Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2090 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2090 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15608/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonchè
contro
NOME
COGNOME
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 463/2021 depositata il 24/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Ritenuto che
1.- NOME COGNOME , titolare di una omonima impresa di costruzioni, poi dichiarata fallita ha venduto un suo immobile alla sorella NOME COGNOME ed al cognato, per un valore dichiarato di 110 mila euro.
Il fallimento della impresa RAGIONE_SOCIALE ha dunque agito per fa dichiarare in primo luogo la simulazione di questo atto di vendita, ed in subordine, per ottenerne a proprio favore la revocatoria, sul presupposto che l’alienazione ha costituito un danno per il creditore, avendo sottratto il bene alla garanzia patrimoniale.
2.V’è da ricordare che, per quella stessa vendita, era sorto a carico del COGNOME un procedimento penale per reati fiscali: si era cioè ipotizzato che, avendo il COGNOME dichiarato un prezzo inferiore, ma incassatone uno maggiore, aveva in tal modo sottratto somme al fisco. Il processo si è concluso con l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato: dunque fatto sussistente, ma non penalmente rilevante.
3.- Gli atti del processo penale, compresa la testimonianza sul pagamento, sono stati depositati in cartaceo nel giudizio civile di revocatoria.
Il Tribunale di Lanciano, in primo grado, ne ha tenuto conto e dunque ha concluso che la vendita era effettiva, essendo stato corrisposto il prezzo, e che la stessa vendita non era in danno al creditore, ossia il fallimento, in quanto non comportava una diminuzione del patrimonio.
La Corte di Appello di L’Aquila, investita dell’appello, ha confermato che la vendita era effettiva e non simulata, ma l’ha ritenuta in frode ai creditori, sul presupposto che il bene, del valore di 100 mila euro, era stato venduto a 50 mila circa, non essendovi prove del pagamento della differenza, né che tale prova poteva fondarsi sugli atti del processo penale, segnatamente la sentenza, che era stata depositata irritualmente, vale a dire in cartaceo anziché in telematico e dunque non era utilizzabile.
Questa sentenza è qui impugnata da NOME COGNOME e NOME COGNOME con sette motivi, di cui chiede il rigetto il Fallimento, che ha illustrato le sue ragioni sia con controricorso che con memoria.
Considerato che
7. La ratio della decisione impugnata.
Come si è anticipato, i giudici di appello ritengono effettiva la vendita, ma a prezzo vile. Ossia, ritengono che non vi sia prova del versamento degli altri 50 mila euro circa, che tale prova non può essere fornita dalla sentenza penale, né dalla testimonianza resa nel processo, la quale proviene dalla moglie del debitore, e dunque è inattendibile, e verte su circostanze sulle quali la prova testimoniale non è ammessa.
Ciò premesso, ed emerso dunque che l’immobile, del valore di 110 mila euro, è stato pagato circa la metà, ne deriva, secondo i giudici di appello, che l’atto è pregiudizievole per il creditore, a cui è stata sottratta la differenza di prezzo.
8.- Questa ratio è contestata con sette motivi.
Con il primo motivo si prospetta violazione 126 c.p.c. e 87 disp. att. c.p.c.
La questione attiene al rituale deposito della sentenza penale e dei relativi documenti.
La decisione impugnata, atteso il deposito cartaceo anziché telematico, assume l’inammissibilità del deposito e dunque non prende in considerazione le relative prove.
Si obietta che non solo non deriva da ciò alcuna inammissibilità, ma che soprattutto la controparte non ha eccepito alcunché, ed anzi ha basato su quei documenti il suo appello.
10.- Sempre su questa questione vertono il secondo ed il terzo motivo.
Con il secondo motivo si prospetta violazione dell’articolo 2909 c.c.
La tesi è che siccome sulla utilizzabilità delle prove assunte nel giudizio penale non c’è stata contestazione di controparte, né c’è stato appello, quella utilizzabilità avrebbe dovuto ritenersi giudicato, ossia non più discutibile in appello.
Con la conseguenza che il giudice di secondo grado se ne è occupato in violazione dell’articolo 2909 c.c.
Con il terzo motivo si prospetta violazione dell’art. 112 c.p.c.
Ossia: poiché la questione non era stata posta, il giudice di appello, decidendola d’ufficio, è andato oltre quanto richiesto dalla parte, in violazione del principio della domanda.
11.- Il quarto motivo , che prospetta violazione degli articolo 189 e 183 c.p.c. ribadisce le censure degli altri tre: poiché i documenti si sono formati dopo l’introduzione del processo civile, non potevano essere depositati tempestivamente, ed inoltre v’è stato il successivo deposito telematico, e dunque non solo quello cartaceo.
Questi motivi pongono una questione comune, ma sono inammissibili.
Come si è detto, a prescindere da ogni circostanza relativa al rituale deposito di quegli atti, la decisione impugnata non ha soltanto ritenuto di non doverli prendere in considerazione in quanto, per l’appunto, irrituali, ma ha altresì detto che comunque la testimonianza sul pagamento in denaro, da un lato, non è attendibile, e, per altro verso, è inammissibile in quanto contraria al contenuto di un atto pubblico.
Dunque, questi tre motivi, seppure fossero fondati, non sarebbero sufficienti a privare la decisione impugnata della sua ratio decidendi .
Ci prova a farlo il quinto motivo.
12.- Il quinto motivo infatti prospetta violazione degli articoli 2727 e 2729 c.c.
Il motivo, oltre a proseguire gli argomenti dei precedenti e dunque ad argomentare nel senso che la produzione documentale in cartaceo è una produzione rituale, contesta una sola delle altre due rationes decidendi : quella secondo cui la testimonianza circa il pagamento del prezzo non è ammissibile in quanto mira a smentire il contenuto di un atto pubblico in materia immobiliare.
La tesi dei ricorrenti è che la prova testimoniale, invece, può essere ammessa per dimostrare diverse modalità di pagamento (e si cita Cass. 25213/ 2014).
Il motivo è però infondato.
E’ pacifico che la testimonianza non può essere utilizzata per provare un fatto contrario risultante da atto pubblico in materia immobiliare. Può essere, come nella giurisprudenza richiamata, utilizzata per dimostrare una diversa modalità di pagamento (quanto ai tempi ed alle circostanza) ma non una modalità di pagamento del tutto opposta (ossia una somma diversa da quella risultante dall’atto pubblico) a quella indicata nel contratto.
Resta comunque, anche se questa censura fosse fondata, non contestata la terza ratio decidendi su questo punto: che la
testimonianza in questione, provenendo dalla moglie dell’alienante, non è da considerarsi attendibile. Fondata o meno che sia, questa ratio resta in piedi, non essendo stata censurata in alcun modo dai ricorrenti.
13.- Il sesto motivo prospetta 244 e ss. c.p.c e 2721 c.c.
Si dolgono i ricorrenti della mancata ammissione della prova testimoniale.
Il motivo è inammissibile, in quanto censura un giudizio, quello sulla rilevanza della prova, rimesso al giudice di merito. Ma soprattutto, è inammissibile in quanto la prova testimoniale mirava, per l’appunto, a dimostrare l’avvenuto pagamento della intera somma, e dunque a dimostrare una circostanza, come si è detto prima, sottratta a quella prova.
14.- Il settimo motivo prospetta violazione dell’articolo 2901 c.c.
I ricorrenti si dolgono del fatto che il giudice di merito ha ritenuto che il mancato pagamento di parte del prezzo (ossia la vendita del bene ad un prezzo inferiore) ha costituito danno per il creditore, e ritengono questa asserzione come apodittica: ‘si afferma del tutto apoditticamente una diminuzione del patrimonio del debitore ed una sua variazione qualitativa che avrebbe cagionato un nocumento ai creditori’ (p. 30 del ricorso).
Si fa inoltre notare che risultava peraltro agli atti che i ricorrenti, acquirenti del bene, avevano contratto un mutuo per 80 mila euro, e che dunque non potevano averne pagati soli 50 mila circa.
Il motivo è infondato.
Innanzitutto, la ratio decidendi non è specificamente contestata: non c’è argomento nel ricorso volto a porre la questione del pregiudizio subito dal creditore, ossia non si censura la questione della idoneità di quella vendita ad arrecare danno alle ragioni del creditore, che è questione posta apoditticamente.
Ad ogni modo, la questione del pregiudizio è affrontata dai giudici di merito i quali, pur rilevando che esistono altri beni (alcuni dei
quali ipotecati) hanno accertato, con giudizio qui non sindacabile, che la consistenza del patrimonio è stata però alterata dalla vendita in questione, e soprattutto che, sostituendosi un bene immobile con il denaro, la soddisfazione del creditore è resa meno agevole.
Argomenti questi rispetto ai quali non si trova smentita nelle ragioni del ricorso.
Il ricorso va rigettato, ma le spese possono compensarsi, considerato anche l’esito alterno dei giudizi di merito .
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 08/01/2024.