Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32944 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32944 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 17051/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME c.f. CODICE_FISCALE, COGNOME NOMECOGNOME c.f. CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale EMAIL ricorrenti
contro
COGNOME c.f. CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale p.EMAILpec.legaligenovaEMAIL
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 134/2019 della Corte d’Appello di Genova, depositata in data 1-2-2019, udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 1311-2024 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n.2437/2016 depositata il 13-7-2016 il Tribunale di Genova ha rigettato le domande proposte da NOME COGNOME nei confronti di NOME e NOME COGNOME in relazione al contratto di
OGGETTO:
vendita di aliud pro alio
RG. 17051/2019
C.C. 13-11-2024
compravendita dell’immobile sito a Genova INDIRIZZO stipulato il 3-11-2004 al fine di ottenere l’adempimento sotto il profilo dell’esecuzione delle opere necessarie a rendere l’immobile idoneo all’uso quale abitazione e, in subordine, di ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento.
NOME COGNOME ha proposto appello, che la Corte d’appello di Genova ha deciso con sentenza n. 134/2019 pubblicata in data 1-22019; ha dichiarato la risoluzione del contratto di compravendita per fatto e colpa dei venditori NOME e NOME COGNOME ha disposto la restituzione da parte di NOME COGNOME dell’immobile ai venditori previa restituzione da parte dei venditori in solido della somma pagata di Euro 72.400,00; ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni e ha condannato i venditori alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi.
La sentenza ha dichiarato che l’appellante aveva riproposto in appello anche la domanda di condanna dei venditori al compimento delle opere necessarie a rendere l’immobile idoneo all’uso; ha rilevato che già il Tribunale aveva dichiarato che solo la formulazione della domanda in termini di vendita di aliud pro alio consentiva di superare l’eccezione di decadenza ex art.1495 cod. civ. formulata dai convenuti e ha dichiarato che era ampiamente decorso anche il termine di prescrizione di cui all’art. 1495 cod. civ., in quanto l’atto di vendita risaliva al 2004 e l’atto di citazione era stato notificato il 12 -2-2015; ha aggiunto che solo la domanda di risoluzione del contratto, per il modo in cui era stata formulata, era riconducibile all’ipotesi di aliud pro alio, con riguardo alla mancata consegna della licenza di abitabilità e quindi rimaneva da esaminare solo quella domanda, mentre la domanda di consegna del certificato previa esecuzione delle opere necessarie, da ricondurre all’azione di cui all’art. 1490 cod. civ. , era da ritenere prescritta.
La sentenza ha considerato che il Tribunale aveva erroneamente rigettato la domanda di risoluzione escludendo il ricorrere di vendita di aliud pro alio, in quanto NOME COGNOME aveva dedotto di avere sottoscritto preliminare di vendita con tale COGNOME, il quale si era poi rifiutato di stipulare il definitivo perché l’immobile era risultato privo del certificato di abitabilità, come attestato anche dal Comune, ed era emerso in sede di perizia estimativa ai fini della concessione del mutuo che l’immobi le non era dotato delle altezze minime richieste dalle disposizioni urbanistiche per le abitazioni; ha rilevato che, seppure nell’atto di compravendita a favore di NOME COGNOME i venditori avevano eseguito la dichiarazione in ordine alla regolarità urbanistica dell’immobile costruito prima del I -91967, l’acquirente non aveva rinunciato al requisito dell’abitabilità e non poteva essere posta in dubbio la gravità dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1455 cod. civ., in quanto l’inadempimento non rigua rdava solo la mancata consegna sul piano formale del certificato, ma il fatto che la mancanza di tale certificato derivava dall’essere l’immobile privo dei requisiti indispensabili per essere utilizzato come abitazione.
2.Avverso la sentenza NOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
In data 23-4-2024 il consigliere delegato ex art. 380 cod. proc. civ. ha depositato proposta di definizione accelerata nel senso dell’improcedibilità del ricorso, in quanto nel ricorso si dichiarava che la sentenza impugnata era stata notificata in data 27-5-2019 e la relata di notifica, non indicata tra i documenti depositati, non si rinveniva in atti.
Il 6-6-2024 NOME e NOME COGNOME con il nuovo difensore hanno depositato istanza di decisione, tempestiva in quanto la proposta di definizione era stata a loro notificata personalmente solo il 30-4-
2024, non essendo andata a buon fine la precedente comunicazione al difensore avv. COGNOME in ragione del suo pensionamento.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 1 3-11-2024 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente si dà atto che non sussiste l’incompatibilità del consigliere relatore per il fatto di essere stato anche l’estensore della proposta di definizione ex art. 380-bis cod. proc. civ., in forza dei principi enunciati da Cass. Sez. U 10-4-2024 n. 9611 (Rv. 670667-01), ai quali è sufficiente in questa sede rimandare.
2.Preliminarmente si rileva altresì che non ricorrono le condizioni per dichiarare l’improcedibilità del ricorso, perché la relata di notificazione della sentenza impugnata, seppure non elencata tra i documenti prodotti unitamente al ricorso e neppure tra i documenti contenuti nel ‘fascicoletto’ per il giudizio di cassazione (pagg. 22 e 23 del ricorso), era stata indicata nella missiva 7-62019 dell’avv. Traverso di trasmissione dei documenti alla cancelleria della Cassazione e il Collegio nell’ adunanza del 13-11-2024 ne ha verificato la presenza nel fascicolo dei ricorrenti; quindi, è stato possibile verificare che il ricorso è stato tempestivamente notificato rispetto alla data di notificazione della sentenza impugnata.
Non ricorrono le condizioni neppure per dichiarare l’inammissibilità del ricorso per le ragioni addotte dal controricorrente, riferite a mere irregolarità della notificazione del ricorso.
3. Con il primo motivo i ricorrenti deducono ‘ violazione o falsa applicazione degli artt. 1453 -1455 e 1477 cod. civ. in relazione alla disciplina di cui alla legge L. 47/1985 ed al D.P.R. 06/06/2001 n. 380.
Denuncia ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.’; i ricorrenti evidenziano che, al fine di ritenere l’inadempimento, il giudicante avrebbe dovuto fare riferimento ai parametri richiesti dall’art. 1477 cod. civ. e considerare il dato incontroverso in causa costituito dalla data di costruzione dell’immobile, anteriore al 1 967; rilevano che, per le opere costruite prima del I-9-1967, in luogo della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio, secondo quanto previsto dall’art. 40 co. 2 legge 47/1985, mentre tale legge nulla dispone sul certificato di abitabilità, che è richiesto solo a seguito dell’entrata in vigore del D.P.R. 380/2001 , ma solo per i nuovi edifici. Quindi dichiarano che la mancata consegna al compratore del certificato di abitabilità non determinava in sé la risoluzione del contratto, ma sarebbe stato necessario verificare l’importanza e la gravità dell’omissione e in particolare accertare l’esistenza di elementi ostativi al rilascio del certificato medesimo.
3.1.Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata (da pag. 6) ha considerato quanto dedotto da NOME COGNOME in ordine al fatto che, dopo la stipulazione da parte sua di preliminare di vendita dell’immobile con tale signor COGNOME in sede di redazione della perizia estimativa ai fini della concessione del mutuo, era emerso che l’immobile era privo del certificato di abitabilità/agibilità -circostanza confermata dagli accertamenti svolti presso il Comune- e non era dotato delle altezze minime richieste dalle disposizioni urbanistiche per le abitazioni. A fronte di questi dati, la sentenza ha dichiarato che l’immobile era privo dell’abitabilità/agibilità non per qualche ostacolo facilmente superabile, ma per ragioni gravi, che incidevano sulla sua fruibilità a fini abitativi, e di certo non ovviabili; pur considerato che nell’atto di vendita del 3 -11-2004, così come in quelli precedenti, la parte venditrice aveva reso la dichiarazione relativa alla regolarità urbanistica prevista per gli
immobili realizzati prima del I-9-1967, ha evidenziato che le caratteristiche dell’immobile ne impedivano la valutazione come abitazione, in quanto lo stesso non rispettava i requisiti di altezza imposti dal D.M. 5-7-1975 n. 12 per le abitazioni e ha considerato che il Comune aveva rilasciato attestazione circa la mancanza di certificazione di agibilità; quindi ha inquadrato la fattispecie quale ipotesi di vendita di aliud pro alio e, poiché nella compravendita tra i COGNOME e COGNOME non era contenuta alcuna espressa rinuncia al requisito dell’abitabilità, ha dichiarato che sussistevano i presupposti per la risoluzione del contratto per inadempimento, in quanto sussisteva la gravità dell’inadempimento ex art. 1455 cod. civ., non riguardando l’inadempimento solo la mancata consegna sul piano formale del certificato di abitabilità, ma il fatto che la mancanza del certificato derivava dall’essere l’immobile privo dei requisiti indispensabili per essere utilizzato come abitazione.
A fronte di questi dati, in primo luogo non sono corrette le deduzioni del ricorrente secondo le quali il certificato di agibilità è richiesto solo a decorrere dall’entrata in vigore del d.P.R. 380/1981, in quanto la disposizione introduttiva dell’istituto è rappresentata già dall’art. 221 r.d. 1265/1934 , il quale prevedeva il rilascio dell’autorizzazione del sindaco in mancanza di cause di insalubrità , mentre la disciplina è stata nel tempo rivisitata, con particolare riguardo al procedimento di rilascio del certificato; si rinvia alla ricostruzione della normativa eseguita in Cass. Sez. 2 2-8-2023 n. 23604 (Rv. 668408-01), al punto 3.4. In ordine alle conseguenze che discendono dalla mancanza del certificato di abitabilità, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte, che pure si richiamano rinviando alla ricostruzione, analitica e completa anche nei riferimenti ai precedenti, eseguita in Cass. 23604/2023 (dal punto 3.5 a 3.6); basti in questa sede rilevare
che la mancata consegna di tale certificato al compratore non determina in via automatica la risoluzione del contratto per inadempimento del venditore, dovendo essere verificata in concreto l’importanza e la gravità dell’omissione in rela zione al godimento e alla commerciabilità del bene, per cui solo ove difettino i requisiti per ottenere l’agibilità la vendita può essere risolta per l’intervenuta consegna di aliud pro alio; allorché l’inosservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie e di sicurezza consista in una difformità non sanabile in alcun modo, è integrata la fattispecie della vendita di aliud pro alio e si ha invece vizio redibitorio o mancanza di qualità essenziali quando il mancato rispetto delle prescrizioni sia suscettibile di sanatoria ; l’ aliud pro alio è integrato sia nel caso della differenza strutturale, sia in caso di alterazione qualitativa che può determinare la degenerazione della cosa o il suo declassamento, a condizione che il difetto, in rapporto con quanto pattuito tra le parti, faccia della cosa una res irrimediabilmente diversa, inidonea a soddisfare quella certa destinazione.
A fronte di questi principi, non può essere imputata alla sentenza impugnata alcuna violazione o falsa applicazione delle disposizioni evocate dal ricorrente. Esattamente la sentenza ha ritenuto la vendita di aliud pro alio e perciò la gravità dell’inadempimento , in quanto ha accertato in fatto -in termini che rimangono esterni ai motivi di ricorsoche l’immobile era stato acquistato da NOME COGNOME come abitazione e senza rinuncia al requisito dell’abitabilità, ma era privo de ll’ altezza minima necessaria ai sensi del D.M. 5-7-1975 n. 12 al fine di ottenere il relativo certificato di abitabilità. Si trattava di vizio che, in quanto strutturale, non era suscettibile di sanatoria al fine del rilascio dell’abitabilità ; per di più, la sentenza ha accertato in fatto che si trattava di vizio che aveva reso impossibile a NOME COGNOME rivendere l’immobile come abi tazione, in quanto ha accertato che NOME COGNOME non era riuscito a concludere la vendita con tale
COGNOME, il quale si era rifiutato di stipulare il contratto definitivo per tale ragione , tanto che in quell’occasione era emersa la questione della mancanza di abitabilità.
4.Con il secondo motivo i ricorrenti deducono ‘violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione. Denuncia ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.’ ; evidenziano che in tutti i trasferimenti di proprietà era stata eseguita la dichiarazione ai sensi dell’art. 40 legge 47/1985, in ordine al fatto che le opere erano state iniziate in data anteriore al I-9-1967, in particolare che le modifiche del locale in appartamento erano avvenute prima del 1928 e che non esistevano irregolarità edilizie di alcun tipo. Quindi sostengono che l’affermazione della sentenza impugnata, secondo la quale l’immobile era privo dei requisiti indispensabili a essere utilizzato come abitazione, era frutto dell’omesso esame di tale fatto decisivo, nonché dell’omesso esame del fatto che, allorché aveva instaurato il giudizio, NOME COGNOME aveva vissuto in qu ell’immobile per oltre dodici anni.
4.1. Il motivo è inammissibile laddove deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. , in quanto la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. deve essere inquadrata nel motivo ex art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ.; non ricorrono le condizioni per riqualificare esattamente il motivo, perché nessuna delle deduzioni nello stesso svolte è finalizzata a fare emergere il vizio di omessa pronuncia. Tutti gli argomenti sono esposti al fine di supportare la proposizione del motivo ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ., la cui infondatezza consegue dalle ragioni già esposte al punto 3.1).
Non può imputarsi alla sentenza impugnata alcun omesso esame di fatti decisivi, perché il dato che nell’immobile non vi fossero irregolarità edilizie -dato che la sentenza ha espressamente considerato, così dimostrando di averlo preso in esame- non incideva
sul fatto che l’immobile fosse privo del certificato di abi tabilità; è esclusivamente sotto tale profilo, e non per il fatto che nell’immobile vi fosse qualche abuso edilizio, che la sentenza ha ritenuto il grave inadempimento dei venditori, con statuizione che resiste alle critiche dei ricorrenti per le ragioni già esposte. Quindi, non sono pertinenti neppure le deduzioni dei ricorrenti in ordine al fatto che NOME COGNOME a veva abitato l’immobile per molti anni e vi si era dichiarato residente anche nell’atto di citazione , in quanto tale dato di fatto non escludeva che l’immobile fosse privo dei requisiti igienico-sanitari riferiti all’altezza minima richiesti dal D.M. 5-7-1975 n. 12 per i locali adibiti ad abitazione. La circostanza che NOME COGNOME avesse abitato per molti anni in immobile privo dei requisiti igienico sanitari imposti per le abitazioni non significa in sé neppure che egli fosse consapevole di tale circostanza, avendo al contrario la sentenza accertato che egli non aveva rinunciato al requisito dell’abitabilità al momento del suo acquisito e che la problematica era emersa al momento della conclusione del successivo preliminare di vendita.
5 .Con il terzo motivo i ricorrenti deducono ‘ violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Vizio di infrapetizione. Denuncia ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c.’ . Evidenziano che, totalmente vittoriosi in primo grado, avevano riproposto in secondo grado l’eccezione di prescrizione ; lamentano che la sentenza impugnata, laddove ha trascritto le loro conclusioni, lo abbia fatto in modo difforme, in quanto non ha riportato la loro richiesta di dichiarare prescritto il diritto azionato da NOME COGNOME sostengono che tale omissione abbia comportato che la loro eccezione non sia stata esaminata, con la conseguente violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
5.1.Il motivo è infondato, perché non sussiste omissione di pronuncia sull’eccezione di prescrizione .
La sentenza impugnata, al punto 1) dei ‘motivi della decisione’ ha dichiarato che l’appellante COGNOME aveva riproposto nell’atto di citazione in appello anche la domanda di cui all’art. 1490 cod. civ., volta a ottenere l’eliminazione dei vizi dell’immobile ; ha dichiarato che tale domanda , soggetta al termine di prescrizione di cui all’art. 1495 cod. civ., era da ritenersi prescritta (pag. 5 all’inizio e in fondo), per cui doveva essere esaminata solo la domanda di risoluzione per consegna di aliud pro alio. In questo modo, la sentenza ha dimostrato di avere esaminato la questione della prescrizione, tanto che ha dichiarato la prescrizione con riferimento all’azione proposta ex art. 1490 cod. civ.; la sentenza, dichiarando nel contempo di procedere a esaminare solo la domanda di risoluzione per inadempimento, ha implicitamente escluso che la prescrizione ostasse alla disamina di quella domanda. Quindi, non vi è stata una omissione di pronuncia ma, al più, una motivazione insufficiente sulla prescrizione, in quanto tale priva di effetti, non essendo più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione a seguito della riformulazione dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. disposta dall’art. 54 d.l. 83/2012 conv. in legge 134/2012 (Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629830-01).
6.Con il quarto motivo i ricorrenti deducono ” violazione o falsa applicazione delle norme di diritto di cui agli artt. 2934 e 2946 cod. civ. in relazione all’art. 1453 cod. civ. nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo del giudizio. Denuncia a sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 e 5 c.p.c.’ ; evidenziano che il rogito era stato concluso il 3-11-2004 e NOME COGNOME aveva agito quando era già decorso il termine decennale di prescrizione, in quanto l’atto di citazione era stato notificato il 12-2-2015 e spettava al
giudice l’individuazione dello specifico termine di prescrizione applicabile.
6.1.Dalle ragioni esposte per il rigetto del terzo motivo consegue che è infondato anche il quarto motivo.
La sentenza impugnata non ha omesso di esaminare alcun fatto decisivo, perché ha dato atto che l’azione ex art. 1490 cod. civ. era prescritta e doveva essere esaminata soltanto l’azione di risoluzione ordinaria; ciò evidentemente ha affermato sulla base del presupposto che quell’azione non fosse prescritta nonostante l’atto di citazione fos se stato notificato il 12-2-2015 a fronte di atto di vendita concluso nel 2004, circostanze delle quali la sentenza ha dato espressamente atto (pag. 5 all’inizio) e che perciò ha tenuto presenti ai fini della decisione. In questo modo la sentenza ha escluso che il decorso della prescrizione ordinaria precludesse la disamina dell’azione di risoluzione per inadempimento e, al fine di fare emergere l’errore commesso, i ricorrenti non avrebbero potuto limitarsi a valorizzare la data della notifica dell’atto di citazione, ma avrebbero dovuto dedurre che anche il procedimento di mediazione era stato instaurato dopo il decorso del decennio dalla stipulazione della compravendita; il che evidentemente non hanno potuto fare, in quanto il controricorrente evidenzia che l’ordinario termine decennale di prescrizione non era decorso, come da lui dimostrato già in primo grado, per il fatto che la comunicazione dell’instaurazione del procedimento di mediazione -che ai sensi dell’art. 5 co.6 d.lgs. 28/2010 produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale- era avvenuto prima del decorso del decennio dalla stipulazione della compravendita.
7.In conclusione il ricorso è interamente rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, i ricorrenti sono condannati alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, in dispositivo liquidate.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co . 1quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione