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Valutazione perizia grafologica: la Cassazione decide

In un caso di compravendita immobiliare con firma disconosciuta, la Cassazione ha annullato la sentenza d’appello per “motivazione apparente”. La Corte ha stabilito che un giudice non può rigettare le conclusioni di una perizia grafologica basandosi su una generica “perplessità” o su elementi esterni non provati. È necessaria una critica puntuale e logica all’elaborato tecnico, altrimenti la sentenza è nulla. La corretta valutazione della perizia grafologica diventa quindi un pilastro per la giustizia della decisione.

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Valutazione Perizia Grafologica: Quando la “Perplessità” del Giudice Annulla la Sentenza

L’autenticità di una firma su un contratto è la pietra angolare di innumerevoli transazioni. Ma cosa succede quando una firma viene contestata? La giustizia si affida spesso a strumenti tecnici, come la perizia grafologica. Tuttavia, il giudice non è un mero ratificatore del parere tecnico. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ci offre una lezione fondamentale sui limiti e i doveri del giudice nella valutazione perizia grafologica, chiarendo che una generica “perplessità” non è sufficiente per invalidare le conclusioni di un esperto. Analizziamo insieme la vicenda.

I Fatti del Caso: Un Contratto Preliminare Conteso

La controversia nasce da un contratto preliminare per l’acquisto di una porzione di immobile. Il promissario acquirente, dopo aver versato una cospicua somma, cita in giudizio il promittente venditore per ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento, dato che quest’ultimo si rifiutava di procedere con l’atto definitivo.

La difesa del venditore era netta e radicale: egli sosteneva di non aver mai firmato quel contratto. Di fronte a questo disconoscimento, il Tribunale di primo grado dispone una CTU grafologica. L’esperto conclude per l’autenticità della firma e, di conseguenza, il Tribunale accoglie la domanda dell’acquirente, dichiarando risolto il contratto e condannando il venditore alla restituzione di 200.000 euro.

Il Ribaltamento in Appello

La Corte d’appello, però, ribalta la decisione. Pur in presenza delle conclusioni della CTU, i giudici di secondo grado riformano la sentenza, rigettando le domande dell’acquirente. La Corte territoriale motiva la sua decisione evidenziando una serie di elementi esterni alla perizia: la mancanza di prove documentali a supporto dell’operazione, le dichiarazioni del figlio dell’acquirente, la complessità dei rapporti economici tra le parti e altre circostanze che, a suo dire, rendevano l’intera vicenda poco chiara. Sulla base di questi elementi, la Corte esprime “perplessità” sulla ragionevole certezza delle conclusioni del CTU, ritenendo non provata l’autenticità della sottoscrizione.

L’Analisi della Cassazione sulla valutazione perizia grafologica

Investita della questione, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso dell’acquirente, cassando con rinvio la sentenza d’appello. Il punto centrale della decisione della Suprema Corte è un severo monito contro la cosiddetta “motivazione apparente”.

I giudici di legittimità chiariscono che, sebbene la perizia grafologica non sia una scienza esatta e le sue conclusioni non siano vincolanti, il giudice che intende discostarsene ha un obbligo di motivazione rafforzato. Non è sufficiente esprimere una generica “perplessità” o fondare il proprio scetticismo su elementi esterni, suggestioni o presunzioni.

Le Motivazioni della Cassazione: No alla Motivazione Apparente

La Corte Suprema ha ritenuto la motivazione della Corte d’appello “apparente” e “obiettivamente incomprensibile”. Questo vizio si concretizza quando il ragionamento del giudice, pur esistendo sulla carta, è inidoneo a far conoscere il percorso logico seguito per arrivare alla decisione.

Nel caso specifico, la Corte d’appello non ha criticato nel merito la perizia grafologica, non ha evidenziato errori tecnici o metodologici nell’analisi del CTU, né ha fornito una contro-argomentazione logica e coerente. Si è limitata a contrapporre alle conclusioni tecniche un insieme di circostanze esterne, utilizzandole per generare un dubbio che ha portato a invalidare la prova tecnica. Questo modo di procedere, secondo la Cassazione, equivale a negare qualsiasi valenza probatoria all’indagine grafologica in modo incomprensibile e arbitrario.

Inoltre, la Corte ha censurato il ricorso a una catena di presunzioni, definito come inammissibile “praesumptio de praesumpto”, poiché il convincimento del giudice si basava su elementi estranei e non su fatti noti e provati. La motivazione risulta perplessa quando si fonda su elementi irrilevanti o su notazioni prive di riscontri processuali, rendendo il giudizio privo di una conclusione razionale.

Conclusioni: L’Obbligo di una Motivazione Concreta

Questa ordinanza riafferma un principio cruciale: il giudice è peritus peritorum (il perito dei periti), ma questo potere deve essere esercitato attraverso una motivazione concreta, logica e trasparente. Di fronte a una prova tecnica come la valutazione perizia grafologica, il giudice può dissentire, ma deve spiegare il perché, confrontandosi con il contenuto della consulenza e non limitandosi a richiamarne le conclusioni per poi lamentarne un carattere apodittico. La decisione di secondo grado è stata annullata perché, invece di analizzare e criticare la prova, l’ha semplicemente accantonata, basando la decisione su un’incertezza soggettiva non supportata da un’analisi rigorosa. La causa dovrà quindi essere riesaminata da un’altra sezione della Corte d’appello, che dovrà attenersi a questi importanti principi di diritto.

Un giudice può ignorare le conclusioni di una perizia grafologica (CTU)?
Sì, il giudice non è vincolato dalle conclusioni del consulente tecnico. Tuttavia, se intende discostarsene, deve fornire una motivazione specifica, logica e puntuale, criticando l’elaborato peritale sul piano tecnico-scientifico e spiegando perché le sue conclusioni non sono condivisibili. Non può limitarsi a esprimere una generica “perplessità”.

Cosa si intende per “motivazione apparente” in una sentenza?
È una motivazione che esiste solo formalmente ma che, in sostanza, non spiega il ragionamento seguito dal giudice. Può essere tale perché è eccessivamente generica, contraddittoria, illogica o basata su elementi irrilevanti, al punto da non rendere comprensibile la ratio decidendi e da causare la nullità della sentenza.

È possibile basare una decisione su una presunzione derivante da un’altra presunzione?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che tale modo di argomentare costituisce una “praesumptio de praesumpto”, un vizio logico-giuridico inammissibile. Le presunzioni legali devono sempre fondarsi su fatti noti e provati, non su altre presunzioni o semplici congetture.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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