Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 362 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 362 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17739-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO nello studio de ll’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
nonchè contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO COGNOME NOME INDIRIZZO n. INDIRIZZO, nello studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende
– controricorrente –
nonchè contro
ASSICURATORI RAGIONE_SOCIALE LONDRA , in persona del legale rappresentante e procuratore speciale per l’Italia, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO nello studio degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che lo rappresentano e difendono
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2005/2019 della CORTE DI APPELLO di ROMA, depositata il 21/03/2019;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 24.3.2010 RAGIONE_SOCIALE evocava in giudizio COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Tivoli, invocando la risoluzione del contratto di compravendita rogato dal notaio COGNOME il 26.10.2006, avente ad oggetto un terreno edificabile sito in territorio del Comune di Guidonia Montecelio, in quanto, dopo la firma della cessione, l’attrice aveva riscontrato l’impossibilità di procedere alla progettata edificazione dell’area. Invocava quindi la restituzione del prezzo versato ed il risarcimento del danno.
Si costituiva la convenuta, resistendo alla domanda e chiamando in garanzia il notaio rogante. Si costituiva il terzo chiamato, a sua volta estendendo il contraddittorio al proprio assicuratore, Lloyd’s of London.
Con sentenza n. 1470/2015 il Tribunale rigettava tanto la domanda principale che quella di manleva spiegata dalla convenuta nei confronti del notaio.
Con la sentenza impugnata, n. 2005/2019, la Corte di Appello di Roma rigettava il gravame principale, interposto da RAGIONE_SOCIALE dichiarando assorbito quello incidentale condizionato spiegato dalla COGNOME, con il quale quest’ultima aveva riproposto la domanda di manleva, confermando la decisione di prime cure
Propone ricorso per la cassazione di detta pronuncia RAGIONE_SOCIALE affidandosi a quattro motivi.
Resistono con separati controricorsi COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME e gli Assicuratori dei Lloyd’s.
Con atto del 2.8.2021, con allegata procura notarile per atto del notar Alcaro in data 28.7.2021, rep. 2493, si è costituito il nuovo difensore della società ricorrente.
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ed il controricorrente RAGIONE_SOCIALE LloydRAGIONE_SOCIALE Londra hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 1480 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe omesso di considerare che la particella 39, dalla quale si origina la particella 470, corrispondente al terreno oggetto di causa, era stata frazionata il 14.4.1964, con costituzione di una particella 39/b, la quale ultima era stata ceduta da COGNOME NOME, dante causa di COGNOME NOME, a COGNOME Michele con atto del 23.4.1964 a rogito del notar COGNOME Il giudice di merito avrebbe dovuto ravvisare gli estremi per applicare l’art. 1480 c.c., in base al quale, se la cosa che il compratore ritiene
essere di proprietà del venditore appartiene in realtà, in parte, a terzi, spetta al compratore la facoltà di richiedere la risoluzione del contratto di compravendita.
La censura è infondata.
La Corte di Appello, ricostruendo i passaggi della vicenda, ha accertato che, due anni dopo la compravendita di cui oggi si discute, avvenuta con atto del notar COGNOME del 26.10.2006, la particella 470 era stata frazionata ulteriormente, e che parte di essa, identificata come particella 518, era stata intestata catastalmente a Giraldi e Pugno, aventi causa da COGNOME Michele. Ha evidenziato che non era stata conseguita la prova della corrispondenza di tale particella 518 con quella che, nel 1964, era stata indicata come 39/b e che comunque il frazionamento eseguito nel 2008 non poteva essere ritenuto legittimo, non essendo mai stata trascritta la cessione avvenuta il 23.4.1964 a favore di RAGIONE_SOCIALE ed essendo dunque pienamente legittima la cessione dell’intero compendio immobiliare, avvenuta nel 2006 in favore di RAGIONE_SOCIALE Secondo la Corte distrettuale, quindi, quest’ultima aveva errato nel riconoscere il diritto degli aventi causa del La Tegola, non essendo stata raggiunta la prova dell’esistenza di un titolo idoneo, né dimostrata l’intervenuta usucapione, in capo ai predetti soggetti, di parte del bene oggetto della compravendita del 2006. Di conseguenza, sempre secondo la Corte di seconda istanza, la società odierna ricorrente avrebbe perso la garanzia nei confronti della propria dante causa, avendo, appunto, erroneamente riconosciuto l’esistenza di un diritto di proprietà in capo a terzi, in difetto dei necessari presupposti.
Tale argomentazione non viene scalfita dalla censura in esame, con la quale la parte ricorrente, senza confrontarsi con la ratio della decisione, sostiene la configurabilità di un’ipotesi di evizione parziale,
senza peraltro dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti previsti dall’art. 1480 c.c. La norma, infatti, ammette la parte acquirente a richiedere la risoluzione del contratto a condizione che sia dimostrata l’appartenenza parziale del bene a terzi e sempre che debba ritenersi, secondo le circostanze del caso, che egli non avrebbe concluso l’acquisto, senza la parte di cui il venditore non è proprietario. La prima condizione non sussiste, poiché nella specie il giudice di merito ha accertato -con statuizione peraltro neppure specificamente attinta dalla censura in esame- che il bene apparteneva legittimamente alla COGNOME, non avendo il RAGIONE_SOCIALE trascritto il suo acquisto del 1964 e non potendo quindi vantare, gli aventi causa di quest’ultimo, alcun valido diritto su parte del terreno compravenduto nel 2006, né per titolo, né per usucapione. La seconda condizione, invece, non è stata dimostrata dall’odierna ricorrente, onde, anche ammettendo che gli aventi causa del RAGIONE_SOCIALE potessero vantare diritti su parte del bene compravenduto nel 2006 -cosa, questa, che secondo la Corte di Appello non è stata provata- comunque non potrebbe operare lo specifico rimedio di cui all’art. 1480 c.c.
Con il secondo motivo, la società ricorrente denunzia l’omessa motivazione in relazione ad un punto decisivo, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe fondato la sua decisione unicamente sulle risultanze catastali, senza considerare che, ai fini della prova del diritto di proprietà, rileva soltanto il contenuto degli atti pubblici di compravendita. Di fronte all’atto pubblico di compravendita del 1964, intercorso tra COGNOME NOME e COGNOME NOME, la Corte distrettuale avrebbe dovuto verificare se il contenuto di detto negozio fosse, in tutto o in parte, coincidente con quello per atto COGNOME del 2006, intercorso tra COGNOME RAGIONE_SOCIALE e la società odierna ricorrente.
La censura è inammissibile, nella parte in cui lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, in quanto in presenza di una ipotesi di cd. doppia conforme, la deduzione del vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, è preclusa.
E’ invece infondata, nella parte in cui la società ricorrente si duole dell’erronea ricostruzione del diritto di proprietà sulla base dei dati catastali, e non del contenuto dell’atto notarile del 1964, poiché la Corte di Appello non si è limitata al solo esame delle risultanze catastali, ma ha valutato anche i due contratti, del 1964 e del 2006, dando atto che il primo non era mai stato trascritto e che, dunque, con il secondo era stata legittimamente trasferita alla RAGIONE_SOCIALE la proprietà di tutto il lotto contraddistinto dalla particella 470, derivata dalla originaria particella 39.
Con il terzo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 354 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente omesso di disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti di COGNOME e COGNOME, aventi causa di COGNOME.
La censura, che non emerge dalla decisione impugnata e dunque è stata proposta per la prima volta in sede di legittimità, è infondata.
Una volta esclusa, da parte del giudice di merito, la configurabilità, in capo al RAGIONE_SOCIALE ed ai suoi aventi causa, di una posizione di diritto soggettivo utilmente opponibile all’odierna ricorrente, a cagione della mancata trascrizione della cessione del 1964 e dunque della piena efficacia della cessione dell’intera particella 470 eseguita nel 2006 a favore di RAGIONE_SOCIALE, non era necessario disporre alcuna integrazione del contraddittorio nei confronti di soggetti che, comunque, non avrebbero potuto vantare alcun diritto in conflitto con quello della predetta società. Va data continuità, al riguardo, al principio secondo
cui ‘La parte soccombente è priva di interesse a far valere, col ricorso per cassazione, la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari pretermessi nel giudizio di appello, se dalla loro partecipazione al processo non avrebbe tratto alcun vantaggio, essendo risultate infondate tutte le altre censure mosse alla sentenza impugnata, e se non sia nemmeno astrattamente ipotizzabile che tale integrazione si sarebbe risolta in una decisione di contenuto diverso e favorevole alla stessa soccombente’ (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 17893 del 28/06/2024, Rv. 671574; cfr. anche, in termini, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2461 del 30/01/2009, Rv. 606590 e Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20091 del 13/07/2023, Rv. 668547).
Con il quarto motivo, infine, la società ricorrente si duole dell’errata e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonché dell’omessa motivazione sul punto, poiché la Corte di Appello avrebbe posto a carico della società ricorrente anche le spese dei terzi chiamati, che erano stati evocati in giudizio dalla COGNOME, e non avrebbe disposto la compensazione delle stesse, pur sussistendone gravi ed eccezionali motivi, senza fornire alcun sostegno motivo alla propria scelta.
La censura è infondata sotto tutti i profili denunziati dalla parte ricorrente.
Con riferimento al primo aspetto, concernente l’accollo delle spese anche nei riguardi dei terzi chiamati, va evidenziato che queste ultime sono a carico della parte soccombente, quando la chiamata in garanzia è conseguenza della domanda principale. In termini, va data continuità al principio secondo cui ‘ Attesa la lata accezione con cui il termine soccombenza è assunto nell’art. 91 c.p.c., il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell’attore, ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso e
queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda, mentre il rimborso rimane a carico della parte che abbia chiamato o abbia fatto chiamare in causa il terzo qualora l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23948 del 25/09/2019, Rv. 655358; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7431 del 14/05/2012, Rv. 622605; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 31889 del 06/12/2019, Rv. 655979; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18710 del 01/07/2021, Rv. 661752; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 10364 del 18/04/2023, Rv. 667650).
Con riguardo al secondo profilo, concernente l’omessa motivazione, va evidenziato che la Corte di Appello ha dato atto dei criteri di liquidazione delle spese, precisando, in motivazione, che esse venivano liquidate in base allo scaglione corrispondente al valore della causa, secondo i parametri medi e applicando la tariffa di cui al D.M. n. 55 del 2014 (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata). Non sussiste, dunque, alcun vizio di omessa motivazione in relazione ai criteri di determinazione delle spese del grado.
Ed infine, in relazione al l’omessa compensazione delle spese di lite, va ribadito che non può essere sindacata la scelta del giudice di merito di compensare, o meno, in tutto o in parte, le spese di lite, posto che ‘La valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2149 del 31/01/2014 Rv. 629389; conf. Cass. Sez. 2,
Sentenza n. 30592 del 20/12/2017, Rv. 646611; nonché Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1703 del 24/01/2013, Rv. 624926 e Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 8421 del 31/03/2017, Rv. 643477). Infatti ‘In tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti’ (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 19613 del 04/08/2017, Rv. 645187; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 406 del 11/01/2008, Rv. 601214).
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento in favore di ciascuna parte
contro
ricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 6.000 per compensi, oltre ad € 200 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda