Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 32455 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 32455 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22696/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al ricorso
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE giusta procura speciale allegata al controricorso
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE
– intimato – avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 1340/2019 depositata il 7/6/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 2/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
La Corte d’appello di Bari , con sentenza del 7 giugno 2019, ha rigettato il reclamo proposto da RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza dichiarativa del suo fallimento, emessa dal Tribunale di Bari su istanza di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Ha evidenziato che la società debitrice, dopo la cessione del ramo d’azienda del 29 luglio 2016 e il licenziamento dei dipendenti, aveva cessato ogni produzione e si era limitata a smaltire le scorte di magazzino e ha osservato che detta situazione, non confluita in una formale attività di liquidazione, costituiva un sintomo preoccupante di una condizione di insolvenza, dato che la capacità economica e reddituale di IVR era cessata e occorreva salvaguardare le ragioni dei creditori.
Ha poi ritenuto non condivisibili le valutazioni a cui era giunto il C.T.U. nominato in sede di reclamo, il quale aveva escluso il ricorrere di una situazione di insolvenza nonostante l’accertato stallo dell’attività produttiva, sottolineando che una simile valutazione era stata compiuta unicamente sulla base dei dati di bilancio, che il consulente però non aveva potuto adeguatamente riscontrare, in assenza di tutta la documentazione contabile di raffronto, o aveva riscontrato sulla base di dati del tutto insicuri.
Ha rilevato, in particolare, che: i) i debiti di IVR erano stati conteggiati dal C.T.U. con riferimento alle risultanze dello stato passivo, senza considerare le opposizioni e le insinuazioni tardive; ii) i crediti erano stati apprezzati per come riportati in bilancio, nonostante il curatore ne avesse ridotto l’importo nella relazione ex art. 33 l. fall., precisando che gli stessi, in gran parte, erano inesigibili, come del resto riconosciuto anche nella nota esplicativa sulla situazione contabile al 28 febbraio 2017; iii) nelle more del giudizio era divenuto definitivo il decreto ingiuntivo con cui NOME COGNOME aveva intimato alla reclamante il pagamento della somma di 60.000 euro; iv) non vi era corrispondenza fra i dati di
bilancio e i valori stimati dal curatore rispetto all’ammontare del magazzino.
Ha infine ritenuto che l’esistenza di un patrimonio netto positivo fosse del tutto irrilevante ai fini della dichiarazione di insolvenza, occorrendo invece avere riguardo – dato che RAGIONE_SOCIALE non era una società in liquidazione – non tanto alla capienza del patrimonio, quanto piuttosto alla capacità dell’impresa di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni, che la reclamante non era riuscita a dimostrare.
3. RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza prospettando tre motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALEaRAGIONE_SOCIALE
L’intimato fallimento di RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
Considerato che:
4. Il primo motivo di ricorso lamenta , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso o apparente esame di un punto decisivo della controversia discusso fra le parti, costituito dalla C.T.U. contabile disposta in grado di appello e diretta a ricostruire la situazione debitoria e individuare gli elementi significativi delle effettive condizioni economiche, finanziarie e patrimoniali in cui si trovava IVR, al fine di stabilire poi se la società fosse capace di adempiere con regolarità le proprie obbligazioni.
La decisione della Corte territoriale è -in tesi di parte ricorrente viziata da un inadeguato esame delle risultanze istruttorie o dal loro travisamento e contiene un dissenso mal motivato rispetto alle conclusioni del C.T.U., che, invece, aveva escluso la sussistenza degli indici di insolvenza.
Più precisamente, i giudici distrettuali avrebbero qualificato come inattendibili i dati contabili di bilancio, ritenendoli insicuri, non verificati, incerti, contestabili e contestati, senza esplicitare con argomenti tecnico-contabili coerenti con una corretta lettura delle risultanze istruttorie i motivi di una simile valutazione, con
particolare riguardo all’ammontare dei debiti e dei crediti della società e al valore del magazzino.
Il motivo è inammissibile.
5.1 L’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui ambito non è inquadrabile la consulenza tecnica d’ufficio – atto processuale che svolge funzione di ausilio del giudice nella valutazione dei fatti e degli elementi acquisiti (consulenza c.d. deducente) ovvero, in determinati casi (come in ambito di responsabilità sanitaria), fonte di prova per l’accertamento dei fatti (consulenza c.d. percipiente) – in quanto essa costituisce mero elemento istruttorio da cui è possibile trarre il “fatto storico”, rilevato e/o accertato dal consulente (Cass.. 12387/2020; nello stesso senso Cass. 6322/2023).
Dunque, nella nozione di fatto storico, principale o secondario, evocata dall’attuale testo dell’art. 360, comma 1 n. 5, cod. proc. civ. non è inquadrabile la consulenza tecnica d’ufficio.
Nel caso di specie i fatti storici di cui l’odierna ricorrente assume l’omesso esame (consistenza del passivo, ammontare dei crediti, credito vantato dall’istante e valore del magazzino) sono stati tutti vagliati dalla Corte d’appello, sicché, al più, se n e potrebbe predicare ‘l’inadeguato esame’ (pag. 12 del ricorso); quest’ultima doglianza, tuttavia, non è coerente con la censura sollevabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., che consente di lamentare l’omissione dell’ esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio e non la valorizzazione di tale fatto in un senso differente da quello voluto dalla parte (Cass. 14929/2012, Cass. 23328/2012).
5.2 Nel nostro ordinamento vige il principio judex peritus peritorum , in virtù del quale è consentito al giudice di merito disattendere le argomentazioni tecniche svolte nella propria relazione dal consulente
tecnico d’ufficio, e ciò non solo quando le motivazioni stesse siano intimamente contraddittorie, ma anche quando il giudice sostituisca ad esse altre argomentazioni, tratte da proprie personali cognizioni tecniche; in ambedue i casi l’unico onere incontrato dal giudice è quello di un’adeguata motivazione, esente da vizi logici ed errori di diritto (cfr., per tutte, Cass. 17757/2014).
La Corte d’appello, quindi, ben poteva disattendere le conclusioni espresse dal consulente tecnico da lei stessa nominato, a patto che svolgesse nella motivazione una valutazione critica delle risultanze processuali, indicando, in particolare, gli argomenti su cui fondava il proprio dissenso nonché gli elementi ed i criteri cui aveva fatto ricorso per pervenire a una valutazione contrastante (Cass. 19468/2019).
Le argomentazioni offerte per disattendere le conclusioni della C.T.U. possono poi essere censurate sotto il profilo d i cui all’art. 132, comma 2 n. 4 c.p.c. solo qualora ricorra un’anomalia motivazionale che si tramuti in una violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della decisione impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., Sez. U., 8053/2014).
Simili forme di anomalia motivazionale non ricorrono di certo nel caso di specie, a fronte dell’ampia, e linearmente argomentata, esposizione da parte della Corte distrettuale delle ragioni che l ‘ hanno indotta a non accogliere le conclusioni a cui era giunto il C.T.U..
6. Il secondo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., il mancato esame di un mezzo di prova, costituito dalle visure della Centrale Rischi della Banca d’Italia comprovanti l’esistenza in capo alla società fallita di affidamenti bancari utilizzabili, che ha determinato l’omesso esame di un fatto storico decisivo, costituito dalla sussistenza, in capo a IVR, di credito e liquidità; questo fatto, se considerato, avrebbe condotto ad escludere la sussistenza di una condizione di insolvenza, da intendersi come una situazione di impotenza strutturale e non soltanto transitoria a soddisfare regolarmente con mezzi normali le obbligazioni a seguito del venir meno delle condizioni di liquidità e di credito.
7. Il motivo è inammissibile.
E’ ben vero che lo stato di insolvenza delle società che non siano in liquidazione va desunto non già dal rapporto tra attività e passività, bensì dall’impossibilità dell’impresa di continuare ad operare proficuamente sul mercato, che si traduca in una situazione d’impotenza strutturale (e non soltanto transitoria) a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni, per il venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie allo svolgimento dell’attività (si vedano in questo senso, per tutte, Cass. 7087/2022, Cass. 29913/2018).
Occorre, tuttavia, considerare che le visure asseritamente trascurate e comprovanti la possibilità di accesso al credito riguardano l’una il periodo maggio 2015/maggio 2016, l’altra il periodo maggio 2016/maggio 2017, mentre la sentenza dichiarativa di fallimento è stata pronunciata in data 10 luglio 2017.
I documenti erano dunque privi di decisività nell’economia dell’accertamento dello stato di insolvenza, perché, quand’anche si supponga che gli stessi attestassero, in termini quantitativi, l’esistenza delle condizioni di credito necessarie allo svolgimento dell’attività d’impres a, in ogni caso facevano riferimento a un
frangente temporale irrilevante ai fini della dichiarazione di fallimento.
L’accertamento dello stato di insolvenza, infatti, deve essere compiuto con riferimento alla situazione esistente alla data della sentenza dichiarativa di fallimento e non già a quella di presentazione del relativo ricorso (Cass. 19790/2015; nello stesso senso Cass. 27200/2019).
8. Il terzo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.: la Corte d’appello dapprima ha valutato come inattendibili i fatti allegati da IVR, in ordine alla sussistenza di risorse economiche, finanziarie e patrimoniali proprie e/o di terzi, fondati sui dati contabili contenuti nei bilanci di esercizio per il quadriennio 2012/2016, pur in assenza di specifica contestazione degli stessi da parte della curatela e del creditore istante; quindi, sulla base di questa valutazione di inattendibilità dei bilanci, ha disatteso le conclusioni del C.T.U., che aveva escluso la sussistenza degli indici di insolvenza in capo alla società fallita alla data di fallimento.
I dati contabili, non essendo mai stati contestati dal creditore istante e dalla curatela, dovevano invece essere posti a fondamento della decisione senza residui di discrezionalità per il giudicante, in applicazione del principio di non contestazione prev isto dall’art. 115 cod. proc. civ..
Il motivo non è fondato.
Invero, se per contestazione si deve intendere il contrasto e la messa in discussione della fondatezza e della corrispondenza al vero di una circostanza di fatto, è evidente che il creditore istante, nel momento in cui aveva eccepito ‘ l’irrilevanza probatoria dei bilanci, non ufficialmente depositati e pubblicati nel registro delle imprese ‘, aveva contestato, negandola, la validità probatoria di tali documenti, perché non pubblicizzati (e resi così immodificabili) secondo le modalità di legge, e, con essa, dei dati rappresentati al loro interno.
Un simile contegno processuale era sufficiente a rendere inapplicabile al caso di specie il disposto dell’art. 115 cod. proc. civ.. 10. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 7.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 2 ottobre 2024.