Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 13290 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 13290 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 17111/2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, anche in qualità di legale rappresentante della cessata RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, e con lui elettivamente domiciliati in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in virtù di procura speciale in calce al ricorso per cassazione, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni relative al presente giudizio all’indirizzo pec indicato
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, il quale dichiara di voler ricevere le
comunicazioni inerenti al giudizio in oggetto all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato
-controricorrente-
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce n. 1155/2019, depositata in data 21 ottobre 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9/5/2024 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME agiva in giudizio nei confronti di NOME COGNOME e della RAGIONE_SOCIALE, al fine – tra l’altro – di far accertare la giusta causa del recesso dalla carica di socio accomandante di tale società, notificato il 18/5/2010, e per fare liquidare la quota sociale da valutarsi in base ad un apposito bilancio straordinario, tenendo conto dell’avviamento e dei valori effettivi degli elementi patrimoniali.
In particolare, l’attore deduceva di avere costituito in data 29/7/2008, unitamente al RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto il servizio di trasporto di viaggiatori su strada ed attività connesse, con una partecipazione pari al 50%, conferendo anche la propria azienda denominata RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME.
Si costituiva in giudizio il COGNOME rilevando che, nella sostanza, la società, la cui quota del 50% era oggetto di valutazione, «non fosse meritevole di una valutazione in termini positivi, poiché sprovvista di un’autonoma capacità di produrre redditi futuri».
Il tribunale di prime cure accoglieva parzialmente la domanda, a seguito dell’espletamento della CTU, oggetto di contestazione da parte del COGNOME, in quanto era stata utilizzata documentazione
acquisita irritualmente nel corso delle operazioni peritali. Tanto che, nel determinare il valore della quota sociale, si era tenuto conto tra i costi, di quelli sostenuti «in nero» per l’utilizzo di due autisti, con una spesa complessiva pari ad euro 12.000,00 circa, pur obiettando il COGNOME di avere svolto da solo l’attività.
Pertanto, il tribunale dichiarava la legittimità del recesso operato da COGNOME NOME, determinando il valore della quota, alla data del recesso, in euro 22.363,59, con condanna della società al pagamento in favore dell’attore di tale somma.
La Corte d’appello di Lecce accoglieva parzialmente il gravame proposto da NOME COGNOME, determinando il 50% della quota sociale in euro 15.360,92.
In motivazione, per quel che ancora qui riguarda, la Corte territoriale reputava nulla la CTU svolta in prime cure, in quanto erano stati utilizzati documenti non ritualmente acquisiti agli atti di causa.
Accoglieva anche il motivo d’appello relativo alla «erronea sovrastima ricavi e sottostima costi errata indagine sulla effettiva realtà aziendale della RAGIONE_SOCIALE, sulla sua antieconomicità e sulle prospettive di continuità aziendale».
Il giudice d’appello condivideva le risultanze dell’elaborato peritale svolto in sede di giudizio d’appello, contenute nella CTU del AVV_NOTAIO COGNOME.
Questi, infatti, si era attenuto alla contabilità in atti, «evitando di impiegare -così come richiestogli in sede di conferimento dell’incarico – documenti irritualmente prodotti».
La Corte territoriale evidenziava anche che lo stesso appellante, si doleva – con una certa incongruenza – del fatto che il CTU si fosse «limitato a determinare le passività riscontrate nei documenti contabili». Anche con riferimento alla determinazione dei costi da
lavoro dipendente, perché da ciò sarebbe conseguita una sottostima dei costi aziendali, con conseguenze distorsive ai fini delle valutazioni in ordine alla redditività futura dell’azienda.
Vi erano, secondo l’appellante dei costi da lavoro dipendente che, indipendentemente dalle risultanze contabili, «dovrebbero essere sostenuti per impiegare i due (almeno) autisti a tempo pieno, che, teoricamente, dovrebbero assumersi al fine di assicurare l’osservanza della normativa comunitaria e nazionale in materia di trasporti di persone e delle previsioni del CCNL, applicabile ai conducenti di autobus, tenuto conto del servizio in concreto erogato».
Per la Corte d’appello, però, la censura era infondata, non potendo certamente imputarsi al CTU l’omessa considerazione di costi «solo teorici del tutto avulsi dalla concreta realtà gestionale della società convenuta, per come ricostruibile alla stregua della documentazione ritualmente messa a disposizione del consulente e della quale egli ha, correttamente, tenuto conto».
La Corte territoriale, quindi, si soffermava sul concreto esercizio dell’attività aziendale, evidenziando che la principale attività della RAGIONE_SOCIALE aveva ad oggetto un servizio navetta giornaliero, con tre corse di andata e ritorno per tutti i giorni della settimana.
Richiamava, poi, quanto affermato dal socio accomandatario COGNOME nel corso del giudizio di prime cure, in risposta alle osservazioni del CTU nominato in tale sede, proprio in materia di lavoro dipendente effettivamente utilizzato.
Il CTU di prime cure, infatti, aveva rilevato che, al fine di assicurare il servizio di trasporto sopra indicato, «non potesse non essersi fatto ricorso all’impiego di lavoro dipendente ‘in nero’, di tanto trovando riscontro in documentazione non ritualmente acquisita».
A giustificazione di tale asserzione il COGNOME aveva sostenuto «l’improbabile tesi di avere gli stesso, da solo, assicurato tale servizio ‘che impegna l’autista per tutto il giorno ogni giorno dell’anno’».
La Corte d’appello, dunque, riferiva che il COGNOME, «non intendendo ammettere l’esistenza di costi occulti da utilizzo di lavoratori in nero», con conseguente responsabilità gestionale dell’accomandatario, ma «consente una loro valutazione quali componenti negativi di reddito non contabilizzati», pretendeva, pur «in mancanza di una tale prova in fatto», di «veder operare previsioni di reddito futuro fondate non su elementi reddituali oggettivi , ma su ipotesi del tutto teoriche ed astratte, sulle quali, con ogni evidenza, non appare consentito fondare alcuna attendibile previsione di redditività futura».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso NOME COGNOME, proponendo anche ricorso incidentale e depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione principale il COGNOME deduce la «violazione e falsa applicazione dell’articolo 2289, secondo comma, c.c. e degli articoli 2-4-8 del regolamento CE n. 561/06, in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
In particolare, il ricorrente principale deduce che la società RAGIONE_SOCIALE era cessata nell’ottobre 2010 ed era stata definitivamente cancellata d’ufficio in data 8/11/2013.
Osserva che la società è stata costituita il 29/7/2008, avendo COGNOME coperto la sua quota pari al 50% in parte in denaro e, per il resto, «mediante il conferimento dell’azienda denominata ‘RAGIONE_SOCIALE‘, relativa all’attività di
trasporti mediante noleggio di autovettura da rimessa con conducente».
Il ricorrente precisa che il secondo CTU, AVV_NOTAIO, aveva utilizzato, nell’ambito dei procedimenti misti (patrimoniali/reddituali) il metodo basato sulla stima autonoma del goodwill/badwill , riconoscendo pienamente il valore di avviamento, con la «capitalizzazione ad un arco temporale definito».
Veniva dunque utilizzato il «metodo misto con stima autonoma dell’avviamento».
Pertanto, il ricorrente puntualizza che il CTU ha provveduto ad analizzare un unico esercizio in cui per intero la società aveva operato, ossia l’anno 2009, essendosi il recesso verificato nel maggio 2010.
Nulla da obiettare in ordine ai ricavi, pari ad euro 26.386,39 (oltre un importo di euro 6536,62, per un totale di euro 33.064,77), relativi ad un servizio di navetta a/r Ostuni-Brindisi, a favore di infermieri che si dovevano recare presso l’ospedale Perrino di Brindisi. Tale contratto apparteneva originariamente alla RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE, poi conferita in RAGIONE_SOCIALE.
La questione dirimente, attiene, però, al computo dei costi, in quanto il CTU ha preso in considerazione solo quelli di cui ai documenti contabili, per un totale di euro 26.012,65.
Il CTU – in base a quanto riportato dal ricorrente – avrebbe calcolato le attività in euro 69.746,93 e le passività in euro 55.514,93, con un «patrimonio netto rettificato positivo di euro 14.232,00».
La formula del conto dell’avviamento ricomprendeva 4 voci: 1) il «patrimonio netto rettificato» valutato in euro 14.232,00; 2) il «reddito medio prospettico normalizzato», definito quale redditività
attesa dall’attività economica determinata attraverso la proiezione di risultati storici apportando, ove opportuno, i necessari aggiustamenti; 3) il tasso di attualizzazione; 4) la durata.
Per la voce relativa al «reddito medio prospettico normalizzato» si doveva fare la differenza tra i ricavi di competenza ed i costi di competenza della gestione aziendale.
In tal modo il CTU riconosceva un avviamento positivo ( goodwill ) pari ad euro 16.489,84. Tale importo, sommato al patrimonio netto rettificato di euro 14.232,00, portava alla valutazione dell’azienda in euro 30.721,48, per cui il 50% della quota sociale spettante allo COGNOME era di euro 15.360,92, somma inferiore a quella calcolata dal primo giudice, ma comunque superiore a quella effettiva.
In particolare, la vera obiezione del COGNOME consisteva nel fatto che il CTU aveva valutato l’azienda, e quindi la quota del socio, «senza tener conto dei costi che per legge la società avrebbe dovuto sostenere, ossia i costi del lavoro».
In sostanza, tali costi erano stati evitati dal ricorrente soltanto perché il COGNOME aveva «svol da solo (in assenza di altri soci e di dipendenti), e a costo zero per la società, il servizio di navetta giornaliero», anche «in ragione del pacifico mancato contributo operativo del sig. COGNOME».
Il servizio di navetta, che costituiva la principale fonte di reddito della società RAGIONE_SOCIALE, impegnava l’autista per tutto il giorno, ogni giorno dell’anno.
Tale servizio era svolto a mezzo minibus a 16 posti modello Renault e, per essere svolto «in condizioni di legalità e nel rispetto del codice stradale» esigeva «una forza lavoro adeguata»; ciò soprattutto considerando gli articoli 2, 4 e 8 del Regolamento CE n. 561/06, trattandosi di un percorso superiore a 220 km giornalieri.
In tali situazioni era necessario un periodo di riposo giornaliero regolare di almeno 11 ore, mentre il periodo di riposo settimanale regolare era di almeno 45 ore. Di qui la necessità di impiegare «stabilmente due autisti esterni e almeno di un altro autista a tempo pieno o due autisti part-time».
Tali considerazioni erano state esplicitate dal c.t. di parte, AVV_NOTAIO COGNOME, nel corso della CTU di prime cure, ed erano state ribadite sempre dal c.t. di parte, anche nella CTU di secondo grado, pure con la produzione di perizia giurata del 10/2/2014 a firma della AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME, consulente del lavoro.
La Corte territoriale ha affrontato la questione sostenendo che l’omessa considerazione dei costi, solo teorici, del tutto avulsi dalla concreta realtà gestionale della società, rendeva la censura non fondata.
In ciò si dovrebbe rinvenire la grave violazione di legge, ossia dei principi giurisprudenziali sottesi all’articolo 2289 c.c., in tema di valutazione della quota del socio deceduto.
Si tratterebbe, in realtà, di un dato fattuale concreto e pacificamente provato: «ossia che la gestione della società fosse caratterizzata dalla mancata assunzione di costi del personale che, in base alla normativa comunitaria direttamente applicabile all’attività della RAGIONE_SOCIALE, la compagine sociale avrebbe dovuto impiegare per svolgere la prestazione oggetto di reddito nella gestione pregressa e contestuale al recesso del signor COGNOME».
In ciò vi sono numerosi riscontri della giurisprudenza di legittimità, che impone di avere riguardo alla effettiva consistenza della quota al momento dell’uscita del socio, tenendo conto anche delle prudenti previsioni della futura redditività dell’azienda, con una fisiologica e naturale propensione verso il futuro.
Non possono allora essere considerati esclusivamente i dati contabili rinvenuti nel bilancio, mentre la stima deve essere effettuata con il criterio generale della prudenza e «nell’ottica di una fisiologica continuità aziendale secondo canoni di razionalità e legalità».
Non sarebbe segnale di ragionevole prudenza omettere improvvisamente l’inclusione dei costi che una società debba sostenere per legge e che siano stati concretamente evitati.
Non si può dunque valorizzare e legittimare «una redditività ottenuta in violazione di legge» e solo «per il sacrificio personale del COGNOME che di fatto ebbe a farsi carico del servizio navetta da solo, non potendosi permettere l’assunzione di autisti».
Procedendo in tal modo si verificherebbe «l’azzeramento illegale dei costi», che sarebbe frutto di efficienza operativa giustificativa di una condizione economica di profitto, conseguendone un «beneficio competitivo illegittimo».
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. Va premesso che il valore del compendio aziendale, con particolare riguardo al valore dell’avviamento, va quantificato tenendo conto degli sviluppi della giurisprudenza di legittimità.
Deve aversi riguardo, dunque, al valore effettivo (e non meramente contabile), tra gli elementi che concorrono alla determinazione della quota spettante al socio uscente, considerandosi il valore di avviamento dell’azienda, il quale costituisce una componente attiva del patrimonio sociale che permane in società (Cass., 14 marzo 2001, n. 3671; Cass., 4 settembre 1999, n. 9392; Cass., 2 agosto 1995, n. 8470).
Infatti, l’avviamento è una componente del valore dell’azienda, costituita dal maggior valore che il complesso aziendale, unitamente considerato, presenta rispetto alla somma dei valori di mercato dei
beni che lo compongono, ivi compreso il marchio aziendale (Cass., sez. 6-1, 5 agosto 2021, n. 22346; Cass., sez. 5, 14 febbraio 2022, n. 4732; Cass., sez. 5, 17 gennaio 2019, n. 1118; Cass., sez. 5, 15 aprile 2011, n. 8642).
L’avviamento può essere definito, dunque, come capacità di profitto di un’attività produttiva, ossia come quell’attitudine che consente ad un complesso aziendale di conseguire risultati economici diversi (e, in ipotesi, maggiori) di quelli raggiungibili attraverso l’utilizzazione isolata dei singoli elementi che lo compongono.
Esso sussiste oggettivamente e contribuisce a formare il valore oggettivo dell’azienda cosicché il particolare atteggiarsi del prezzo in caso di cessione tra persone vincolate da determinati rapporti (ad esempio quello tra genitore e figlio) non è determinato dall’assenza di tale componente quanto piuttosto dal prevalere di criteri diversi da quelli ancorati al valore di mercato (Cass., sez. 5, 23 dicembre 2005, n. 28751; Cass. n. 10893 del 1995).
Si è anche affermato che, in tema di valutazione della quota sociale ex art. 2289 c.c., occorre tener conto anche del valore dell’avviamento e, secondo una stima di ragionevole prudenza, della futura redditività dell’azienda, considerato che la norma, facendo riferimento allo scioglimento del rapporto nei confronti di un solo socio, presuppone la continuazione dell’attività sociale che non può riferirsi solo ad un compendio statico e disaggregato di beni, ma deve essere valutata anche avuto riguardo alla sua fisiologica e naturale propensione verso il futuro (Cass., sez. 6-1, 8 ottobre 2018, n. 24769; anche Cass., sez. 1, 18 marzo 2015, n. 5449; Cass., 3 settembre 2009, n. 19132).
Deve, quindi, tenersi conto dell’effettiva consistenza economica dell’azienda sociale all’epoca dello scioglimento del rapporto, comprendendovi anche il fattore di redditività dell’azienda stessa che
deriva da un complesso di elementi che, seppur cronologicamente attualizzati al momento dello scioglimento del rapporto, si fondano sui risultati economici delle passate gestioni e sulle prudenti previsioni dei futuri rendimenti.
Si traduce, allora, nella probabilità, fondata su elementi presenti o passati, ma proiettata eminentemente nel futuro, di maggiori profitti per i soci superstiti derivanti dall’apporto conferito dal socio recedente e consolidatosi come componente del patrimonio sociale (Cass., 11 febbraio 1998, n. 1403; Cass., 25 marzo 2003, n. 4354).
Si è sentita la forte esigenza che, nel ricorrere di una tale evenienza, sia predisposto un bilancio straordinario ad hoc (Cass., 16 gennaio 2009, n. 1036; Cass., 3 settembre 2009, n. 19132; Cass., 18 marzo 2015, n. 5449).
Ciò perché l’articolo 2289 c.c. non fa riferimento ad un mero compendio statico – e tendenzialmente disaggregato – di beni; ma fa riferimento ad un’azienda che, al tempo della valutazione, si trova tipicamente in attività e che è destinata, in quanto tale, a proseguire tale attività pure nel futuro.
Ciò è reso evidente dal fatto che il fenomeno si inscrive nell’ambito dello scioglimento del rapporto sociale limitatamente a un socio e, per ciò stesso, nel contesto della continuazione dell’attività sociale. Trattasi dunque di un organismo produttivo legato allo svolgimento dell’attività di impresa che deve confrontarsi con le caratteristiche proprie di tale attività, compresa quella della sua fisiologica naturale propensione verso il futuro (Cass., 8 ottobre 2018, n. 24769).
Naturalmente, nella giurisprudenza di questa Corte è pacifico il principio che ogni valutazione effettuata dal giudice di merito, in ordine alla sussistenza ed alla quantificazione dell’avviamento commerciale, attraverso tutte le tecniche utilizzabili, concerne una
questione di fatto che, se adeguatamente motivata, non può essere sindacata in sede di legittimità (Cass., sez. 6-1-, 8 ottobre 2018, n. 24769, proprio in una fattispecie in cui il ricorso proposto dalla società di persone e dei soci, in ordine alla redditività prospettica dell’avviamento, fondato su «un’impresa funzionante per il prevalente (anzi esclusivo) apporto manuale dei soci», è stato ritenuto inammissibile in quanto «propone una censura di fatto, come relativa alle caratteristiche dell’attività di impresa specificamente svolta dalla sRAGIONE_SOCIALE»; anche Cass., sez. 5, 14 febbraio 2022, n. 4732; Cass., sez. 5, n. 979 del 2018; Cass., sez. 5, 1 febbraio 2006, n. 2204).
Quanto alle modalità di computo del valore aziendale, deve riconoscersi l’esistenza di metodi diversi di quantificazione del valore aziendale, sotto il profilo dell’avviamento commerciale.
La differenza basilare è quella tra metodi definiti patrimoniali, reddituali, misti e finanziari.
Nei metodi patrimoniali, ovviamente, si attribuisce valore al patrimonio dell’azienda ceduta, mentre nei metodi reddituali, ci si concentra sulla valorizzazione dei flussi reddituali attesi.
Nel primo caso, il valore dell’azienda viene assunto come funzione del patrimonio, mentre nell’altro, come funzione del flusso di reddito, come avviene per il rendiconto finanziario delle società di capitali, ai sensi dell’articolo 2525ter c.c (Rendiconto finanziario).
Nel metodo patrimoniale complesso si prende in considerazione l’eventualità di integrare il valore economico del capitale o del patrimonio dell’azienda, risultante dal metodo semplice, con la stima del plusvalore derivante da beni immateriali. Ciò in quanto una parte degli investimenti è stata nel tempo destinata a conservare o ad accrescere la dotazione di beni di medio e lungo periodo, come pure il know how aziendale (Cass., sez. 5, 6 maggio 2015, n. 9075).
Si è sul punto rilevato che la molteplicità dei criteri che sul piano pratico vengono proposti per la determinazione del valore di avviamento, non obbliga il giudice del merito a chiarire le ragioni della scelta dell’uno piuttosto che dell’altro, procedendo ad una preventiva e astratta comparazione fra i diversi metodi, perché, versandosi in materia di apprezzamenti eminentemente discrezionali, sottratti per loro natura al sindacato di legittimità in quanto non inficiati da vizi logici e giuridici, egli assolve al dovere giuridico di una sufficiente motivazione solo che fondi l’anzidetto giudizio su considerazioni atte a dimostrare che il metodo di indagine tecnica concretamente seguito ha condotto a risultati convincenti ed accettabili (Cass., sez. 5, 6 maggio 2015, n. 9075; Cass., sez. 1, 23 luglio 1969, n. 2772).
Inoltre, per questa Corte ai fini della determinazione del valore di avviamento, la predeterminazione della durata della società può giustificare la scelta del principio della temporaneità della capitalizzazione del reddito futuro solo quando detta predeterminazione risulti giustificata dalla stessa peculiarità dell’oggetto sociale (Cass., sez. 1, n. 2772 del 1969, cit.).
Nella specie, la Corte d’appello ha chiarito, con esaustiva analisi di tutte le risultanze istruttorie, e tenendo conto, in particolare della CTU espletata nel giudizio di secondo grado, redatta dal AVV_NOTAIO COGNOME, che il valore dell’avviamento commerciale è stato ottenuto tenendo conto esclusivamente dei dati risultanti dai documenti contabili ufficiali.
Del resto, la prima CTU, espletata nel corso del giudizio di prime cure, è stata dichiarata nulla in sede di appello proprio su eccezione sollevata dal COGNOME, il quale aveva obiettato che il primo CTU aveva utilizzato per la determinazione dell’avviamento delle
risultanze istruttorie provenienti dal giudizio penale, nell’ambito del quale erano stati accertati pagamenti in nero in favore degli autisti.
Sulla nullità della prima CTU espletata nel corso del giudizio di prime cure, dichiarata dalla Corte d’appello, non v’è stato alcun motivo di impugnazione.
Per la Corte territoriale, dunque, dovendosi considerare esclusivamente la contabilità aziendale, così come richiesto dal quesito sottoposto dal giudice, non poteva essere accolta la tesi del COGNOME, ritenuta improbabile, «di avere egli stesso, da solo, assicurato tale servizio che impegnava l’autista per tutto il giorno ogni giorno dell’anno».
Ha aggiunto la Corte d’appello che il RAGIONE_SOCIALE «non intendendo ammettere l’esistenza di costi occulti da utilizzo di lavoro nero che, ove, in ipotesi, provati, avrebbero implicato la sua responsabilità gestionale quale socio accomandatario, ma anche consentito una loro valutazione quali componenti negativi di reddito non contabilizzate, pretende, in mancanza di una tale prova in fatto – che evidentemente non ha interesse a fornire – di veder operare previsioni di reddito futuro fondate non su elementi reddituali oggettivi (eventualmente non contabilizzati), ma su ipotesi del tutto teoriche ed astratte, sulle quali, con ogni evidenza, non appare consentito fondare alcuna attendibile previsione di redditività futura».
Trattasi, dunque, di un giudizio di fatto, che poggia su solide basi costituite dalla CTU espletata nel giudizio d’appello, correttamente motivata, che non può essere messo in discussione in questa sede.
Del resto, nella stessa descrizione del lavoro del CTU, che si può leggere nel ricorso in cassazione, si evidenzia che il CTU ha utilizzato un «metodo misto con stima autonoma dell’avviamento», tenendo presenti più fattori, tra cui il «patrimonio rettificato ai valori correnti
comprensivo di intangibles assets », oltre al reddito medio prospettico.
Non è possibile, dunque, in questa sede mettere in discussione i risultati della seconda CTU espletata nel corso del giudizio di appello, che poggia su discrezionali metodi di stima, fondati, però, sulla situazione contabile finanziaria della società, evincibile dai documenti ufficiali e dai dati di bilancio, senza attingere alla documentazione ulteriore non acquisita nei modi di legge.
Senza dimenticare, come avvertito dalla dottrina, che si deve distinguere fra avviamento oggettivo e avviamento soggettivo, laddove il primo è quello ricollegabile a fattori che permangono anche se muta il titolare dell’azienda in quanto insiti nel coordinamento esistente fra i diversi beni, mentre il secondo è quello dovuto all’abilità operativa dell’imprenditore sul mercato e in particolare alla sua abitualità nel formarsi, conservare ed accrescere la clientela.
Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «violazione articoli 62 e 194 c.p.c., in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
Il quesito attinente all’operazione di stima della quota comportava un’attività in cui si doveva partire dai dati di bilancio «per poi effettuare le doverose integrazioni con i valori non espressi; cosa che consentiva, rectius , imponeva al CTU di acquisire elementi necessari a rispondere al quesito»; e ciò anche ove «risultanti da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori e rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza».
Nel caso in esame, la stima del costo del lavoro integrava un fatto accessorio, rispetto al fatto costitutivo dell’eccezione sollevata
dal RAGIONE_SOCIALE, ossia la obbligatorietà di utilizzare autisti e la elusione del relativo costo.
Pertanto, la obbligatorietà di utilizzare autisti ben poteva essere considerata individuando il CCNL e consultando le tabelle retributive di riferimento messe a disposizione dal c.t. di parte, AVV_NOTAIO.
5.1. Il motivo è inammissibile.
Infatti, il ricorrente, attraverso la deduzione di una violazione di legge, chiede sostanzialmente una nuova valutazione delle risultanze dell’istruttoria, già compiutamente effettuata dalla Corte territoriale, attraverso l’espletamento di una esaustiva CTU contabile.
Tanto più che la Corte territoriale ha condiviso le conclusioni del CTU affermando: «Senonché, non intendendo ammettere l’esistenza di costi occulti da utilizzo di lavoro nero che, ove, in ipotesi, provati, avrebbero implicato la sua responsabilità gestionale quale socio accomandatario, ma anche consentito una loro valutazione quali componenti negative di reddito non contabilizzate, pretende, in mancanza di una tale prova in fatto – che, evidentemente non ha interesse a fornire – di veder operare previsioni di reddito futuro fondate non su elementi reddituali oggettivi (eventualmente non contabilizzati), ma su ipotesi del tutto teoriche ed astratte, sulle quali, con ogni evidenza, non appare consentito fondare alcuna attendibile previsione di redditività futura».
Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente deduce «l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 5, c.p.c. e contestuale violazione dell’articolo 2289 c.c., in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Era emerso, nel giudizio, che la società svolgeva un servizio di navetta giornaliero a mezzo noleggio minibus a 16 posti con conducente, il quale imponeva al gestore, in base al regolamento CE n. 561/06 di garantire agli autisti un minimo di 11 ore continuative
giornaliere di riposo ed un minimo di 45 ore continuative a settimana di riposo. Ciò implicava un impiego minimo di due autisti a tempo pieno o di un autista tempo pieno e due part-time per garantire i necessari turni.
Nel passato tutto ciò è stato possibile esclusivamente perché il COGNOME, «oltre al ruolo di gestore ed amministratore, ha svolto il ruolo di autista a costo zero evitando alla società, con beneficio anche del socio COGNOME, costi che secondo le tabelle retributive della contrattazione collettiva di riferimento avrebbero assorbito i ricavi contabilizzati a bilancio».
Tra l’altro, non si è tenuto conto della retribuzione spettante al COGNOME, quale accomandatario, per l’attività di gestione e amministratore della società. Il COGNOME, in sostanza, «assolveva al ruolo di amministratore e autista a costo zero».
6.1. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
6.2. Risulta inammissibile, con riferimento alla richiesta di nuova valutazione degli elementi istruttori, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 5, c.p.c., senza l’indicazione di un fatto storico decisivo che la Corte d’appello avrebbe omesso di individuare nella motivazione della sentenza impugnata.
6.3. Risulta infondato nella parte in cui il ricorrente chiede di tenere conto del ruolo svolto dal COGNOME, sia quale amministratore, sia quale autista a costo zero, quindi sostanzialmente come socio lavoratore.
In realtà, è principio giurisprudenziale consolidato di legittimità quello per cui nelle società di persone la carica di amministratore unico è incompatibile con la posizione di lavoratore subordinato, in quanto non possono coincidere in un unico soggetto la qualità di esecutore subordinato della volontà sociale e quella di organo competente ad esprimere tale volontà, sicché non si può procedere
all’accertamento induttivo dei maggiori ricavi fondato sull’asserito svolgimento di lavoro irregolare da parte dei soci, non configurandosi, se non in casi eccezionali, un rapporto di lavoro subordinato tra essi e la società (Cass., sez. 5, 18 aprile 2019, n. 10909; Cass., sez. L., 22 marzo 2016, n. 7321).
Infatti, la costituzione e l’esecuzione del rapporto lavorativo subordinato devono essere collegabili ad una volontà della società distinta da quella dell’amministratore (Cass., 15 settembre 1979, n. 4779; Cass., 17 maggio 1975, n. 1940).
Si è aggiunto che, instaurandosi il rapporto di lavoro subordinato nei confronti dell’amministratore della società, nel caso di amministratore unico verrebbe a mancare l’elemento dell’intersoggettività, senza il quale è inconcepibile la stessa esistenza di tale rapporto giuridico.
Ciò vale a maggior ragione per le società di persone, nelle quali la mancata istituzione di un distinto ente giuridico e la minore personalizzazione dei soggetti preposti agli organi sociali fanno apparire ancora più necessaria la distinzione tra i soggetti dei relativi rapporti giuridici (Cass., 3 novembre 1977, n. 4690).
Dovendosi anche tenere conto del fatto che nella società di persone è possibile che il socio conferisca la propria opera ai sensi dell’articolo 2263, secondo comma, c.c.
Si è però affermato che nelle società di persone è configurabile un rapporto di lavoro subordinato tra la società e uno dei soci purché ricorrano due condizioni: a) che la prestazione non integri un conferimento previsto dal contratto sociale; b) che il socio presti la sua attività lavorativa sotto il controllo gerarchico di un altro socio munito di poteri di supremazia.
Il compimento di atti di gestione o la partecipazione alle scelte più o meno importanti per la vita della società non sono, in linea di
principio, incompatibili con la suddetta configurabilità, sicché anche quando esse ricorrano è comunque necessario verificare la sussistenza delle suddette due condizioni (Cass., 16 novembre 2010, n. 23129).
Il ricorrente, nel motivo di impugnazione, non si è minimamente soffermato su tali presupposti.
Con un unico motivo di ricorso incidentale si deduce «illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui prevede la quantificazione della quota sociale nella somma di euro 15.360,92, dal momento che detta somma è stata ottenuta non considerando l’intero periodo di attività della società RAGIONE_SOCIALE».
Il CTU di seconde cure, AVV_NOTAIO, ha ritenuto opportuno utilizzare la formula di attualizzazione della rendita con durata pari a due anni, partendo dal presupposto della durata del contratto di trasporto in 24 mesi e che al tempo del recesso del socio (25 2010) il servizio poteva essere rinnovato per almeno un altro biennio, ossia fino a 2012.
Tale assunto non avrebbe preso in considerazione una circostanza rilevante, ossia il fatto che all’esito delle indagini della polizia tributaria di Lecce la società RAGIONE_SOCIALE era cessata nel luglio 2014 e presso la RAGIONE_SOCIALE risultava cessata in data 8/11/2013.
La società, dunque, ha avuto prospettive di reddito fino a quando ha continuato l’attività e, dunque, fino al luglio 2014, ma il CTU non si è occupato dell’ulteriore svolgimento dell’attività fino a tale periodo.
Nella CTP del ricorrente AVV_NOTAIO COGNOME si riferisce che alla data di redazione dell’elaborato peritale (15/2/2014), il servizio busnavetta a favore del personale RAGIONE_SOCIALE di Ostuni era ancora in esercizio.
Pertanto, una corretta valorizzazione dell’avviamento avrebbe dovuto tenere in debita considerazione un periodo più lungo di quello considerato dal CTU, ossia anni 2012/2014.
La rendita non doveva essere limitata a due anni, ma estesa a quattro.
7.1. Il motivo è inammissibile.
In disparte la circostanza che il ricorrente incidentale non ha indicato alcuna violazione contenuta nella griglia impugnatoria di cui all’articolo 360 c.p.c., come pure la novità del motivo, che non risulta dalla motivazione della sentenza impugnata, in concreto si chiede la rivalutazione degli elementi istruttori, già compiutamente effettuata dal giudice di prime cure, sulla base delle risultanze della CTU espletata in grado di appello.
Non v’è stato omesso esame di un fatto decisivo, non potendosi reputare tale la considerazione che la società sarebbe cessata solo nel luglio 2014, mentre il CTU di seconde cure avrebbe preso in considerazione esclusivamente un periodo più breve, anche perché vanno tenute distinte la cessazione dell’attività dalla cancellazione della società dal registro delle imprese.
Le spese del giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti in ragione della reciproca soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale.
Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 maggio 2024