Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21131 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21131 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14045/2020 R.G. proposto da:
COGNOME BENEDIKT, COGNOME HERTA, COGNOME HELENE, COGNOME AUGUSTIN, COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al ricorso,
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME
(CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al controricorso,
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI TRENTO SEZIONE DISTACCATA DI BOLZANO n. 147/2019 depositata il 21.12.2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28.5.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione in data 29.6.2016 la RAGIONE_SOCIALE, proprietaria di alcuni fondi in Comune di Fié allo Sciliar (BZ), (la p.ed 682 e la p.f. 3304/12 nel P.T. 596/II del Comune di Fiè), acquistati in base al decreto di trasferimento n.455/2010 del Tribunale di Bolzano del 20.7.2010 dalla massa fallimentare della RAGIONE_SOCIALE, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Bolzano COGNOME Benedikt, NOME, NOME, NOME, NOME e NOME, assumendo di subire da parte di essi impedimenti e turbative nell’esercizio di una servitù di passaggio a piedi e con veicoli sulla particella 3304/1 di proprietà dei convenuti, intavolata a favore di quei fondi, costituita con contratto di compravendita stipulato il 21/31.3.1962, integrato con contratto da essa stipulato con COGNOME NOME anche in nome e per conto degli altri comproprietari il 22.6.2004.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE chiedeva, quindi, di accertare ex art. 1079 cod. civ. l’esistenza della suddetta servitù e di condannare i convenuti alla rimozione degli impedimenti frapposti al suo esercizio ed al risarcimento dei danni subiti.
Si costituivano nel giudizio di primo grado i COGNOME, che preliminarmente eccepivano il difetto di legittimazione attiva ( rectius di titolarità della servitù con conseguente mancanza di interesse ad agire) della RAGIONE_SOCIALE, sostenendo che il menzionato decreto di trasferimento era stato emesso dal giudice delegato al fallimento a seguito di una vendita a trattativa privata non competitiva, in violazione delle norme imperative degli articoli 107 e 108 L.F., ed era quindi nullo ex artt. 1418 e 1421 od. civ., e nel merito che la servitù non era più esercitata dal 1993, ed in via riconvenzionale chiedevano di dichiararne la prescrizione per non uso e per impossibilità di esercizio ex artt. 1073 e 1074 cod. civ..
Il Tribunale di Bolzano con la sentenza n. 324/2018 del 13/14.3.2018, per quanto ancora rileva, dichiarava inammissibile la domanda riconvenzionale dei COGNOME di accertamento della nullità del decreto di trasferimento, rigettava la domanda riconvenzionale dei medesimi di accertamento dell’estinzione per prescrizione del servitù di passaggio a piedi e con veicoli, condannandoli a rimuovere gli ostacoli frapposti ed a cessare le turbative all’esercizio di quella servitù, al risarcimento dei danni subiti dalla RAGIONE_SOCIALE, quantificati in € 4.000,00, rivalutazione monetaria ed interessi legali inclusi, oltre ulteriori interessi fino al saldo, ed al pagamento delle spese processuali.
La sentenza di primo grado veniva impugnata dai COGNOME, che riproponevano la questione della nullità del decreto di trasferimento dei fondi dominanti per violazione dei principi di pubblicità e competitività sanciti dall’art. 107 L.F., mentre l’originaria attrice chiedeva la reiezione dell’appello.
La Corte d’Appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, con la sentenza n. 147/2019 dell’11/21.12.2019, rigettava l’appello e condannava i COGNOME al pagamento delle spese processuali di secondo grado.
Tale sentenza evidenziava, in punto di fatto, che la precedente proprietaria dei fondi dominanti era stata sottoposta a procedura di concordato preventivo; che dopo cinque tentativi di vendita dei beni dell’attivo all’incanto andati deserti, il giudice delegato aveva autorizzato il commissario giudiziale alla vendita a trattativa privata; che poiché neppure quest’ultima aveva dato esito positivo, il commissario giudiziale era stato autorizzato il 15.4.2010 ad organizzare una nuova asta pubblica per il 26.5.2010, da pubblicizzare per estratto sui quotidiani locali; che il 16.4.2010 il commissario giudiziale, resosi conto che col ribasso di 1/5 del prezzo di vendita non si sarebbe potuta ricavare una somma sufficiente a soddisfare gli oneri della procedura, aveva chiesto la revoca della procedura di concordato preventivo ex art. 173 comma 3 L.F. e la dichiarazione di fallimento della RAGIONE_SOCIALE; che sentita tale società il 21.4.2010, il Tribunale fallimentare di Bolzano con la sentenza n. 27/2010, previa revoca della procedura di concordato preventivo, ne aveva dichiarato il fallimento, nominando curatore il precedente commissario giudiziale, e fissando per l’esame dello stato di indebitamento l’udienza del 22.9.2010; che era rimasta ferma l’asta pubblica già fissata per il 26.5.2010; che il 25.5.2010 il curatore fallimentare aveva chiesto al giudice delegato la sospensione delle trattative di vendita ai sensi dell’art. 107 comma 4° L.F., in quanto nel frattempo era intervenuta una proposta irrevocabile di acquisto dei beni al prezzo base d’asta di €4.500.000,00 aumentato del 10%, e lo stesso giorno il giudice delegato aveva autorizzato il curatore fallimentare a sospendere le trattative e ad aggiudicare i beni all’offerente; che il 22.7.2010 il curatore fallimentare aveva attestato l’integrale pagamento del prezzo da parte dell’aggiudicatario ed aveva chiesto l’emissione in favore dello stesso del decreto di trasferimento dei beni; che il decreto di trasferimento a favore dell’originaria attrice era stato
emanato il 20.7.2010 ed integrato il 6.8.2010 e ne era stata eseguita l’intavolazione.
Riteneva, quindi, l’impugnata sentenza, che nonostante la menzione nella premessa del decreto di trasferimento della trattativa privata, la vendita dei fondi dominanti non fosse avvenuta a trattativa privata, posto che l’autorizzazione alla vendita a trattativa privata data nel corso della precedente procedura di concordato preventivo era stata implicitamente revocata con la fissazione successiva della vendita all’incanto per il 26.5.2010, per la quale erano state espletate le formalità pubblicitarie per garantire la competitività richieste dall’art. 107 L.F., sicché la pubblicità e competitività erano state garantite e non era ravvisabile la nullità del decreto di trasferimento ex artt. 1418 e 1421 cod. civ. per contrarietà a norme imperative.
La Corte d’Appello riteneva, invece, che le doglianze relative al fatto che il 25.5.2010 non potesse essere disposta la sospensione della vendita all’incanto fissata per il giorno seguente ex art. 147 4° comma L.F. perché la sospensione presupponeva che l’incanto fosse già iniziato, al fatto se potesse essere tenuta ferma nella procedura fallimentare la vendita all’incanto che era stata fissata durante la precedente procedura di concordato preventivo, ed al fatto che la vendita dei beni fosse avvenuta prima dell’adozione del programma di liquidazione in contrasto con la previsione del primo comma dell’art. 107 L.F. e prima dell’accertamento del passivo fallimentare, in quanto attinenti non ai profili di pubblicità e competitività e quindi a nullità contrattuali, ma a nullità di singole fasi della procedura di vendita forzata della massa fallimentare, potessero essere fatte valere soltanto attraverso gli strumenti del reclamo ex art. 26 L.F., o ex art. 36 L.F., dei quali i COGNOME non avevano inteso avvalersi, manifestando per essi un espresso disinteresse, risultando invece inammissibile per tali violazioni, attinenti a quella che restava comunque una vendita forzata
giudiziaria, comportante l’applicabilità degli articoli 2919 – 2929 cod. civ., una separata azione di accertamento della nullità (Cass. 25.8.2004 n. 16856).
La Corte d’Appello riteneva ulteriormente invocabile, a conferma dell’intangibilità dell’acquisto dei fondi dominanti della fallita da parte dell’originaria attrice, l’art. 2929 cod. civ. e l’art. 187 bis disp. att. c.p.c., dettati per fare salvi gli effetti dell’aggiudicazione anche provvisoria nelle procedure esecutive qualora si verificasse l’estinzione o la chiusura anticipata della procedura esecutiva, ma ritenuti dalla giurisprudenza applicabili ex art. 105 L.F. anche alle procedure concorsuali quando la loro chiusura si verificasse ex art. 118 comma primo n. 2) L.F. per estinzione dei crediti ammessi al passivo con pagamento del compenso al curatore e delle spese di procedura (Cass. 30.11.2006 n. 25507), come pacificamente avvenuto nel caso di specie.
Avverso tale sentenza i COGNOME hanno proposto ricorso alla Suprema Corte, contrastato con controricorso illustrato da memoria dalla originaria attrice.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE, e motivata sul fatto che, non essendo stati impugnati i capi relativi all’accertamento dell’esistenza della servitù di passaggio pedonale e con veicoli ed alla condanna dei COGNOME alla rimozione degli ostacoli relativi all’esercizio della stessa, i ricorrenti non potrebbero trarre dall’accoglimento del loro ricorso alcuna utilità per essere ormai intervenuto su quei capi il giudicato.
Il Collegio rileva che in realtà l’eccezione di difetto della titolarità dei fondi dominanti per nullità del decreto di trasferimento n. 455/2010 del Tribunale di Bolzano del 20.7.2010, riproposta in questa sede dai ricorrenti e già coltivata anche nel giudizio di appello, se dovesse risultare fondata, porterebbe al rigetto
dell’ actio confessoria servitutis e della conseguente domanda di rimozione degli ostacoli frapposti dai COGNOME all’esercizio della servitù di passaggio a piedi e con veicoli oggetto di causa, che sono basate sul fatto che la RAGIONE_SOCIALE, tramite quel decreto di trasferimento, abbia conseguito la proprietà dei fondi dominanti dalla precedente proprietaria fallita, RAGIONE_SOCIALE, che già in parte fruivano di quella servitù in base all’atto di compravendita stipulato il 21/31.3.1962, servitù poi integrata dall’originaria attrice col contratto da essa stipulato con COGNOME NOME anche in nome e per conto degli altri comproprietari il 22.6.2004, per cui fino a che non venga definitivamente respinta la suddetta eccezione di nullità, non possono ritenersi coperte dal giudicato le questioni relativi all’esistenza ed alla turbativa della servitù di passaggio a piedi e con veicoli oggetto di causa.
Passando all’esame dei motivi di ricorso, col primo di essi i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 107 R.D. 16.3.1942 n. 267.
Si dolgono i COGNOME che l’impugnata sentenza abbia ritenuto rispettati i principi di pubblicità e competitività previsti dall’art. 107 L.F. relativamente alla vendita a favore della RAGIONE_SOCIALE dei fondi dominanti, avvenuta all’interno della procedura fallimentare della precedente proprietaria, la RAGIONE_SOCIALE, col decreto di trasferimento n.455/2010 del Tribunale di Bolzano del 20.7.2010, da ciò facendo discendere la reiezione dell’eccezione di nullità del titolo di acquisto dell’attrice da loro sollevata.
Assumono i ricorrenti che, al contrario, non possa ritenersi intervenuta una vendita competitiva, sia in base alla premessa del decreto di trasferimento, nella quale si faceva riferimento ad un’autorizzazione della trattativa privata, sia in quanto la vendita
era avvenuta prima dell’approvazione del programma di liquidazione e della nomina del comitato dei creditori, sia in quanto era stata disposta dal giudice delegato, su richiesta del curatore fallimentare, in data 25.5.2010, la sospensione ex art. 107 comma 4° L.F. dell’incanto fissato per il giorno successivo, impedendo così a soggetti diversi dalla RAGIONE_SOCIALE di partecipare con le loro offerte alla liquidazione dei beni fallimentari.
Il motivo é iinfondato, in quanto con esso non si lamenta un’erronea interpretazione dell’art. 107 L.F., che anche dopo la riforma del D.Lgs. 9.1.2006 n. 5 richiede ai fini della validità dei beni immobili della massa fallimentare che siano garantite, indipendentemente dalle forme di vendita utilizzate, la pubblicità dell’offerta e la competitività, prescritte da norme imperative la cui violazione determina la nullità ex art. 1418 cod. civ., che può essere fatta valere da qualunque interessato, posto che a tale interpretazione si é conformata la sentenza impugnata.
I ricorrenti puntano piuttosto ad ottenere dalla Suprema Corte una rivalutazione del materiale istruttorio che conduca a qualificare quella compiuta col decreto di trasferimento n. 455/2010 del Tribunale di Bolzano del 20.7.2010, come una vendita a trattativa privata, anziché come una vendita competitiva (vedi sull’inammissibilità di una valutazione siffatta in sede di legittimità Cass. sez. un. 25.10.2013 n. 24148), e prospettano una propria autonoma e contrapposta interpretazione giuridica dei fatti, senza peraltro confrontarsi con l’approfondita e puntuale motivazione addotta dalla Corte d’Appello (vedi sull’inammissibilità della prospettazione in sede di legittimità di una diversa, autonoma ed apodittica interpretazione basata su una diversa ricostruzione dei fatti Cass. n. 12/2020; Cass. n. 15381/2004; Cass. n.13839/2004; Cass. n.5359/2004; Cass. n. 753/2004).
L’impugnata sentenza ha, infatti, ritenuto che attraverso le numerose precedenti fissazioni di vendite all’incanto dei beni della
società andate deserte siano state garantite in modo adeguato quelle forme di pubblicità e conoscibilità dell’offerta di vendita e di competizione tra i potenziali acquirenti (che fino al 25.5.2010, giorno di sospensione della vendita all’incanto, avrebbero potuto depositare nella cancelleria fallimentare offerte irrevocabili di acquisto ex art. 571 c.p.c. sulla base della pubblicità effettuata, in modo analogo alla aggiudicataria) che sono richieste dall’art. 107 L.F. a pena di nullità (vedi in tal senso Cass. n. 27667/2011).
E’ sufficiente rinviare in proposito alle argomentazioni svolte a pagg. 12 e ss della sentenza.
Gli ulteriori vizi della procedura di vendita fallimentare che i ricorrenti vorrebbero far valere (vendita avvenuta prima dell’approvazione del programma di liquidazione e della nomina del comitato dei creditori, sospensione della vendita all’incanto disposta ex art. 107 comma 4° L.F. prima che fosse presentata un’offerta con rialzo di almeno il 10% dopo l’apertura dell’incanto, fissazione della vendita all’incanto del 26.5.2010 poi sospesa il giorno prima nell’ambito della procedura di concordato preventivo poi sfociata nel fallimento senza una formale conferma della stessa da parte degli organi fallimentari), sono stati correttamente qualificati dalla Corte d’Appello, con ampi richiami alla giurisprudenza di legittimità in materia di esecuzione, ma anche fallimentare, come vizi attinenti a singoli passaggi della procedura seguita per quella particolare vendita giudiziaria forzata che é la vendita fallimentare (vedi in tal senso da ultimo Cass. sez. un. 19.3.2024 n. 7337, che qualifica la vendita fallimentare come vendita giudiziaria caratterizzata dopo la riforma degli artt. 107 e 108 L.F. dagli elementi della stima, della pubblicità e della competitività) di rilievo solo endofallimentare, che potevano essere fatti valere attraverso i rimedi del reclamo ex art. 26 L.F. nei confronti del giudice delegato al fallimento, e del reclamo ex art. 36 L.F. nei confronti del curatore fallimentare, ma per i quali i
COGNOME non si erano attivati nell’ambito della procedura concorsuale, mostrandosi disinteressati, e da ciò ha fatto derivare l’inammissibilità della relativa domanda di nullità al fuori di quella procedura.
Col secondo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1418, 1421, 1079, 2919 e 2929 cod. civ., degli articoli 100, 112, 156, 157, 159 e 586 c.p.c., nonché dell’art. 187 bis disp. stt. c.p.c. in combinato disposto con l’art. 107 R.D. 16.3.1942 n. 267, con riferimento anche al principio della rilevabilità d’ufficio della nullità della vendita dei fondi dominanti.
Si dolgono i ricorrenti che l’impugnata sentenza abbia qualificato come processuale la nullità sostanziale da loro lamentata, in relazione agli articoli 1421 e 1418 cod. civ., per il fatto che la vendita dei beni del fallimento della RAGIONE_SOCIALE fosse avvenuta senza garantire le forme di pubblicità e di competitività previste dall’art. 107 L.F., ritenendola quindi sindacabile solo attraverso i rimedi endoprocessuali del reclamo ex art. 26 L.F., o del reclamo ex art. 36 L.F ., mentre in realtà si trattava di nullità rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado, che essi avevano interesse a far valere per caducare il diritto di proprietà sui fondi dominanti della RAGIONE_SOCIALE
Il motivo é inammissibile perchè non si confronta con la ratio della sentenza impugnata (cfr. cass. 19989/2017; cass. 8247/2024).
La Corte di merito, come sopra evidenziato, non ha considerato come nullità processuale, da far valere necessariamente attraverso i rimedi endofallimentari del reclamo ex art. 26 L.F. o ex art. 36 L.F., quella della vendita effettuata in sede fallimentare senza le garanzie di pubblicità e competitività imposte dall’art. 107 L.F., avendo piuttosto ritenuto infondata nel merito la suddetta eccezione di nullità sollevata dagli attuali ricorrenti, in ragione della
stima, della pubblicità e delle possibilità di acquisto dei beni del fallimento, che anche grazie alla consecuzione di procedure verificatasi tra il concordato preventivo ed il fallimento, erano state offerte.
La tematica delle nullità processuali e dei rimedi endofallimentari é stata piuttosto richiamata, dall’impugnata sentenza, per gli ulteriori vizi attinenti a singoli passaggi della procedura di vendita fallimentare, sopra già elencati (vedi pagina 7), che gli attuali ricorrenti intendevano far valere, per i quali sono stati opportunamente richiamati i principi dell’art. 2929 cod. civ. e dell’art. 187 bis disp. att. c.p.c., dettati in materia di procedure esecutive, ma applicabili anche nelle procedure di fallimento che siano state chiuse ex art. 118 comma primo n. 2) L.F. per estinzione dei crediti ammessi al passivo ed il pagamento del compenso al curatore e delle spese di procedura (Cass. 30.11.2006 n. 25507), principi in base ai quali le nullità degli atti che hanno preceduto la vendita forzata giudiziaria non hanno effetto nei confronti dell’acquirente dei beni salvo il caso di collusione.
L’operatività riconosciuta degli articoli 2929 cod. civ. e 187 bis disp. att. c.p.c. per i lamentati vizi attinenti a singoli passaggi della procedura di vendita fallimentare, che non é stata censurata, costituisce una seconda ratio giustificativa della sentenza impugnata sul punto, e rende quindi inammissibile anche sotto questo profilo la doglianza ad essi relativa dei ricorrenti.
In conclusione, il ricorso va respinto.
In base al principio della soccombenza i ricorrenti vanno condannati in solido al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n.228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 -quater del
D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate nella somma di € 200,00 per spese e di € 5.000,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato se dovuto.
sì deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28.5.2024