Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32955 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32955 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32449/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO C E C & PARTN, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOME elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO LECCE SEZ.DIST. DI TARANTO n. 321/2020 depositata il 09/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 01/10/2024 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il giudizio trae origine dalla domanda con la quale COGNOME NOME chiese al Tribunale di Taranto la riduzione del prezzo di un’autorimessa acquistata da COGNOME NOME e NOME con atto pubblico per notar COGNOME di Martina Franca dell’8.9.2005.
L’attrice lamentò che la superficie dell’immobile pari a mq 52, acquistato ‘a corpo’, era inferiore di mq 9,37, ovvero di oltre un ventesimo rispetto a quella indicata nel contratto.
All’esito del giudizio di primo grado, svoltosi in contraddittorio con i convenuti, il Tribunale di Taranto accolse la domanda.
La sentenza venne riformata dalla Corte d’appello di Lecce, Sezione Distaccata di Taranto, con sentenza del 9.10.2020.
Secondo il giudice d’appello, dall’atto di compravendita per notar Torricella di Martina Franca dell’8.9.2005 , risultava che la COGNOME avesse acquistato un locale autorimessa di circa mq 52, come da superficie catastale ivi indicata, con entrate dalla prima parallela di INDIRIZZO ai civici INDIRIZZO, censito in catasto al foglio 10, p.lla 959, sub 91. La ricorrente aveva proceduto al frazionamento dell’immobile ricavandone due locali, uno dalla prima parallela di INDIRIZZO, avente la superficie di mq 47 e l’altro con accesso dal civico INDIRIZZO,
avente la superficie lorda di mq 10, sicchè l’estensione complessiva era quella prevista in contratto.
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello sulla base di due motivi.
COGNOME NOME e NOME hanno resistito con controricorso.
Il Consigliere Delegato, ritenendo che il ricorso fosse inammissibile, con provvedimento del 22 aprile 2024, ha proposto la definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., nel testo introdotto dal D. Lgs n.149 del 2022.
In prossimità della camera di consiglio, parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 1470 e 1538 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 c.p.c. perché la Corte d’appello non avrebbe considerato che l’atto di frazionamento non era contestuale ma successivo alla compravendita e, conseguentemente, l’acquirente non sarebbe stata immessa nel possesso dell’intero bene oggetto del contratto perché la p.lla 125, al momento della vendita, era in possesso di terzi. La separazione dei locali attraverso il frazionamento costituirebbe la formalizzazione di una situazione di fatto già esistente, attesa la presenza di un muro che separava i due locali. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione degli artt. 113 e 116 c.p.c. e 1362, 1470 e 1538 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’appello omesso di valutare fatti acquisiti attraverso l’istruttoria espletata nel corso del giudizio di primo grado e, particolarmente, per non aver fatto alcun riferimento alle risultanze
della prova testimoniale espletata e della c.t.u. Sostiene la ricorrente che il CTU aveva riscontrato la delimitazione fisica delle due superfici attraverso un muro ed accertato che la porzione del bene consegnato alla ricorrente era inferiore all’estensione prevista nell’atto di vendita. La circostanza che la porzione di immobile non consegnata fosse in possesso di terzi risulterebbe dalla CTU e dalla prova testimoniale di cui la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto.
I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono inammissibili, perché non colgono la ratio decidendi.
I ricorrenti lamentano che l’oggetto della vendita fosse un’autorimessa di mq 52 mentre, invece, l’estensione del bene era inferiore di circa 1/20 rispetto a quella trasferita perché una porzione di immobile era in possesso di terzi.
Orbene, la Corte d’appello ha accertato che dall’atto di compravendita con atto pubblico per notar Torricella di Martina Franca dell’8.9.2005 , risultava che la COGNOME avesse acquistato un locale autorimessa di circa mq 52, come da superficie catastale ivi indicata, con entrate dalla prima parallela di INDIRIZZO ai civici 26 e INDIRIZZO, censito in catasto al foglio 10, p.lla 959, sub 91.
L’immobile è stato quindi individuato nell’atto di vendita e, sulla base di esso, la stessa ricorrente ha proceduto al frazionamento dell’immobile ricavandone due locali, uno dalla prima parallela di INDIRIZZO avente la superficie di mq 47 e l’altro con accesso dal civico INDIRIZZO, avente la superficie lorda di mq 10.
L’individuazione dell’oggetto del contratto, riportante un’estensione di circa mq 52, è avvenuta attraverso l’identificazione dei dati catastali, a nulla rilevando, ai fini della determinazione dell’oggetto del contratto, che una porzione dell’immobile fosse occupata o in possesso di terzi.
La Corte d’appello ha spiegato che l’accertamento devoluto al CTU in primo grado era errato perché aveva avuto ad oggetto solo l’estensione dell’immobile con accesso dal civico INDIRIZZO di INDIRIZZO e non anche la porzione dell’immobile avente accesso dal civico INDIRIZZO, oggetto di frazionamento su iniziativa della parte ricorrente ma pur sempre ricompreso nell’atto di vendita,.
Il ricorso, sotto lo schermo della violazione di legge, contesta l’accertamento del giudice di merito che, correttamente ha individuato l’oggetto del contratto sulla base del titolo di proprietà, che conteneva idonei elementi per l’individuazione del bene trasferito. Ne consegue che, essendovi identità tra il bene oggetto del contratto ed il bene trasferito, non sussistono i presupposti per la diminuzione del prezzo, previsto dall’art. 1538 c.c., che, nella vendita a corpo, trova applicazione quando la misura reale sia inferiore di un ventesimo.
La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che, qualora le parti, nel contratto di compravendita, abbiano identificato la porzione di immobile che ne formava oggetto facendo specifico riferimento ai dati catastali e al tipo di frazionamento, il giudice deve tener conto necessariamente di tali elementi, che, per espressa volontà delle parti, perdono l’ordinaria natura di elemento probatorio di carattere sussidiario per assurgere ad elemento fondamentale per l’interpretazione dell’effettivo intento negoziale delle parti (Cassazione civile sez. VI, 22/09/2022, n.27834; Cass. n. 5045/78; analogamente, v. Cass. n. 91/76).
E’, quindi irrilevante, ai fini dell’applicazione dell’art.1538 c.c. che il venditore non abbia trasferito il possesso sull’intero immobile perché ciò non esclude che il diritto di proprietà sia stato trasferito sull’immobile avente le dimensioni dichiarate nell’atto di
compravendita; le deduzioni pure svolte dalla ricorrente, in ordine al fatto che l’area corrispondente alla porzione sub 125 fosse stata oggetto di precedente vendita a terzi rimane estranea all’applicazione dell’art. 1538 co. 1 cod. civ.
La corte di merito non ha fatto ricorso alle mappe catastali ed alla CTU perché, nell’ambito della valutazione dei mezzi di prova, ha reputato decisivo l’esame del titolo di proprietà.
Non sussiste, pertanto, il vizio di violazione e/o falsa o erronea applicazione di legge che, come ribadito da questa Corte, consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, e nei limiti in cui essa è consentita dalla “novellazione” del testo del n. 5 del medesimo art. 360 c.p.c. (Cass. 16 febbraio 2017, n. 4125; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155).
Gli argomenti evidenziati nella memoria si limitano a riportare la giurisprudenza di questa Corte in ordine all’irrilevanza dell’estensione del fondo nella vendita a corpo al fine della determinazione del prezzo, secondo il diverso regime di cui agli artt. 1537 e 1538 c.c., ma non alla identificazione del bene effettivamente venduto. (Cass. n. 3042/87; in senso conforme, v. anche Cass. n. 7720/00), senza considerare che gli stessi precedenti indicati dalla ricorrente contemplano la diversa ipotesi in cui le parti abbiano identificato la
porzione di immobile che ne formava oggetto facendo specifico riferimento ai dati catastali e al tipo di frazionamento.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile anche ai sensi dell’art.360 bis, n .1 c.p.c.
Essendo la decisione resa nel procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ.. (novellato dal D. Lgs n.149 del 2022.), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere, inoltre, condannata al pagamento delle ulteriori somme ex art.96, comma 3 e 4 c.p.c., sempre come liquidate in dispositivo (sulla doverosità del pagamento della somma di cui all’art.96, comma 4 c.p.c. in favore della Cassa delle Ammende: Cass. S.U. n. 27195/2023).
Ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1-bis, del DPR n.115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore dei controricorrenti, che liquida in Euro 2200,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Condanna altresì parte ricorrente, ai sensi dell’art.96, comma 3 c.p.c., al pagamento a favore della parte controricorrente di una somma ulteriore di Euro 1.000,00 equitativamente determinata,
nonché -ai sensi dell’ art.96, comma 4, c.p.c. – al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1-bis, del DPR n.115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione