Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21823 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21823 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15524/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE);
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE NOME, elettivamente domiciliate in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentate e difese dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– controricorrenti – nonchè contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI FIRENZE n. 308/2020 depositata il 04/02/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
RAGIONE_SOCIALE chiedeva al Tribunale di Livorno decreto ingiuntivo nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME (socia illimitatamente responsabile della società quando la stessa aveva forma di RAGIONE_SOCIALE) per il pagamento in suo favore della somma di € . 110.000,00 a titolo di saldo del corrispettivo del contratto d’appalto stipulato con le ingiunte in data 14.05.2007, avente ad oggetto la demolizione e nuova costruzione del fabbricato con parcheggio, da destinare ad enoteca.
Il Tribunale emetteva decreto ingiuntivo per il pagamento della somma di €. 79.2 94,00, detratti -dall’importo richiesto – i costi stimati da ATP di € . 30.706,00 per l’eliminazione dei vizi stimati.
1.1. Proponevano opposizione al decreto ingiuntivo RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, nonché il socio NOME COGNOME con autonomo giudizio (poi riunito), innanzi al medesimo Tribunale, deducendo l’estinzione del credito a mezzo di scrittura privata datata 08.08.2008 e formulando domanda riconvenzionale per vizi e difetti dell’immobile ex art. 1669 cod. civ.
Il Tribunale adìto, in parziale accoglimento dell’opposizione, ritenendo non contestata o comunque provata la porzione di
corrispettivo a saldo oggetto della condanna riferibile ad opere extracapitolato, condannava RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME al pagamento di € . 51.853,37 in favore dell’opposta, previo scomputo dal residuo corrispettivo accertato in € . 110.000,00 della somma liquidata in € . 58.146,63 per l’esistenza di vizi.
Avverso la pronuncia del Tribunale interponevano appello RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, nonché il socio NOME COGNOME, appellante incidentale, innanzi alla Corte d’Appello di Firenze che, in parziale riforma dell’impugnata sentenza emessa dal Tribunale di Livorno, condannava RAGIONE_SOCIALE alla restituzione della somma di € . 52.146,63, cosi argomentando (per quanto ancora di interesse in questa sede):
la controversia si incentra sul pagamento delle opere extracapitolato, visto che il loro importo (€ . 97.347,77, oltre IVA), dichiarato dalla stessa opposta in comparsa conclusionale di primo grado, corrisponde sostanzialmente al credito residuo di € . 110.000,00 riconosciuto dal Tribunale;
detto credito, contrariamente a quanto affermato dal giudice di prime cure, era stato tempestivamente contestato dalle opponenti nella prima memoria ex art. 183, comma 6, cod. proc. civ., posto che il riferimento alle lavorazioni aggiuntive richieste dalla committenza, e la relativa documentazione, era stata per la prima volta affermato dall’opposta, RAGIONE_SOCIALE, nella comparsa conclusionale di primo grado;
la fattispecie prospettata sarebbe inquadrabile nell’art. 1661 cod. civ., non trattandosi né di variazioni concordate (art. 1659 cod. civ.), né di variazioni rese necessarie per l’esecuzione del progetto (art. 1660 cod. civ.), fattispecie per la quale la legge non impone un onere di prova scritta. Tuttavia, la contestazione dei debitori impone a RAGIONE_SOCIALE
sRAGIONE_SOCIALE di dimostrare che la fattispecie dedotta ex art. 1661 cod. civ. corrisponde a quella reale, onere al quale l’appellata non ha adempiuto; dal che consegue che la sua domanda andrebbe valutata ex art. 1659 cod. civ., fattispecie che implica la prova scritta. Del resto, aggiunge la Corte territoriale, l’art. 4 del capitolato d’appalto (parte integrante del contratto del 14.05.2007) si conclude con una previsione pattizia in virtù della quale «tutte le variazioni debbono essere ordinate dalla Direzione dei Lavori e/o dalla Committente per iscritto»;
-oltre all’assenza di prova scritta dell’effettiva realizzazione di lavori extracapitolato, a dimostrazione dell’esistenza del credito non interviene neanche la sua adeguata documentazione scritta, tutta di formazione unilaterale, mentre devono disattendersi: le istanze di prova orale stante la loro genericità, la CTU per la sua valenza puramente esplorativa (dal momento che fornirebbe la misurazione del quantum dovuto solo dopo che la parte avesse assolto l’onere di dimostrare di avere diritto al relativo corrispettivo).
La sentenza n. 308/2020 nella Corte d’Appello di Firenze viene impugnata per la cassazione da RAGIONE_SOCIALE, e il ricorso affidato a tre motivi.
Resistono RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, nonché NOME COGNOME, depositando separati controricorsi entrambi illustrati da memorie.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 111, comma 6, Costituzione, dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. (omessa motivazione) e dell’art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. (nullità della sentenza), per avere la Corte d’Appello ritenuto che il credito di RAGIONE_SOCIALE oggetto del ricorso monitorio abbia fonte in lavorazioni
extra-capitolato senza motivare in ordine alle deduzioni contrarie di RAGIONE_SOCIALE La ricorrente censura la sentenza nella parte in cui richiama gli artt. 1659, 1660 e 1661 cod. civ. del tutto a sproposito vertendosi, invece, non nell’accertamento dell’esistenza di un patto in merito all’esecuzione di varianti, ma piuttosto nella misurazione delle quantità realizzate. La tesi della ricorrente è che la Corte d’Appello avrebbe del tutto omesso di considerare le deduzioni con le quali RAGIONE_SOCIALE aveva ben chiarito come il maggior importo fatturato rispetto a quello originario derivasse non da opere ulteriori o diverse da quelle pattuite in contratto, ma semplicemente da maggiore quantità rispetto a quelle originariamente preventivate.
2. Con il secondo motivo si deduce omesso esame circa i fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., in relazione agli artt. 1193, 1659, 1661, 1665 e 2729 cod. civ. Anche voler concedere che le opere oggetto del presente giudizio costituiscano c.d. varianti e quindi opere fuori capitolato, la sentenza impugnata – omettendo di esaminare fatti decisivi per il giudizio – è illegittima sia per l’ipotesi in cui la fattispecie sia ricondotta sub art. 1659 cod. civ., sia che sia ricondotta al campo di applicazione dell’art. 1661 cod. civ. La prima norma va coordinata con l’accettazione e il collaudo, ex art. 1665 cod. civ. che, al comma 4, introduce una presunzione legale di accettazione dell’opera: sulla base dei fatti descritti (consegna dell’opera, suo parziale pagamento senza formulazione di riserve, denunzia di vizi soltanto occulti) costituiscono all’evidenza comportamenti concludenti della committente che presuppongono necessariamente la volontà di accettare l’opera, comprese le varianti. Più precisamente: il parziale pagamento delle
opere ritenuto dalla Corte d’appello come riguardante solo le opere previste da contratto, escluse le varianti, costituisce violazione dell’art. 1193 cod. civ., in quanto il primo criterio di imputazione è quello del debito meno garantito cioè, nel caso di specie, proprio il debito presuntivamente relativo ad opera extra-capitolato; ovvero, secondo il criterio dell’imputazione fatta proporzionalmente ai vari debiti, cosicché era comunque da escludere che i debitori opponenti avessero messo in pagamento quelle opere qualificate sia pure erroneamente come varianti. Quanto all’art. 1661, i fatti sopra evidenziati fanno presumere che vi fosse un accordo tra le parti concernente proprio quelle opere poi genericamente contestate: tenendo a mente che la prova degli ordini del committente può essere data con ogni mezzo, la Corte d’Appello, pertanto, avrebbe fatto erronea applicazione del ragionamento presuntivo, nella parte in cui ha rilevato la mancanza della prova scritta del patto o dell’autorizzazione relativa alle varianti in una fattispecie come quella di cui si discute, nella quale l’accettazione dell’opera era inequivocabilmente già avvenuta e in cui, pertanto, ne era consentita la prova anche mediante presunzioni. Né, infine, insiste la ricorrente, si può argomentare l’inoperatività delle presunzioni sulla base della necessità della prova scritta imposta dall’art. 4 del capitolato allegato al contratto di appalto: la giurisprudenza, infatti, è univoca nel senso di ritenere che il patto di forma scritta può essere revocato anche tacitamente mediante comportamenti incompatibili col suo mantenimento: su tale punto, la Corte d’Appello non ha operato alcuna valutazione, omettendo di considerare una serie di elementi di fatto rispetto ai quali, applicando il ragionamento presuntivo ex art. 2729 cod. civ. avrebbe potuto ritenere come revocato il patto relativo alla forma scritta (Cass. n. 4539 del 2019).
I due motivi possono essere trattati congiuntamente, e sono fondati per quanto di ragione.
3.1. Il regime probatorio delle variazioni dell’opera muta, a seconda che le stesse siano dovute all’iniziativa dell’appaltatore ovvero a quella del committente; mentre nel primo caso l’art. 1659 cod. civ. richiede che le modifiche siano autorizzate dal committente e che l’autorizzazione risulti da atto scritto ad substantiam , nel secondo, invece, l’art. 1661 cod. civ. consente all’appaltatore, secondo i principi generali, di provare con tutti i mezzi consentiti, incluse le presunzioni, che le variazioni sono state richieste dal committente ( ex multis , cfr. di recente: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24246 del 09/08/2023, Rv. 668728 -01; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 40122 del 15/12/2021, Rv. 663359 -01).
Le variazioni dovute ad iniziativa del committente, al fine di rendere l’opera commissionata funzionale alle sue e sigenze, possono essere rappresentate da aumenti di consistenza dell’opera ovvero dalla sua riduzione (nei limiti indicati dall’art. 1661 cod. civ.) , e si innestano nella flessibilità del contenuto contrattuale connaturata al contratto di appalto, caratterizzato dalla necessità di supplire alla sua inevitabile incompletezza. Alla natura potestativa dello ius variandi riconosciuto dal codice civile al committente (destinato a divenire futuro proprietario ed utilizzatore dell’opera) fa nno da contrappeso una serie di tutele a favore dell’appaltatore . Tra queste, il diritto ad un compenso integrativo anche ove il corrispettivo sia stato convenuto a corpo; la forma libera della disposizione dell’ordine di variazione a cura del committente a fronte della quale sta una posizione probatoria dell’appaltatore facilitata, potendo questi dimostrare l ‘iniziativa del committente con qualsiasi mezzo probatorio , inclusa l’eventuale accettazione tacita del committente dell’opera al momento della
consegna, anche se non si sia proceduto alla verifica (per tutte: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10452 del 03/06/2020, Rv. 657792 – 01).
A tanto deve aggiungersi il principio, già enunciato da questa Corte, la cui applicabilità è da escludersi in presenza di forma scritta ad substantiam del contratto di appalto originario, in virtù del quale (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 4539 del 15/02/2019, Rv. 652488 -01, richiamata in ricorso): «Le parti che abbiano convenuto l’adozione della forma scritta per un determinato atto, nella loro autonomia negoziale possono successivamente rinunciarvi, anche tacitamente, mediante comportamenti incompatibili con il suo mantenimento, costituendo la valutazione in ordine alla sussistenza o meno di una rinuncia tacita un apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, qualora sia sorretto da una motivazione immune da vizi logici, coerente e congruente».
Nel caso che ci occupa, la Corte d’Appello -pur avendo riconosciuto che in sede documentale erano state prodotte elencazioni analitiche dei lavori fuori capitolato (v. sentenza p. 9, 1° capoverso) non ha fatto buon governo dei principi sopra enunciati in tema di assolvimento dell’ onere della prova riguardante la provenienza della commissione dei lavori extra-capitolato.
Con il terzo motivo si deduce violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., in relazione agli artt. 183, comma 7 e 244 cod. proc. civ., per aver ritenuto irrilevanti i capitoli di prova per testimoni, benché rilevanti e articolati in maniera puntuale e sufficientemente precisa.
4.1. Avendo il Collegio accolto il primo e il secondo motivo del ricorso, il terzo deve dichiararsi assorbito.
Il Collegio cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio alla medesima Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione, che si
atterrà a quanto sopra rilevato e deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, in accoglimento dei primi due motivi del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio;
dichiara assorbito il terzo motivo.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Seconda