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Valutazione merito creditizio: doveri della banca

Una consumatrice propone un piano di ristrutturazione dei debiti, contestato da un istituto di credito. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso della consumatrice, chiarendo che nella valutazione del merito creditizio, la banca non è negligente se si affida alle informazioni fornite dal cliente, senza obbligo di ulteriori verifiche esterne se non ritenute necessarie.

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Valutazione Merito Creditizio: Quando la Banca Può Fidarsi del Cliente?

La valutazione del merito creditizio è una fase cruciale nel rapporto tra banca e cliente. Stabilisce se un soggetto è in grado di rimborsare un finanziamento, proteggendo sia l’istituto di credito dal rischio di insolvenza sia il consumatore dal sovraindebitamento. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti sui doveri di diligenza della banca in questo processo, specificando fino a che punto essa possa fare affidamento sulle informazioni fornite dal cliente stesso.

I Fatti di Causa: Dal Piano del Consumatore al Ricorso in Cassazione

Il caso ha origine dalla proposta di un piano di ristrutturazione dei debiti presentata da una consumatrice e omologata dal Tribunale di Lecce. Un istituto di credito, creditore ipotecario della donna, ha presentato reclamo contro questa decisione, sostenendo che la liquidazione dell’immobile ipotecato sarebbe stata più vantaggiosa e rapida. La Corte d’Appello ha accolto il reclamo della banca, revocando l’omologazione del piano.

La consumatrice ha quindi presentato ricorso in Cassazione, articolando la sua difesa su quattro motivi principali. Il fulcro della questione verteva sulla presunta negligenza della banca nella concessione del mutuo originario (garantito da fideiussione della ricorrente), che, secondo la difesa, avrebbe dovuto precludere alla banca stessa la possibilità di contestare il piano di ristrutturazione.

La Decisione della Corte e la valutazione del merito creditizio

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della consumatrice, confermando la decisione della Corte d’Appello. L’analisi della Suprema Corte si è concentrata sui diversi motivi di ricorso, fornendo chiarimenti sia su aspetti procedurali sia, soprattutto, sulla sostanza della valutazione del merito creditizio.

Primo e Secondo Motivo: Questioni Processuali Inammissibili

La ricorrente sosteneva che la Corte d’Appello avesse basato la sua decisione su documenti prodotti tardivamente dalla banca nel giudizio di primo grado. La Cassazione ha dichiarato questi motivi inammissibili, sottolineando che la questione della tardività delle prove non era mai stata sollevata né discussa nei precedenti gradi di giudizio. Non è possibile, infatti, introdurre per la prima volta in sede di legittimità una questione procedurale non trattata in precedenza.

Terzo Motivo: Il Cuore della Questione sulla Diligenza della Banca

Il motivo centrale del ricorso riguardava l’interpretazione dell’art. 124-bis del Testo Unico Bancario. La consumatrice accusava la banca di essersi fidata di dichiarazioni ingannevoli del mutuatario (suo marito), senza effettuare controlli adeguati per verificarne la veridicità. Secondo la ricorrente, questa mancanza di diligenza avrebbe dovuto impedire alla banca di opporsi al piano.

Quarto Motivo: La Non Convenienza del Piano Proposto

Infine, la ricorrente criticava il giudizio di ‘non convenienza’ del piano espresso dalla Corte d’Appello, sostenendo che un pagamento rateale, seppur dilazionato, fosse preferibile a una liquidazione giudiziale incerta. Anche questo motivo è stato giudicato inammissibile, in quanto la valutazione della convenienza economica è un accertamento di fatto che compete al giudice di merito e non è sindacabile in Cassazione.

Le Motivazioni

La Corte ha chiarito in modo definitivo l’ambito dei doveri della banca nella valutazione del merito creditizio. I giudici hanno stabilito che l’art. 124-bis del Testo Unico Bancario prevede esplicitamente che le informazioni per la valutazione possano essere ‘fornite dal consumatore stesso’. La norma prescrive di consultare banche dati esterne solo ‘ove necessario’.

Questa interpretazione bilancia la necessità di tutelare il consumatore con il principio di autoresponsabilità. La banca non è tenuta a svolgere indagini approfondite e sistematiche su ogni dichiarazione del cliente, ma può legittimamente basarsi sulle informazioni ricevute, a meno che non emergano palesi incongruenze o circostanze specifiche che rendano necessarie ulteriori verifiche. Nel caso di specie, la banca aveva raccolto le dichiarazioni dei redditi e una perizia, e il mutuatario aveva già rimborsato puntualmente un precedente prestito. Questi elementi sono stati ritenuti sufficienti a considerare adeguate le valutazioni compiute dall’istituto di credito.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione rafforza un principio di equilibrio e ragionevolezza. Se da un lato le banche hanno un preciso dovere di diligenza nella valutazione del merito creditizio, dall’altro non sono tenute a un’attività inquisitoria generalizzata. Possono fare affidamento sulla correttezza delle informazioni fornite dal cliente, promuovendo così anche la sua autoresponsabilità. Questa decisione ha importanti implicazioni pratiche: chiarisce che il consumatore non può, a posteriori, imputare alla banca una presunta negligenza se è stato egli stesso a fornire informazioni non veritiere, a meno che non si dimostri che la banca avesse elementi concreti per dubitare di tali informazioni e non abbia agito di conseguenza.

Una banca è sempre negligente se concede un credito basandosi solo sulle dichiarazioni del cliente?
No. Secondo la Corte, la banca può legittimamente fare affidamento sulle ‘informazioni adeguate’ fornite dal consumatore stesso, come previsto dall’art. 124-bis del Testo Unico Bancario. L’obbligo di consultare banche dati esterne sorge solo ‘ove necessario’, in base alle specifiche circostanze del caso.

Un creditore può contestare la convenienza di un piano di ristrutturazione del debito?
Sì. Un creditore, come la banca in questo caso, può proporre reclamo contro l’omologazione di un piano del consumatore se ritiene che una procedura alternativa, come la liquidazione dei beni, possa garantire un soddisfacimento maggiore e/o più rapido del proprio credito.

È possibile sollevare per la prima volta in Cassazione una questione sulla tardività delle prove prodotte in primo grado?
No. La Corte ha ribadito che una questione procedurale, come la presunta tardività nella produzione di documenti, deve essere sollevata e discussa nei gradi di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Se non viene fatto, la questione è considerata inammissibile in sede di ricorso per Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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