Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20387 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20387 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32774/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMAINDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI n. 1714/2019, depositata il 27/03/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/07/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
Con due successivi atti di vendita di cosa futura, la società RAGIONE_SOCIALE trasferiva all’RAGIONE_SOCIALE (l”RAGIONE_SOCIALE‘) due diversi lotti di un fabbricato sito in RAGIONE_SOCIALE, originariamente complesso conventuale, ristrutturato ed adeguato secondo un progetto deliberato in armonia con il Consiglio di Amministrazione dell’RAGIONE_SOCIALE, sulla base della valutazione operata dall’UTE e delle autorizzazioni ricevute.
Con un primo contratto del 30.07.1997 era stata convenuta la vendita dei piani cantinato, terreno rialzato e piano primo per una superficie complessiva di mq 3.012,85; con un secondo contratto del 17.3.2000 era stata convenuta la vendita dei piani secondo, terzo e quarto del medesimo fabbricato, per una superficie complessiva di mq 2.474,70.
L’art. 15 del primo contratto prevedeva che l’importo delle vendite sarebbe rimasto inalterato se la parte alienante avesse consegnato una quadratura della superficie inferiore o superiore del 3% rispetto a quella indicata nei contratti.
All’esito della realizzazione delle opere di ristrutturazione di entrambi i lotti, eseguito il calcolo consuntivo delle superfici, era risultato un esubero complessivo di mq 266,042 superiore al 3% considerato contrattualmente quale limite di tolleranza.
RAGIONE_SOCIALE adiva, quindi, il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE per chiedere all’RAGIONE_SOCIALE l’importo suppletivo rispetto al prezzo convenuto.
Il giudice di prime cure rigettava la domanda.
RAGIONE_SOCIALE impugnava la pronuncia innanzi alla Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE che rigettava integralmente il gravame così decidendo:
escluso il collegamento giuridico tra le due fattispecie negoziali, erano intervenute varianti in corso d’opera autorizzate dall’RAGIONE_SOCIALE convenuto: pertanto, al momento della consegna del primo lotto -avvenuta in data 24.01.2000 -trattandosi di vendita a corpo, le parti avrebbero dovuto quantificare l’onere delle varianti apportate al progetto, in parte incidenti anche sul secondo lotto, e concordare eventualmente il corrispettivo;
invece, le parti si erano date reciprocamente atto, nell’art. 1 del secondo contratto, che le varianti eseguite nel primo lotto, delle quali l’attrice chiedeva in citazione la differenza di prezzo, non avevano inciso sull’ammontare del corrispettivo convenuto;
dall’esame congiunto dei due contratti emerge, dunque, che i contraenti hanno escluso che l’esecuzione delle varianti comportasse una modifica del corrispettivo, non solo sotto il profilo dei prezzi offerti dalla società attrice per l’adeguamento dell’im mobile, ai sensi dell’art. 10 del primo contratto, ma anche sotto il profilo della maggiore superficie realizzata ai sensi dell’art. 15: ciò nonostante il fatto che nell’esecuzione delle opere fosse stata effettivamente superata in eccedenza la percentuale di tolleranza del 3% di cui al citato articolo 15 del primo contratto, come emerge dal verbale di consegna del secondo lotto.
La pronuncia in epigrafe veniva impugnata per la cassazione da RAGIONE_SOCIALE e il ricorso affidato a due motivi, illustrati da memoria.
Resisteva l’RAGIONE_SOCIALE. CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 11 Preleggi e degli artt. 1362, 1363, 1472, 1537 e 1538 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. – Violazione dell’art. 111, comma 6 Cost. e dell’art. 13 2 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. In tesi, la sentenza è errata laddove afferma che la qualificazione dei contratti a corpo o a misura non è decisiva ai fini della risoluzione della controversia, laddove al contrario essa è funzionale alla tesi attrice finalizzata al riconoscimento monetario per la maggiore superficie realizzata oltre la soglia di tolleranza del 3%, come del resto emerge dalla corretta interpretazione dei patti contrattuali alla luce delle risultanze documentali. Il contratto posto in essere il 30.07.1997 tra le parti in causa configura una fattispecie di vendita a misura di cosa futura; l’eccedenza metrica dell’immobile realizzato rispetto alla misura convenuta, qualora superi il limite del 3% stabilito come soglia di tolleranza, dà luogo, ai sensi dell’art. 1537 cod. civ., all’obbligo per la parte acquirente di versare un corrispettivo aggiuntivo, calcolato per metro quadro con gli stessi criteri e sulla stessa base del prezzo unitario a metro quadro originariamente definito, sull’intera eccedenza rispetto alla misura della superficie stabilita in contratto. A conferma di ciò interviene la clausola dell’art. 10 del primo contratto, che stabilisce l’immodificabilità del prezzo convenuto a metro quadro e per la quantità di metri quadri, e che deve intendersi riferita esclusivamente ad eventuali pretese della società venditrice per maggiori oneri sostenuti per l’esecuzione dei lavori di adeguamento.
1.1. Il motivo è inammissibile: la denuncia in cassazione di un errore di diritto nell’interpretazione di una clausola contrattuale non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., essendo necessario specificare i canoni che in concreto assuma violati
e, in particolare, il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, giacché le doglianze non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, non dovendo quest’ultima essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni; pertanto, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra ( ex multis : Cass. Sez. U, Sentenza n. 2061 del 28/01/2021, Rv. 660307 -02 Cass., 28 novembre 2017, n. 28319).
Il motivo punta a censurare l’interpretazione di atti negoziali che, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità, se non nella ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 e segg. cod. civ. puntualmente contrapposti alla motivazione, ovvero nei casi di motivazione omessa o illogica, ossia non idonea a consentire la ricostruzione dell’ iter logico seguito per giungere alla decisione (cfr., ex multis , Cass., Sez. L, n. 17168 del 09/10/2012; Sez. 2, n. 13242 del 31/05/2010).
1.2. Rilevato che la ricorrente, in seno al presente motivo, non deduce né la violazione dei canoni ermeneutici, né la mancanza o manifesta illogicità della motivazione sul punto, la censura si risolve nella sollecitazione di una lettura alternativa degli elementi istruttori (v. ricorso pp. 14 ss., punti 1.3.1., 1.3.2.), che non può trovare ingresso in sede di legittimità.
Nella specie, la Corte d’Appello non si è limitata all’interpretazione letterale delle clausole (artt. 10 e 15 del contratto del 30.07.1997; art.
1 del contratto del 17.03.2000), sulle quali invece si dilunga il ricorso (v. pp. 25 ss.): in conformità con l’art. 1362 , comma 2, cod. civ. il giudice di seconde cure ha, altresì, valutato il comportamento delle parti, le quali in sede di consegna del primo lotto (in data 24.01.2000) non solo non hanno quantificato l’onere delle variazioni apportate al progetto concordandone, eventualmente il relativo corrispettivo, ma addirittura hanno verbalizzato in quell’occasione che «le misure del cespite non si discostano del 3% da quelle previste in contratto … » (v. sentenza p. 6, 2° e 3° capoverso). Né, aggiunge la Corte territoriale, sarebbe decisivo l’argomento dedotto da RAGIONE_SOCIALE in merito al collegamento ne goziale, dal quale emergerebbe l’inutilità del reclamo del pagamento della maggiore superficie realizzata in sede di prima consegna, posto che innanzitutto emerge la sola unitarietà dell’operazione sotto il profilo economico -finanziario, non giuridico; inoltre, le parti avrebbero dovuto quanto meno riservare alla consegna definitiva del 2° lotto l’accertamento delle loro pretese in relazione alle varianti eseguite ed alla verifica definitiva della superficie realizzata, mentre nessuna riserva è stata formulata e anzi, nel secondo contratto del 27.03.2000, le parti hanno chiarito che le varianti (riguardanti anche il 2° lotto) non incidevano sul corrispettivo (v. sentenza pp. 89).
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione dell’art. 111, comma 6 Cost. e dell’art. 132, n. 4) cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ., stante la natura apparente ed obiettivamente perplessa ed incomprensibile della motivazione, con riferimento all’asserita non decisività della qualificazione dei contratti come vendita a corpo anziché a misura.
2.1. Anche il secondo motivo è inammissibile.
Nel caso che ci occupa non vengono in rilievo questioni legate all’estensione del bene immobile rispetto al prezzo pattuito, con riferimento alle quali viene in rilievo la distinzione tra vendita a corpo e vendita a misura ( ex multis : Sez. 2 – , Ordinanza n. 14592 del 26/05/2021, Rv. 661353 -02; Cass. Sez. 2, 07/06/2000, n. 7720; Cass. Sez. 2, 27/12/1993, n. 12791; Cass. Sez. 2, 06/11/1978, n. 5045; Cass. Sez. 2, 13/01/1976, n. 91): ché i due lotti erano, infatti, definiti nei due contratti di cui si discute in relazione alla superficie complessiva di ogni lotto (definita in mq) e ai piani corrispondenti del complesso conventuale.
Decisive nelle argomentazioni contenute nella sentenza impugnata sono state, piuttosto, le considerazioni in ordine alla variazione del prezzo in funzione della misura reale del bene alienato al termine degli interventi (inferiore o superiore al 3% rispetto a quella indicata in contratto: art. 15 del contratto 20.07.1997): questione, questa, che -al pari della vendita a misura -è disciplinata dal legislatore nel senso di consentire le variazioni di prezzo rispettivamente agli artt. 1538, comma 2, e 1537 cod. civ.
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE ha, pertanto, ravvisato la sussistenza di una vendita a corpo, ed ha escluso la sussistenza di un’ipotesi di variazione del prezzo sulla base di un congruo apprezzamento correlato alla volontà contrattuale: giudizio che non è censurabile in cassazione, come la ricorrente propone, in realtà, al fine soltanto di contrapporre una diversa interpretazione dell’operazione contrattuale rispetto a quella contenuta nella sentenza gravata (cfr. Cass. Sez. 2, 19/12/2019, n. 34025; Cass. Sez. 2, 28/06/2000 , n. 8793; Cass. Sez. 2, 23/04/1997, n. 3503).
2.2. La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge
7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (per tutte: Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Scendendo più nel dettaglio sul vizio di motivazione apparente denunciato nel mezzo di gravame, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che il vizio ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante: Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 23123 del 28/07/2023, Rv. 668609 -01; Cass Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639 -01; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022, Rv. 664061; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019, Rv. 654145; Cass. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526; Cass. Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016).
Vizio di motivazione che, per le ragioni esposte supra , punto 2.1., non può essere imputato alla sentenza impugnata.
3. In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza come da dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in €. 8.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Seconda Sezione