Corte è giunta a ritenere sussistenti i presupposti per dichiarare l’inefficacia di un atto mai effettivamente stipulato.
Lamenta in particolare che la corte territoriale opina: (i) per l’esistenza di due contratti di compravendita (il primo tra COGNOME e COGNOME ed il secondo tra COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE), (ii) che la sig.ra COGNOME avrebbe venduto il compendio immobiliare alla RAGIONE_SOCIALE al corrispettivo di euro 80.000 e (iii) che tale importo, versato dalla RAGIONE_SOCIALE, sarebbe stato incassato dal sig. COGNOME in forza della procura rilasciata alla COGNOME; ma in tale percorso argomentativo sussiste una contraddizione, perché se effettivamente i contratti fossero due, allora il corrispettivo previsto nella ‘seconda’ vendita avrebbe dovuto essere incassato dalla sig.NOME COGNOME.
In altri termini, l’avvenuto incasso del corrispettivo da parte del sig. COGNOME esclude il preliminare opinamento secondo cui si sarebbe concretizzato un contratto di compravendita tra il sig. COGNOME e la sig.ra COGNOME.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1362 e 2901 cod. civ. con riferimento all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. l’inesistenza di un
‘atto di disposizione del debitore’ e della ‘diminuzione della garanzia patrimoniale’.
Censura la decisione della Corte di Appello di Napoli nella parte in cui ha ritenuto revocabili i contratti di compravendita, senza tener conto che la sig.ra COGNOME non aveva mai acquisito la proprietà dell’immobile e, dunque, la seconda asserita vendita non poteva essere qualificata alla stregua di un atto di disposizione.
Nel caso di specie non si riscontrerebbe, infatti, l’esistenza di due contratti di compravendita, ma uno soltanto, intervenuto tra il venditore COGNOME, per il tramite del procuratore COGNOME, e la RAGIONE_SOCIALE
La corte territoriale ha dunque illegittimamente riformato la decisione di primo grado che aveva invece correttamente opinato che i signori COGNOME NOME e COGNOME NOME non potevano chiedere ed ottenere una dichiarazione di inefficacia ex art. 2901 cod. civ. del trasferimento immobiliare in favore della RAGIONE_SOCIALE, trattandosi di atto posto in essere dal loro dante causa.
Invece l’accoglimento, da parte della corte territoriale in riforma della sentenza di prime cure, della domanda di inefficacia proposta dagli originari attori, si pone in violazione dell’art. 2901 cod. civ., in quanto non sussiste un atto riconducibile al debitore passibile di dichiarazione di inefficacia.
Con ulteriore censura che compone il motivo la ricorrente sostiene poi che in ogni caso l’atto dichiarato inefficace non ha determinato alcuna diminuzione del patrimonio del debitore, per cui non è ravvisabile nel caso di specie il cd. eventus damni . Non si riscontrerebbe infatti alcun decremento del patrimonio della COGNOME per effetto dell’atto dichiarato inefficace, dal momento che gli immobili non avrebbero mai dovuto essere considerati come parte del patrimonio della debitrice, non essendo il bene
oggetto di contrattazione mai entrato nella sfera giuridica ovvero nel patrimonio della COGNOME.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’ art. 348 cod. proc. civ. e dell’art. 112 cod. proc. civ. ai sensi dell’art. 360 comma 1°, n. 4 cod. proc. civ., improcedibilità dell’appello per violazione dell’art. 348 cod. proc. civ. e delle norme a presidio delle notifiche telematiche’ .
Lamenta che la corte territoriale ha omesso ogni tipo di deliberazione in ordine alla sua eccezione di improcedibilità dell’appello per mancata dimostrazione della tempestività di costituzione in giudizio di parte appellante che, costituitasi con modalità cartacea, non ha depositato agli atti gli originali o duplicati informatici della notificazione dell’impugnazione eseguita tramite EMAIL, in spregio della specifica normativa di riferimento.
Il difensore degli appellanti doveva ab origine depositare gli originali o duplicati informatici delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna del messaggio di posta elettronica certificata di cui all’art. 3 bis della legge 53 nel 1994, il suolo a seguito di ciò verificare la prova della tempestività della costituzione degli appellanti.
Ne deriva pertanto la nullità della sentenza impugnata, nella misura in cui il giudice d’appello ha omesso di pronunciarsi su una questione rilevabile d’ufficio, nonché per violazione dell’art. 348 cod. proc. civ., per non aver dichiarato improcedibile l’appello stante l’omesso deposito degli originali delle notifiche dell’atto introduttivo del gravame.
4. Il primo motivo è infondato.
Non sussiste alcuna contraddittorietà nella sentenza impugnata, là dove la corte d’appello ha accertato l’esistenza di due contratti di compravendita (il primo tra COGNOME e NOME ed il secondo tra RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE) e per altro verso ha affermato che ‘le obbligazioni di cui al secondo contratto di
compravendita sarebbero state adempiute e ricevute dal sig. COGNOME, per effetto della procura a vendere rilasciata alla sig.ra COGNOME.
La ricorrente infatti invoca l’illogicità della impugnata sentenza, ma invero la censura solo estrapolando solo alcuni passaggi motivazionali, omettendo di cogliere la ricostruzione della sequenza contrattuale -effettuata dalla corte di merito anche in relazione a circostanze che si assumono pacifiche tra le parti ed incontestate dalla stessa COGNOME– tra la proposta irrevocabile di acquisto, il rilascio della procura favore della signora COGNOME, il successivo atto notarile tra la COGNOME e la C.I.P.A., ed il fatto che, sulla base di questa operazione negoziale, la COGNOME promissaria acquirente ha potuto rivendere il bene promessole senza previamente intestarselo e quindi senza che il diritto su tale bene transitasse nella propria sfera giuridica, conseguendo dunque lo scopo di evitare un doppio trasferimento con la connessa doppia imposizione fiscale (v. p. 7: ‘come ha evidenziato il primo giudice ‘L’in se’ dell’operazione negoziale posta in essere dalle parti COGNOME NOME, quale procuratore speciale della madre COGNOME NOME da una parte, e COGNOME NOME dall’altra, era costituito dal far conseguire alla NOME la proprietà del compendio immobiliare della NOME per poi rivenderlo a terzi eludendo la doppia imposizione fiscale connessa al duplice passaggio di proprietà. Del resto è pacifico tra le parti che effettivamente l’operazione fu realizzata al fine di evitare alla NOME la doppia imposizione fiscale e che ella ebbe a conseguire la proprietà del compendio immobiliare mediante una vendita indiretta (cfr. par. 7 comparsa di risposta in appello di NOME)’).
4.1. Questa è dunque la ratio decidendi della sentenza impugnata, che il motivo, per come formulato, omette di censurare e su cui invece la motivazione si consolida (v., tra le
tante, Cass., 27/09/2022, n. 28156, secondo cui qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la mancata censura di una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto la loro eventuale fondatezza non potrebbe comunque condurre, stante l’intervenuta definitività di una di esse all’annullamento della pronuncia stessa).
Aggiungasi infine che la ricorrente omette di considerare che la corte di merito ha espressamente rilevato che nella proposta irrevocabile di acquisto, prodromica al rilascio della procura, le parti avevano concordato che ‘la COGNOME avrebbe pagato l’intero prezzo degli immobili (…) conseguendo altresì l’anticipato possesso giuridico e materiale dei beni. Elementi questi che suffragano la ricostruzione della vicenda negoziale quale vendita indiretta’ (v. p. 8 dell’impugnata sentenza) ed ha altresì rilevato, ad ulteriore a riprova dell’esistenza del rapporto negoziale tra la COGNOME ed i signori COGNOMENOME, che il credito di cui questi ultimi sono titolari nei confronti della prima è stato accertato dalla sentenza del Tribunale di Torino n. 7773 del 2010, passata in giudicato (v. sempre p. 8 cit.).
5. Il secondo motivo è inammissibile.
In relazione alla deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 cod. civ., questa Corte (v., tra le tante, Cass., 25/11/2019, n. 30686; Cass., 11/03/2019, n. 6946; Cass., 19/01/2018, n. 375; Cass., Sez. Un., 02/02/2016, n. 1914; Cass., 29/03/2016, n. 6054) ha già avuto modo di affermare i seguenti principi:
-l’interpretazione del contratto, consistendo in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui
accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche.
-l’inadeguatezza della motivazione o la violazione delle regole ermeneutiche dedotte per censurare l’interpretazione del contratto data dal giudice di merito devono essere specificamente indicata in modo da dimostrare, in relazione al contenuto del testo contrattuale, l’erroneo risultato interpretativo cui per effetto della predetta violazione è giunta la decisione, che altrimenti sarebbe stata con certezza diversa la decisione; la deduzione deve essere, altresì, accompagnata dalla trascrizione integrale del testo contrattuale in modo da consentire alla Corte di Cassazione di verificare la sussistenza della denunciata violazione e la sua decisività;
-non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati.
-per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni.
Orbene, sotto la formale invocazione della violazione degli artt. 1362 e ss. cod. proc. civ. l’odierna ricorrente, lungi dallo specificare i canoni che in concreto sarebbero rimasti inosservati ed il modo in cui il giudice di merito si sarebbe da essi distaccato, finisce per sollecitare questa Corte ad un riesame delle questioni di fatto, precluso nella presente sede di legittimità.
5.1. L’ulteriore censura di violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 cod. civ. viene del pari inammissibilmente dedotta.
Non denuncia la violazione e falsa applicazione della
normativa indicata secondo i principi dettati da questa Corte (v., tra le tante, Cass., 22 luglio 2020, n. 15634 e Cass., 15/01/2015, n. 635: ‘ Quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità ‘ ), ma si dilunga sulla erroneità del rilievo della corte territoriale dell’esistenza di due contratti di compravendita , così sollecitando un sindacato sulla ricostruzione della quaestio facti , precluso dall’attuale n. 5 dell’art. 360 c.p.c. secondo l’esegesi di cui a Cass., Sez. Un., n. 8053 e 8054 del 2014.
5.2. Infondata è poi l’ulteriore censura relativa alla inesistenza dell’ eventus damni , stante la mancata diminuzione del patrimonio della RAGIONE_SOCIALE.
La corte territoriale ha invero accertato e rilevato:
-che la COGNOME ebbe ad acquistare la proprietà del compendio immobiliare della COGNOME;
-che la domanda di revocatoria ha per oggetto specifico la successiva vendita del detto compendio immobiliare in favore della RAGIONE_SOCIALE;
-che per effetto del passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Torino risulta definitivo l’accertamento dell’esistenza del credito in capo agli appellanti COGNOME;
-che il credito è sorto anteriormente all’atto di cessione in favore della RAGIONE_SOCIALE;
-che con la cessione del compendio immobiliare alla RAGIONE_SOCIALE NOME si è resa impossidente, così sottraendo i propri beni alla garanzia generica dei creditori (p. 9 dell’impugnata sentenza).
Orbene, così argomentando, la corte d’appello ha motivato in maniera conforme al consolidato orientamento di questa Corte, di recente ribadito da Cass., 23/02/2023, n. 5649, secondo cui, ad integrare il pregiudizio alle ragioni del creditore è sufficiente una variazione sia quantitativa che meramente qualitativa del patrimonio del debitore (v. Cass., n. 16221 del 2019; n. 19207 del 2018; n. 966 del 2007; n. 5972 del 2005; n. 20813 del 2004; n. 12144 del 1999), e pertanto pure la mera trasformazione di un bene in altro meno agevolmente aggredibile in sede esecutiva, com’è tipico del danaro, in tal caso determinandosi il pericolo di danno costituito dalla eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva (v. Cass., n. 7262 del 2000); il riconoscimento dell’esistenza dell’ eventus damni non presuppone, peraltro, una valutazione sul pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore istante, ma richiede soltanto la dimostrazione da parte di quest’ultimo della pericolosità dell’atto impugnato, in termini di una possibile, quanto eventuale, infruttuosità della futura esecuzione sui beni del debitore (v. Cass. n. 5105 del 2006); non essendo richiesta, a fondamento dell’azione di azione revocatoria ordinaria, la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito, l’onere di provare l’insussistenza di tale rischio, in ragione di ampie residualità patrimoniali, incombe allora, secondo i principi generali, al convenuto nell’azione di revocazione che eccepisca l’insussistenza, sotto tale profilo, dell’ eventus damni (v. Cass. n. 16221 del 2019; n. 19207 del 2018; n. 966 del 2007, cit.; n. 5972 del 2005, cit.; n. 15257 del 2004; n. 11471 del 2003).
Il terzo motivo -a parte il non marginale rilievo per cui la sentenza impugnata non menziona in alcun modo l’eccezione di improcedibilità dell’appello di cui si lamenta l’omessa pronuncia, neppure riproducendola nelle conclusioni di parte appellata COGNOME trascritte a p. 3- è infondato.
La ricorrente lamenta l’omessa pronuncia della corte territoriale sulla sua eccezione, su una questione, peraltro, rilevabile d’ufficio, proposta in sede di precisazione delle conclusioni e sviluppata in comparsa conclusionale, circa l’improcedibilità dell’appello, per non aver gli allora appellanti COGNOME NOME e COGNOME NOME depositato gli originali telematici o il duplicato informatico della notificazione pec dell’atto di appello, mediante produzione del file ‘postacert.em.p7m’: gli appellanti avrebbero proceduto alla notificazione a mezzo pec, ma si sarebbero poi costituiti in appello in modalità analogica ed avrebbero soltanto prodotto le copie analogiche delle notifiche a mezzo pec, omettendo di provvedere al successivo deposito degli originali o dei duplicati telematici.
6.1. La questione, che la ricorrente pone richiamando una pronuncia della Corte d’Appello di Napol i, va invero scrutinata alla luce dei principi posti dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 25/03/2019, n. 8312, che riprende il precedente arresto, sempre delle Sezioni Unite, 24/09/2018, n. 22438.
Con ampia motivazione le Sezioni Unite n. 8312/2019, riprendendo argomentazioni svolte dalle precedenti Sezioni Unite 22438/2018, sottolineano in linea generale l’esigenza di pervenire ad un’interpretazione maggiormente improntata a salvaguardare il “diritto fondamentale di azione (e, quindi, anche di impugnazione) e difesa in giudizio (art. 24 Cost.), che guarda come obiettivo al principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, alla cui realizzazione coopera, in quanto principio “mezzo”, il giusto processo dalla durata ragionevole (art. 111
Cost.), in una dimensione complessiva di garanzie che rappresentano patrimonio comune di tradizioni giuridiche condivise a livello sovranazionale (art. 47 della Carta di Nizza, art. 19 del Trattato sull’Unione Europea, art. 6 CEDU)”.
In particolare, poi, manifestano di voler dare continuità alla sentenza delle Sezioni Unite n. 22438 del 2018, che, muovendo da tali premesse, ha espressamente affermato di voler proseguire sulla strada tracciata da Cass., n. 30918 del 2017 e Cass., Sez. Un., n. 10266 del 2018, con la finalità di dare una ancora più intensa applicazione ai principi del giusto processo e, in particolare, dalla durata ragionevole (art. 111 Cost.), “in una dimensione complessiva di garanzie che rappresentano patrimonio comune di tradizioni giuridiche condivise a livello sovranazionale (art. 47 della Carta di Nizza, art. 19 del Trattato sull’Unione Europea)” nonché all’art. 6 CEDU, secondo l’indirizzo della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in base al quale il diritto di accesso ad un tribunale (e alla Corte di cassazione), pur prestandosi a limitazioni implicitamente ammesse, in particolare per quanto riguarda le condizioni di ammissibilità di un ricorso, viene leso quando la sua regolamentazione cessa di essere utile agli scopi della certezza del diritto e della buona amministrazione della giustizia e costituisce una sorta di barriera che impedisce alla parte in causa di vedere la sostanza della sua lite esaminata dall’autorità giudiziaria competente (vedi, per tutte: Corte EDU, 16 giugno 2015, COGNOME c. Italia e 15 settembre 2016, COGNOME c. Italia).
In altri termini le Sezioni Unite hanno voluto evitare qualunque vulnus agli artt. 6 CEDU, 47 della Carta UE e 111 Cost., i quali concorrono ad attribuire il massimo rilievo all’effettività dei mezzi di azione e difesa in giudizio, configurati come diretti al raggiungimento del principale scopo del processo, tendente ad una decisione di merito (Cass., Sez. Un.,
11/07/2011, n. 15144).
6.2. Di conseguenza e quindi nell’intento di privilegiare il principio di “strumentalità delle forme” processuali senza vuoti formalismile Sezioni Unite hanno sottolineato come le argomentazioni poste a sostegno della tradizionale giurisprudenza di legittimità in materia di procedibilità del ricorso si siano formate “in ambiente di ricorso analogico” sicché non sono del tutto compatibili “in ambiente di ricorso nativo digitale”.
Nella sentenza n. 22438 cit. è stato, in particolare, evidenziato che l’anzidetta incompatibilità è data dal fatto che, diversamente da quel che accade ‘ in ambiente analogico ‘ , nel caso di specie il destinatario della notifica telematica del ricorso per cassazione predisposto in forma di documento informatico e sottoscritto con firma digitale è in grado di effettuare direttamente tale verifica di conformità, perché viene in possesso dell’originale dell’atto.
Dall’anzidetta constatazione le Sezioni Unite hanno desunto che, per quel che concerne la procedibilità del ricorso, è necessario un adattamento delle regole applicabili, onde evitare che l’applicazione della sanzione dell’improcedibilità, sulla base dei principi tradizionali nati “in ambiente di ricorso analogico”, risulti irragionevole o sproporzionata nel diverso “ambiente digitale”.
6.3. Inoltre, dalla stessa motivazione della sentenza n. 22438 del 2018 si evince chiaramente che le Sezioni Unite hanno inteso i principi ivi affermati come idonei ad avere plurime applicazioni.
6.4. Ne deriva pertanto che, se le Sezioni Unite del 2018 hanno affermato il principio di diritto secondo cui «Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo posta elettronica certificata, senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi
1-bis e 1-ter, I. n. 53 del 1994 o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ai sensi dell’art. 369 c od. proc. civ. sia nel caso in cui il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica di detto ricorso autenticata dal proprio difensore, sia in quello in cui, ai sensi dell’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 82 del 2005, non ne abbia disconosciuto la conformità all’originale notificatogli, e se le Sezioni Unite del 2019 hanno affermato, in relazione alla questione di massima importanza posta in via principale, che: 1) il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l’applicazione della sanzione dell’improcedibilità ove l’unico controricorrente o uno dei controricorrenti (anche in caso di tardiva costituzione) depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2 ‘ , analoghe argomentazioni, giusta l’ ‘efficacia espansiva’ d ei suddetti principi, possono essere svolte nel caso qui esaminato.
Risulta infatti dagli atti, per un verso, che gli allora appellanti COGNOME, dopo aver notificato l’atto di appello a mezzo pec, hanno depositato copia analogica dell’atto con le relate di notifica unitamente alla attestazione di conformità di tali copie cartacee tanto all’atto di appello quanto alle pec di invio e di notifica, e, per altro verso, che la odierna ricorrente COGNOME, in allora parte appellata, ha dato espressamente atto nella sua comparsa di costituzione e risposta che l’atto di citazione in appello è stato notificato al suo difensore.
Non sussistono quindi i presupposti per ritenere che, in allora, l’appello dovesse essere dichiarato improcedibile
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza