Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11035 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11035 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25927/2020 R.G. proposto da :
COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOMEcontroricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANIA n. 2830/2019 depositata il 19/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
–NOME COGNOME COGNOME in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE Riccardo RAGIONE_SOCIALE, ricorre per tre mezzi, nei confronti di NOME COGNOME contro la sentenza del 19 dicembre 2019, con cui la Corte d’appello di Catania ha respinto il loro appello avverso la sentenza che aveva condannato in solido la società e il socio NOME COGNOME a pagare a NOME la somma di € 451.970,84, pari al valore della quota sociale spettante al socio escluso con precedente sentenza passata in giudicato, NOME COGNOME oltre gli interessi dalla domanda nonché la somma di € 43.974,13, a titolo di utili maturati e non percepiti dal 1997 (data dell’esclusione) al 2005, oltre le spese del giudizio.
2.La Corte d’appello ha osservato:
quanto al primo motivo di gravame con cui si lamentava l’erronea liquidazione del valore della quota spettante al socio escluso sulla base di una stima del consulente di parte dell’incremento di valore degli immobili dal 1997 al 2005, e per l’apoditticità del riferimento del CTU alla banca dati consultato ad integrazione della motivazione del primo giudice: (i) che il criterio di stima proposto dal consulente di parte era inadeguato riflettendo le variazioni dei prezzi al consumo, ma non le quotazioni di mercato degli immobili (citando ex plurimis : Cass. n. 10730/1994); (ii) che il CTU, nella relazione integrativa depositata nel grado, aveva chiarito espressamente che la banca dati cui aveva fatto riferimento è “quella dell’agenzia delle Entrate e del Territorio che fra l’altro gestisce l’Osservatorio del mercato immobiliare ed offre servizi tecnici estimativi”, ovvero una banca dati di sicura affidabilità; (iii) che era inconferente la censura secondo la quale gli indicatori dell’OMI, per pacifica giurisprudenza, non
costituiscono fonte di prova, giacchè il principio giurisprudenziale richiamato da parte appellante, affermato nelle cause tributarie in cui si discute del valore dell’imposta di trasferimento, era richiamato erroneamente nella fattispecie in esame, posto che il CTU non si era limitato affatto a far riferimento agli indicatori OMI, ma partendo da tale, corretto, riferimento, aveva ha determinato il valore del fabbricato, tenendo conto delle necessarie variabili, con una valutazione complessiva, non oggetto di specifiche censure con l’atto di citazione in appello;
quanto al secondo motivo che censurava la determinazione nel 10% dell’ipotetica aliquota fiscale da applicare al plusvalore lordo in cado di alienazione del bene, giacché queste all’attualità fossero ben maggiori, che come osservato dal CTU, l’attenuazione dell’aliquota fiscale potenziale era supportata dall’opportunità di differire il carico fiscale nel tempo, dallo possibilità di fruire di benefici fiscali, di imposizioni sostitutive e/o tassazioni differenziate ed era stata calcolata considerando i principali metodi empirici adottati nella prassi contabile, argomenti non censurati;
quanto al terzo motivo relativo alla dedotta erroneità del calcolo dell’avviamento laddove il CTU avrebbe dovuto tener conto tra gli oneri figurativi dell’attività di lavoro svolta dal socio imprenditore, che anche il socio escluso avrebbe dovuto, in teoria, lavorare per l’azienda, tanto è vero che la sua esclusione era intervenuta proprio per tale omessa prestazione, che l’attività lavorativa in questione non poteva incidere sull’avviamento in quanto lo statuto della società non prevedeva un apporto d’opera dei due soci, sicché al più venivano in considerazione mere circostanze occasionali, inidonee ad incidere sull’avviamento.
– NOME COGNOME ha resistito con controricorso corredato di memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 . – Il primo motivo denuncia nullità della sentenza ex art. 360 n. 4 c.p.c., motivazione apparente, motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, violazione dell’art. 132 co. 4 c.p.c. Poiché dalla stessa non risulta percepibile il fondamento della decisione e reca argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione proprio convincimento
1.1 -Il motivo è manifestamente inammissibile.
Come è noto che la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, è stata interpretata da questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al « minimo costituzionale » del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella « mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico », nella « motivazione apparente », nel « contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili » e nella « motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile », esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di « sufficienza » della motivazione (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).
Nel caso in esame, si evidenzia anzitutto che i ricorrenti cumulano la denuncia di motivazione apparente, e cioè radicalmente mancante per essere soltanto un simulacro di motivazione, con la denuncia di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, che è tutt’altra cosa, giacché si riferisce al caso, tutt’affatto distinto, che la motivazione ci sia, e dunque non sia meramente apparente, ma sia afflitta da
contraddizioni logiche così marcate da impedire l’individuazione della ratio decidendi che sostiene la decisione impugnata.
Ciò detto ed aggiunto che, a fronte della motivazione sopra sintetizzata, la denuncia di motivazione meramente apparente risulta formulata nel totale disinteresse del contenuto della motivazione sottoposta a censura, si osserva che la motivazione non è neppure contraddittoria, giacché spiega in modo piano e comprensibile la ragione per cui la corte territoriale ha ritenuto condivisibile la stima del valore dell’immobile già accolta dal primo giudice.
In realtà si tratta di motivo che intende sottoporre al giudice di legittimità inammissibilmente il merito della decisione alla luce dell’esame delle risultanze probatorie.
2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. e segnatamente degli artt. 85 e 86 del d.p.r. n. 917/1986. Sostiene parte ricorrente che: « Diversamente da quanto ritenuto dal Ctu e supinamente accettato dal primo giudice e dalla Corte di Appello, la materia della tassazione delle plusvalenze e sopravvenienze patrimoniali realizzate da imprese, non è regolata da “metodi empirici adottati dalla prassi contabile” né dai co. 469 e ss. della L. 266/2005 né dall’art. 1 della L. 2/09 che ha convertito il d.l. 185/08, ma unicamente dagli artt. 85 e ss. del D.P.R. 917/86 (Testo Unico Imposte sui Redditi), sicché unicamente a tali norme avrebbe dovuto fare riferimento il CTU, il Tribunale di Catania e da ultimo la Corte di Appello di Catania, le quali stabiliscono che la vendita dei beni di impresa genera le plusvalenze patrimoniali che sono costituite dalla differenza tra il corrispettivo della vendita ed il costo non ammortizzato dei beni ceduti… E’ evidente che l’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dagli art. 85 e 86 D.P.R. n. 917/1986, abbia indotto la Corte a giungere all’erronea conclusione di ritenere corretta l’aliquota del 10%, determinata dal
CTU per la tassazione della plusvalenza in caso di cessione del fabbricato della RAGIONE_SOCIALE » Nullità della sentenza ex art. 360 n. 4 c.p.c., motivazione apparente, motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, violazione dell’art. 132 co. 4 c.p.c .
2.1- Il motivo è inammissibile, non solo perché si disinteressa della pur chiara ratio decidendi , secondo cui la normativa invocata è riferibile a transazioni effettivamente portate a compimento e non alla valutazione meramente virtuale finalizzata alla quantificazione del valore della quota nella prospettiva della decisione impugnata, ma anche per l’assorbente considerazione che dalla formulazione del medesimo motivo non risulta affatto che l’applicazione della normativa invocata avrebbe dispiegato un qualche effetto sulla quantificazione in discorso.
– Il terzo mezzo denuncia nullità della sentenza ex art. 360 n. 4 c.p.c., motivazione apparente, motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, violazione dell’art. 132 co. 4 c.p.c. è inammissibile come il primo, ed rivolto contro la parte di sentenza che riguarda il rigetto della censura di erroneità del calcolo dell’avviamento.
3.1-Anche in tal caso – come per il primo motivo – si osserva che la motivazione c’è, è del tutto piana e comprensibile e pertanto sfugge al sindacato della Corte di cassazione, per le ragioni già dette.
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese in favore di parte controricorrente, liquidate nell’importo di euro 8.700,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%
sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1° sezione