Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6814 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6814 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2483/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati NOMECOGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché contro
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZOINDIRIZZO COGNOMEINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
COGNOME
intimati
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 3920/2020 depositata il 18/11/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva i coniugi COGNOME e COGNOME per sentirli condannare ad eliminare la massicciata cementizia, restituire la zona di mq 172 di sua proprietà, ad eliminare le tubazioni dei bagni poste a distanza illegale, ad eliminare le pensiline poste al piano rialzato, ad abbattere le pensiline poste al primo piano, a rimuovere il tubolare metallico che impediva il trasporto di oggetti di altezza superiore, a non sostare con l’autovettura ed intralciare l’ accesso alla restante proprietà di essa attrice, ad eliminare il muretto, oltre che al risarcimento dei danni conseguenti alla estirpazione delle piante di agrumi ed alla ripulitura effettuata dall ‘ attrice a proprie spese.
Si costituivano in giudizio i coniugi COGNOME e il COGNOME chiedendo il rigetto della domanda attorea. In via subordinata, i convenuti chiedevano di essere autorizzati alia chiamata in causa dei signori COGNOME NOME e COGNOME NOME, venditori dell’immobile, nonché del notaio che aveva rogato l’atto, dott.
NOME COGNOME perché nell’ipotesi di accoglimento della domanda dell’attrice, avendo venduto beni di cui non erano titolari, venissero condannati a rivalere i convenuti dalle eventuali somme che fossero stati costretti a sborsare; ancora con domanda riconvenzionale condizionata chiedevano, altresì, nell’ipotesi di accoglimento della domanda principale, che venisse dichiarato risolto per colpa ed in danno dei venditori il contratto di compravendita con contestuale condanna anche del notaio che aveva rogato l’atto, al risarcimento di tutti i danni.
ll Tribunale autorizzava la chiamata in causa e si costituivano in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME che impugnavano la domanda principale e la domanda riconvenzionale condizionata proposta dai convenuti nei loro confronti e ne chiedevano il rigetto.
Si costituiva anche il notaio NOME COGNOME chiedendo il rigetto della domanda svolta nei suoi confronti.
Il Tribunale di Torre Annunziata accoglieva la domanda principale proposta dalla COGNOME ad eccezione della domanda relativa al riconoscimento della proprietà in capo al l’attrice della corte. Rigettava anche le domande proposte nei confronti del venditore e del notaio rogante.
NOME COGNOME interponeva appello avverso la suddetta sentenza nella parte in cui aveva accertato la comproprietà – e non, invece, la proprietà esclusiva in capo all’esponente di parte dell’area cortilizia ricadente nella zona contraddistinta con la lettera B) del grafico allegato all’elaborato peritale a firma del geom. NOME COGNOME con la richiesta di condanna di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME: a) al rilascio di detta area e alla
rimozione della massicciata in calcestruzzo su di essa apposta; b) alla eliminazione del muretto di recinzione e della tettoia abusivamente realizzati su detta porzione immobiliare; c) alla chiusura delle vedute raffigurate nella foto n. 2) della consulenza di parte dell’odierna esponente.
NOME COGNOME e NOME COGNOME si costituivano nel giudizio di appello e proponevano appello condizionato per la riforma dei capi della sentenza con cui essi erano stati condannati alla rimozione della massicciata sulla parte ritenuta di proprietà esclusiva della COGNOME, dei tubi in pvc presenti sulla facciata est del fabbricato di loro proprietà, nonché del tubolare posto in senso orizzontale sul cancello di ingresso al viale; condizionatamente all’accoglimento dell’appello principale chied evano, altresì, accogliersi le domande già avanzate in primo grado con la chiamata in causa dei coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOMEdanti causa) e del notaio rogante NOME COGNOME finalizzate alla declaratoria della risoluzione del contratto di acquisto immobiliare per notar COGNOME del 29.12.2005 nonché alla condanna di costoro al risarcimento dei danni conseguentemente subiti, quantificabili in via equitativa in € 200.000,00 ;
Si costituiva NOME COGNOME chiedendo la sua estromissione dal giudizio.
Si costituivano NOME COGNOME e NOME COGNOME e il notaio NOME COGNOME insistendo per la conferma della statuizione gravata.
La Corte d’Appello di Napoli in riforma della sentenza accoglieva l’appello principale per quel che ancora rileva, in riforma del capo 2 della statuizione impugnata, accertava la proprietà
esclusiva in favore di NOME COGNOME del terreno sito in Sant’Antonio Abate alla INDIRIZZO in catasto terreni al foglio 7 p.lla 243 di mq 1.098 nonché del viale di accesso catastalmente identificato al foglio 7, p.lle 238/a e 238/c, condannava NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME al rilascio dell’area ricadente nella lettera B del rilievo grafico allegato all’elaborato peritale a firma del geom. NOME COGNOME depositato nel gennaio 2013, che aveva come confine lato nord ed ovest il fabbricato degli appellati COGNOME–COGNOME, lato sud il viale di accesso di proprietà esclusiva di NOME COGNOME della larghezza di metri lineari tre, e lato est il muretto attualmente esistente in loco e perpendicolare al fabbricato.
Il giudice del gravame, inoltre, rigettava l’appello incidentale condizionato interposto dai coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché le domande di risoluzione del contratto di compravendita per notar NOME COGNOME del 29.12.2005 e di risarcimento dei conseguenti danni da essi proposte nei confronti di Procida-COGNOME e di Branca.
In particolare, la Corte d’ Appello sulla base della CTU da cui il primo giudice si era discostato e dall’esame dei titoli riteneva provata la proprietà esclusiva dell’area in capo all’originaria attrice.
Dal confronto tra i titoli di provenienza con lo stato dei luoghi l’ausiliario d’ufficio aveva concluso nel senso che tutta l’area identificata nel grafico con la lettera B era di proprietà esclusiva della COGNOME, rientrando nella complessiva estensione di mq 1.098, da cui era composta la p.lla 247 acquistata dall’appellante in virtù del decreto di trasferimento.
Il convincimento dell’ausiliario d’ufficio si era fondato su una serie di considerazioni logiche e tecniche, dalle quali il giudice a quo si era discostato e che invece erano pienamente condivisibili. Appariva, in primo luogo, significativa la circostanza, rimarcata dal CTU, che il decreto di trasferimento del 13.6.2005 in favore di COGNOME NOME (in regime di comunione legale con COGNOME NOME), dante causa degli odierni appellati Calabrese-Cascone e a Cascone Aniello, a ben vedere non recava alcun riferimento descrittivo ad una ‘ corte ‘, oggetto di proprietà indivisa, descrivendo unicamente le porzioni di fabbricato e, segnatamente, in un caso, quella sita al piano rialzato con annessi locali al piano cantinato e, nel secondo caso, l’unità ubicata al primo piano ed il locale cucinino con bagno. L’inclusione nel titolo in esame anche dei diritti proporzionali sulla ‘ corte ‘ non poteva sostenersi neanche in forza della raffigurazione grafica della scheda catastale n. 47 dell’11.1.1977, con cui il bene veniva identificato nel decreto di trasferimento del 13.6.2005 in favore di COGNOME NOME, la cui indicazione, secondo il Tribunale, doveva assurgere a criterio interpretativo preferenziale, difettando, nella specie, nel titolo di provenienza, l’identificazione del cespite mediante l’individuazione dei confini.
Come, infatti, persuasivamente osservato dal CTU a riguardo, la rappresentazione grafica di detta scheda catastale risaliva ad un periodo (1977) in cui l’intera consistenza immobiliare (ovverosia l’appezzamento di terreno ed il corpo di fabbrica su di esso insistente) non era ancora stata divisa tra i coeredi dell’originario unico proprietario COGNOME NOME, sicché non era possibile ricavarne elementi determinanti ai fini della individuazione delle
superfici dei singoli lotti derivati per frazionamento, successivamente acquistati separatamente dalla COGNOME e da COGNOME NOME con i decreti di trasferimento emessi nel giudizio intrapreso appunto per lo scioglimento della comunione ereditaria venuta incidentalmente a costituirsi per effetto degli acquisti mortis causa .
Anche a voler considerare la raffigurazione della scheda catastale come espressione del frazionamento della originaria consistenza unitaria, eseguito in vista del futuro scioglimento della comunione, la dicitura ‘ CORTE ‘ riportata nel grafico non era indice univoco della annessione della corrispondente superficie alla porzione di fabbricato, restando ben compatibile con il tracciamento di uno dei confini di detta porzione e, segnatamente, di quello posto sul lato sud.
L’interpretazione prospettata era avallata dal raffronto della scheda in questione con quella n. 46/1977, identificativa della porzione al primo piano, poi pervenuta in proprietà di Cascone Aniello, in cui la zona in contestazione era graficamente riportata con la dicitura ‘ stessa ditta ‘, evidentemente utilizzata per individuare il confine (sud) della porzione immobiliare da frazionare, coerentemente con la circostanza che, a quella data, la restante superficie ubicata a sud figurava, come quella ad est, ancora in ditta al de cuius COGNOME Giuseppe.
Ciò era coerente anche con gli esiti della CTU espletata dall’ing. NOME COGNOME nel giudizio di scioglimento della comunione ereditaria, in cui risultavano descritti gli immobili in vista della formazione dei lotti poi aggiudicati con i decreti di trasferimento. In quella sede, il CTU, premessa l’impossibil ità di formare un
comodo progetto di divisione del compendio immobiliare caduto in successione, dettava i criteri per la individuazione dei singoli lotti da mettere in vendita, indicando all’uopo separatamente l’appezzamento di terreno di mq 1098 (‘ escluso l’occupato del fabbricato ed il viale di accesso ‘), ivi identificato con la lettera B, da un lato, ed i quartini al piano rialzato e al primo piano del fabbricato nonché i locali cantinati e locale terranei, ivi rispettivamente contraddistinti con le lettere C1, C2, C3 e D, tutti stimati con altrettanto autonomi corrispettivi.
In particolare, veniva in rilievo che nelle porzioni ‘lottizzate’ con le lettere C1, C2, C3 e D, il terreno non era mai descritto come una superficie esterna alla sagoma dei corpi di fabbrica, sia pure solo quale oggetto di proporzionali diritti su un bene comune, ma unicamente come area di sedime, ovverosia come superficie occupata dalla sagoma di ingombro delle porzioni di fabbricato, del resto coerentemente con l’inclusione, nel lotto di cui alla lettera B, dell’intera consistenza di mq 1098 della p.lla 243 residuata ‘ al netto del costruito ‘.
La correttezza di tale opzione ricostruttiva non era poi contraddetta dall’assunto degli appellati, secondo cui, solo sottraendo l’area cortilizia identificata con la lettera B nel grafico allegato all’elaborato peritale del geom. COGNOME, il terreno di proprietà della COGNOME avrebbe assunto la consistenza indicata nel titolo di acquisto (mq 109). Infatti, sommando la superficie di cui alla zona contraddistinta nel rilievo grafico allegato all’elaborato peritale con la lettera B (mq 139.50) con quella di cui alla lettera C (mq 927,48) ed alla lettera D (mq. 31,02), si otteneva proprio il risultato di mq. 1098, di cui misura catastalmente la p.lla 243,
mentre l’eventuale aggiunta di mq 26, quale conseguenza della prospettata necessaria annessione del viottolo posto sul confine est, rientrava, come chiarito dal CTU, nella normale ‘tolleranza catastale.
Inoltre, la Corte d’Appello rigettava la domanda di risoluzione del contratto di compravendita per notar COGNOME del 2005 specificamente reiterata dagli appellanti incidentali COGNOME NOME e COGNOME NOME, sul presupposto che l’accertata esclusiva appartenenza ad altri della ‘ corte ‘, sulla quale erano stati loro trasferiti, a non domino , diritti pro quota, avesse fatto venir meno l’interesse a conservare il vincolo contrattuale anche sulla parte dell’immobile da essi validamente acquistata.
La fattispecie dedotta andava inquadrata nell’ambito dell’art. 1480 c.c. e non ricorrevano le condizioni affinché potesse concludersi che il venir meno dell’utilità ricavabile dalla porzione (corte) non appartenere al venditore, avesse determinato, in rapporto a quella ritraibile dal bene acquistato a domino , uno sbilanciamento dell’originario sinallagma contrattuale e dell’assetto dei reciproci interessi avuti di mira dai contraenti, tale da giustificare lo scioglimento dal vincolo negoziale.
Le conseguenze pregiudizievoli asseritamente derivanti dalla perdita di disponibilità dell’area che gli appellanti incidentali erano obbligati a rilasciare alla COGNOME, consistenti, a loro dire, nell’impossibilità di parcheggiare le autovetture in prossimità della propria abitazione, nonché di avere a disposizione uno spazio esterno ove appoggiare anche provvisoriamente qualsiasi oggetto, non erano di rilevanza tale, nell’equilibrio complessivo dell’acquisto
immobiliare, da privarli totalmente di interesse al mantenimento della proprietà sul corpo di fabbrica.
Del resto, non andava sottaciuto che questi ultimi ben avrebbero potuto tutelare il proprio diritto a ristabilire un più bilanciato equilibrio nelle prestazioni contrattuali, in conseguenza dell’accertata parziale alienità del bene venduto, chiedendo, in via alternativa alla non spettante risoluzione contrattuale, una riduzione del prezzo della compravendita, domanda, invece, non formulata nemmeno in subordine.
Infine, rigettava la domanda di risarcimento dei danni che gli appellanti incidentali avevano specificamente reiterato nei confronti dei terzi chiamati in causa Procida- Cascone e Branca. Esclusi, invero, i presupposti per la chiesta risoluzione, della fattispecie illecita azionata nei rapporti con i terzi difettava, in via assorbente, l’elemento costitutivo del danno, che, nella allegazione specificamente riproposta nel presente grado, era stato correlato agli effetti pregiudizievoli della perdita integrale del bene compravenduto e, segnatamente, allo stravolgimento esistenziale derivante dal trasferimento abitativo in altro luogo e al cambiamento radicale delle proprie abitudini di vita.
Impregiudicato quanto esposto, si aggiungeva, con riferimento alla posizione del notaio rogante – al quale gli appellanti incidentali addebitavano una grave negligenza nell’espletamento dell’incarico professionale affidatogli e, in particolare, la mancata rilevazione che la ‘ corte ‘, su cui venivano alienati in loro favore i diritti di comproprietà, non apparteneva ai venditori Procida-Cascone- che la complessità dell’accertamento tecnico, resosi necessario nel presente giudizio per appurare l’esclusione del la porzione in
contestazione dalla scheda catastale n. 47 del 1977, era indice della inesigibilità della verifica da parte del notaio, sia pure alla stregua del livello di diligenza particolarmente qualificata ex art. 1176 c.c., comma 2, e art. 2236 c.c., con cui egli è normalmente tenuto ad adempiere la sua prestazione professionale.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi di ricorso.
NOME COGNOME e NOME COGNOME con separati atti hanno resistito con controricorso. Le restanti parti sono rimaste intimate.
Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha nno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 948 c.c., 1362 c.c., 1346 c.c., 1538 c.c. e 116 c.p.c.
Nel caso di specie, risulterebbe incontestabile, che l’intero bene apparteneva ad un unico proprietario, NOME COGNOME; risulterebbe, altresì, incontestabile che erano stati formati, a seguito di giudizio di divisione, tre lotti (lotto secondo acquistato dalla signora COGNOME NOME; lotto terzo e quarto, in sede di aggiudicazione, acquistato dai coniugi COGNOME NOME e NOME COGNOME); risulterebbe altresì incontestabile che il lotto acquistato dalla COGNOME era identificato catastalmente con le particelle 238/ a; 238c e 243; risulterebbe altresì incontestato che il lotto terzo, attualmente in proprietà degli odierni ricorrenti, era identificato nel decreto di trasferimento con la scheda 47 mentre il lotto quarto con la scheda 46.
Risulterebbe altrettanto incontestabile che i lotti terzo e quarto ricadono sulla sezione di terreno di cui al Lotto 2) perché non è stata eseguita la formale operazione di immissione in mappa catastale del fabbricato e risultano denunciati al Catasto Urbano (che e altra cosa rispetto al Catasto Terreni) in data 11 gennaio 1977 con schede n. 46 en. 47
L’errore evidente sarebbe stato quello di recepire le considerazioni del C.T.U. che non trovano nessun riscontro nella documentazione in atti e in particolare nei titoli di provenienza, in particolare con riferimento alla scheda 47. In detta scheda, parte integrante dell’atto, emergerebbe inequivocabilmente che oltre all’appartamento e ai manufatti vari costituiti dai collegamenti verticali per l’ accesso al piano rialzato, al sottostante piano cantinato e al sovrastante piano primo, sarebbe chiaramente riportata, tra l’altro, una corte, ovvero un’area urbana (ricadente nel prevalente Catasto Fabbricati e non nel Catasto Terreni) al servizio dell’appartamento.
Nel caso di specie l’identificazione dell ‘ immobile e della corte non sarebbe attribuita al dante causa degli odierni ricorrenti con una mappa catastale (del Catasto Terreni – scala 1:2000) che potrebbe essere foriera di dubbi e incertezze, ma da una planimetria catastale di dettaglio (scheda numerata in scala 1:200) del Catasto Fabbricati espressamente richiamata nel decreto di trasferimento.
Il ricorrente richiama la giurisprudenza di legittimità sul valore dei dati catastali nell’interpretazione dei contratti di compravendita immobiliare ove richiamati espressamente nel contratto e allegati
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza per violazione degli art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., 115 c.p.c..
La censura è in gran parte ripetitiva della precedente sotto il profilo della assenza di motivazione e della erronea valutazione probatoria.
La Corte di Appello dopo aver riportato i titoli di provenienza in forza dei quali i cespiti sono rispettivamente pervenuti in capo alle parti del presente giudizio, ha recepito le argomentazioni svolte dal C.T.U. nella prima fase della causa senza fare riferimento ai titoli di provenienza e alia documentazione versata in atti. L’illogicità e l’ erroneità di quanto assunto dalla Corte partenopea sarebbe di tutta evidenza, considerato che nella decisione in esame avrebbe omesso di considerare la scheda 47 allegata al decreto di trasferimento relativa alia vendita del terzo lotto, parte integrante del titolo, dove, tra l’ altro sarebbe riportata la “corte” ovverosia un’area urbana (ricadente nel catasto fabbricati e non nel catasto terreni) al servizio del fabbricato sempre riportato in detta scheda.
2.1 I primi due motivi che possono essere esaminati congiuntamente stante la loro evidente connessione sono in parte inammissibili e in parte infondati.
I ricorrenti chiedono alla Corte una diversa interpretazione dei rispettivi titoli esaminati nel giudizio di merito al fine di dimostrare che il loro acquisto riguardava anche la corte quale bene comune indiviso.
La Corte d’Appello ha ricostruito i passaggi di proprietà a cominciare dalla divisione ereditaria di NOME COGNOME e ha
ampiamente motivato in relazione ai decreti di trasferimento della divisione ereditaria.
Sulla scorta della consulenza tecnica il giudice del merito ha ritenuto che il decreto di trasferimento della COGNOME, odierna controricorrente, comprendesse anche il bene oggetto di contesa e che quindi quest’ultima fosse proprietaria esclusiva della corte.
La sentenza si fonda su un approfondito esame dei titoli di provenienza supportata anche in riferimento allo stato dei luoghi dalle conclusioni della consulenza tecnica di ufficio disattese dal giudice di primo grado. La Corte d’Appello, infatti, ha accertato che i decreti di trasferimento dei danti causa degli odierni ricorrenti non facevano alcun riferimento alla corte comune citata solo nei loro successivi atti di acquisto.
I ricorrenti ritengono che il loro acquisto della corte comune risulterebbe dal fatto che i suddetti decreti di trasferimento richiamano la scheda catastale n. 47. Tale circostanza è stata ampiamente dibattuta nel corso del giudizio e la Corte d’Appello ha evidenziato come non possa accedersi alla tesi dei ricorrenti perché la suddetta scheda era riferita all’anno 1977 quando il bene era ancora indiviso e l’ ha ritenuta non utile ai fini di stabilire la formazione dei lotti della divisione ereditaria e che dunque l’impossibilità di ricavarne elementi determinanti ai fini della individuazione delle superfici dei singoli lotti derivati per frazionamento e successivamente acquistati separatamente dalla COGNOME e da COGNOME NOME con i decreti di trasferimento emessi nel giudizio intrapreso appunto per lo scioglimento della comunione ereditaria.
Pertanto, venendo alle censure proposte con il primo motivo le stesse sono inammissibili in quanto tendono ad una rivalutazione in fatto dell’accertamento compiuto dalla Corte d’Appello e fondato, come si è detto, sull’esame dei titoli di acquisto. La corte territoriale è giunta alle dette conclusioni con corretto apprezzamento di merito esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento.
In sostanza, il ricorrente con il primo motivo, anche là dove denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione di legge, in realtà sollecita questa Corte ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto emerse nel giudizio di merito. Come si è più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 3267 del 12/02/2008, Rv. 601665), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.
La censura svolta con il secondo motivo di violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. è infondata mentre quella di violazione dell’art.115 c.p.c. è inammissibile.
Questa Corte a sezioni unite ha chiarito che dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operata dalla legge
134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014); – nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la Corte d’Appello come sopra si è detto ha ampiamente motivato in relazione ai titoli di acquisto e agli allegati compresa la scheda catastale n.47.
Quanto alla violazione dell’art. 115 c.p.c. è sufficiente richiamare il seguente principio: In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Sez. U – , Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 01).
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 1480 e 1455 c.c.; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio; nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell ‘ art.115 c.p.c..
La censura attiene al rigetto della domanda di risoluzione del contratto di compravendita sia perché contrariamente a quanto si assume in sentenza, il fabbricato non ha altro ingresso se non dalla corte sia perché la motivazione che esclude l’inadempimento ex art. 1455 c. c. si basa su considerazioni generiche e non supportate da nessun elemento istruttorio acquisito nel corso del giudizio. Secondo i ricorrenti, detta area cortilizia ha alterato l’ equilibrio contrattuale venendo a mancare un comodo parcheggio vicino casa. La Corte, infine, nello stabilire che l’inadempimento non era così grave non ha accertato neanche se il compratore era in buona o cattiva fede.
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1176 e 1375 c.c. e l. notarile.
La censura attiene alla responsabilità del notaio per il grave inadempimento rispetto ai suoi obblighi in sede di stipula del contratto di compravendita immobiliare. Egli, infatti, è tenuto al compimento delle attività accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti, e in particolare al l’e ffettuazione delle c.d. visure catastali e ipotecarie, allo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà.
I ricorrenti richiamano la giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità professionale del notaio e ritengono non esservi dubbio sulla responsabilità del notaio che ha trasferito una parte consistente di immobile che si è rivelata non di proprietà del
venditore. La considerazione della Corte di Appello secondo cui la “complessità dell’accertamento” giustificherebbe” il comportamento del notaio sarebbe del tutto incomprensibile, illegittima e illogica .
4.1 Il terzo e quarto motivo di ricorso sono inammissibili.
Anche in questo caso devono ribadirsi le motivazioni espresse in riferimento al primo motivo di ricorso circa l’i nammissibilità nel giudizio di legittimità di censure che sotto l’ombrello del vizio di violazione di legge richiedono una diversa valutazione dei fatti oggetto del giudizio. Nella speci e la Corte d’Appello ha evidenziato che la mancanza dell’acquisto della comproprietà della corte comune non era tale da giustificare la domanda di risoluzione del contratto, ma al più una domanda di riduzione del prezzo di acquisto che i ricorrenti non hanno proposto.
Il Collegio osserva che l’accertamento d i fatto circa l’importanza dell’acquisto della corte comune in relazione alla necessità di un parcheggio o di uno spazio all’aperto o ancora di un ulteriore accesso è sottratto al sindacato di legittimità. I ricorrenti, infatti, richiedono di rivalutare il giudizio di merito in relazione all’interesse a mantenere fermo il contratto che questa Corte non può sindacare salvo una manifesta irragionevolezza che nella specie non ricorre.
Di conseguenza nessuna violazione di legge e in particolare dell’art. 1480 c.c. è possibile riscontrare. La sentenza impugnata, infatti, è conforme al seguente principio di diritto: Nel caso di vendita di cosa parzialmente altrui, il compratore può chiedere la risoluzione del contratto solo se, quando lo ha concluso, ignorava che la cosa non era di proprietà del venditore e possa ritenersi,
secondo le circostanze, che non avrebbe acquistato il bene senza quella parte di cui è divenuto proprietario ; pertanto, in mancanza dell’una o dell’altra delle predette condizioni, il compratore può solo chiedere la riduzione del prezzo ai sensi dell’art. 1480 cod. civ. (Cass. Sez. 2, 29/03/1996, n. 2892, Rv. 496675 – 01)
Allo stesso modo, è corretta la decisione della Corte d’Appello di escludere la violazione dei doveri di diligenza da parte del notaio nella stipula dell’atto di compravendita viste le difficoltà interpretative dei tioli di provenienza.
Gli stessi ricorrenti, infatti, insistono con i primi motivi nel ritenere che i titoli di provenienza comportavano anche il trasferimento della corte comune. Risulta evidente che l’accertamento che ne è derivato è stato di particolare complessità, come risulta anche dal diverso esito della sentenza di primo grado rispetto a quella in questa sede impugnata.
Nella specie non può imputarsi al notaio rogante l’aver omesso le necessarie indagini mediante le visure ipotecarie e catastali dei registri immobiliari. Solo in tal caso, infatti, il notaio non può invocare la limitazione di responsabilità prevista per il professionista dall’art. 2236 c.c. con riferimento al caso di prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (nella specie, costituita dal conflitto risultante dai titoli rappresentati dai decreti di trasferimento a seguito della divisione ereditaria) in quanto solo una tale inosservanza non è riconducibile ad un’ipotesi di imperizia, a cui si applica quella limitazione, bensì a negligenza o imprudenza e, cioè, alla violazione del dovere della diligenza professionale media esigibile ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c., rispetto alla quale rileva anche la colpa lieve. (Cass.
Sez. 3, 17/09/2024, n. 25026, Rv. 672440 – 01). Al contrario, deve ribadirsi che va esclusa la responsabilità del professionista nei confronti del cliente nei casi di interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, a meno che non risultino il dolo o la colpa grave (Cass. Sez. 3, 16/12/2024, n. 32789, Rv. 673105 01). Peraltro, nella specie, la Corte d’Appello ha escluso anche il ricorrere della colpa lieve rilevando l’inesigibilità in capo al notaio della risoluzione del problema interpretativo circa l’appartenenza della corte.
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti di ciascuna delle due parti controricorrenti che liquida rispettivamente in euro 3500, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione