Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20725 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20725 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17320/2024 R.G. proposto da NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’ avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
Banca Popolare Pugliese RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME – controricorrente – avverso la sentenza del Corte d’Appello di Lecce n. 12/2024, depositata il 25.6.2024;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28.5.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Lecce omologò il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore proposto ai suoi creditori da NOME COGNOME
La creditrice ipotecaria Banca Popolare Pugliese S.c.p.A. propose reclamo contro l’omologazione, che venne accolto dalla Corte d’Appello salentina, revocando l’omologazione e condannando l’attuale ricorrente alla rifusione delle spese di lite.
Contro la sentenza della Corte territoriale NOME COGNOME ha presentato ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.
Banca Popolare Pugliese S.c.p.A. si è difesa con controricorso.
Il ricorso è trattato in camera di consiglio ai sensi dell ‘ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si denunciano «Violazione e falsa applicazione dell’art. 70, comma 3, d.lgs. 12.1.2019, n. 14, in relazione all ‘ art. 360, comma 1, n. 3, art. 345 c.p.c.».
Occorre precisare che Banca Popolare Pugliese S.c.p.A. propose reclamo contro l’omologa del piano del consumatore contestando il presupposto della convenienza della proposta nei suoi confronti, in quanto la liquidazione dell’immobile ipotecato le avrebbe permesso di realizzare un soddisfacimento del credito maggiore e, soprattutto, in tempi più rapidi.
Alla Corte territoriale è stata quindi posta la questione della legittimazione a reclamare della banca, sotto il profilo del limite posto dall’art. 69, comma 2, c.c.i.i. («Il creditore che ha colpevolmente determinato la situazione di indebitamento o il suo aggravamento o che ha violato i principi di cui all’articolo 124-bis del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, non può presentare opposizione o reclamo in sede di omologa per
contestare la convenienza della proposta»). In particolare, poiché il credito vantato verso la ricorrente derivava da una fideiussione dalla stessa prestata a garanzia di un mutuo concesso al marito, la Corte si è posta il problema della diligenza della banca nella valutazione del merito creditizio del soggetto mutuatario ed ha concluso che «Le valutazioni compiute … appaiono adeguate e sufficienti», perché la banca aveva «raccolto dal mutuatario informazioni in ordine alla sua capacità reddituale, ricevendo copia delle dichiarazioni dei redditi (per gli anni d’imposta 2010 e 2011) e una perizia di parte»; inoltre, la Corte ha tenuto conto che il medesimo mutuatario aveva provveduto al «compiuto puntuale rimborso di altro mutuo chirografario».
Con questo primo motivo la ricorrente contesta alla Corte d’Appello di avere espresso il suo giudizio utilizzando documenti che la banca aveva prodotto in giudizio tardivamente rispetto al termine assegnato dal giudice ai creditori per formulare osservazioni alla proposta e al piano (art. 70, comma 3, c.c.i.i.). Termine che la ricorrente considera perentorio e non surrogabile con un’attività istruttoria ufficiosa del giudice volta a sanare la decadenza in cui sarebbe incorsa la parte.
1.1. Il motivo è inammissibile, perché pone una questione (tardività delle produzioni documentali) di cui non vi è traccia nella motivazione della sentenza impugnata e per la quale la ricorrente non indica se, come e dove fosse stata sollevata nel giudizio di merito e se ne fosse eventualmente discusso. La questione non può pertanto essere proposta in questa sede, senza «la specifica indicazione … degli atti processuali, dei documenti … sui quali il motivo si fonda e l ‘ illustrazione del contenuto rilevante degli stessi» (art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.).
È poi appena il caso di osservare che nessuna pertinenza rispetto alla prospettazione ha il riferimento all’art. 345 c.p.c. Non solo perché analoga disposizione non è contenuta ne ll’art. 51, comma 10, c.c.i.i. (richiamato dall’a rt. 65, comma 2), che anzi attribuisce al giudice del reclamo un ampio potere di disporre ed assumere mezzi di prova «anche d’ufficio» (il che darebbe corpo a una profilo di infondatezza del motivo); ma, prima ancora, perché la ricorrente non prospetta l’introduzione di nuove prove in sede di reclamo, bensì una tardiva produzione davanti al Tribunale.
Con il secondo motivo, la ricorrente censura «violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 in relazione all ‘ art. 360, comma 1, n. 3, art. 115 c.p.c.».
La ricorrente attribuisce alla Corte d’Appello l’errore di avere fondato « l’accoglimento del primo motivo di reclamo, relativo al merito creditizio, su due ordini di ragioni il cui unico supporto probatorio è costituito da documenti falsi o non riferibili al debitore oltre che inutilizzabili perché tardivamente allegati».
2.1. Anche questo motivo è evidentemente inammissibile, perché, sotto la dichiarata intenzione di censurare un errore di diritto nell’applicazione della norma generale sulla ripartizione degli oneri probatori, propone in realtà una critica all’uso del materiale istruttorio e, in definitiva, all’accertamento del fatto , che compete al giudice del merito e che non è, di per sé, sindacabile in sede di legittimità.
Basterà quindi osservare che il giudice del reclamo non ha deciso la controversia facendo applicazione delle norme sulla ripartizione degli oneri probatori (ovverosia applicando una regola di diritto volta a risolvere il caso quando la situazione di
fatto rimane incerta), bensì applicando le pertinenti norme di diritto ai fatti così come positivamente accertati.
Il terzo motivo denuncia «violazione e falsa applicazione degli artt. 69 c.c.i.i. e 124 -bis del T.U.B., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, art. 11 5 c.p.c.».
Con questo motivo si censura il giudizio espresso dalla Corte di Lecce sulla diligenza della banca nell’erogare il credito al soggetto garantito dalla ricorrente sotto il particolare profilo dell’essersi la banca fidata delle ingannevoli dichiarazioni del mutuatario, nonostante avesse la possibilità di effettuare controlli per riscontrarne la non corrispondenza alla realtà.
3.1. Il motivo -nel suo nucleo essenziale, ovverosia depurato dal profilo di inammissibilità -è infondato.
È inammissibile, come già osservato sopra, il sindacato sull ‘accertamento e sull’apprezzamento del fatto sottoposto all’ attenzione del giudice del merito.
La ricorrente propone, tuttavia, una particolare interpretazione dell’art. 124 -bis T.U.B. (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia: d.lgs. n. 385 del 1993), secondo cui la banca non potrebbe mai essere considerata diligente nell’erogare il credito qualora si affidi alle dichiarazioni del cliente consumatore, pur potendo svolgere agevoli indagini per verificare la corrispondenza al vero di quanto dichiarato.
In questi termini, il motivo è infondato, perché il citato art. 124 -bis è chiaro, tanto nel prevedere la possibilità che le «informazioni adeguate» per valutare il merito creditizio siano «fornite dal consumatore stesso», quanto nel prescrivere che ulteriori informazioni siano «ottenute consultando una banca dati pertinente» (non sempre, ma) solo «ove necessario». Il che è del resto coerente con l’obiettivo di valorizzare anche
l’autoresponsabilità del cliente, al fine di agevolare l’erogazione del credito al consumatore che ne faccia richiesta.
Rimane, pertanto, nel perimetro delineato dalla corretta interpretazione della legge l’accertamento della Corte salentina secondo cui, in quelle particolari circostanze di fatto, non era «necessario» per la banca, al fine di assolvere al proprio dovere di diligenza nell’erogazione del credito al consumatore, svolgere ulteriori indagini consultando fonti esterne, potendosi considerare «adeguate» le informazioni attinte dal cliente e non potendosi conseguentemente addebitare a negligenza della banca il fatto che le informazioni fornite dal consumatore siano poi risultate non conformi alla realtà.
Il quarto motivo è volto a censurare «violazione e falsa applicazione de ll’ art. 70 d.lgs. 12.1.2019, n. 14 in relazione all ‘ art. 360, comma 1, n. 3, art. 115 c.p.c.».
Con questo motivo la ricorrente critica nel merito il giudizio di non convenienza espresso dalla Corte d’Appello con riferimento al trattamento riservato al credito ipotecario di Banca Popolare Pugliese S.c.p.A. Secondo la ricorrente, l’offerta del pagamento forfettario di € 86.000,00 in 91 rate mensili avrebbe dovuto essere considerata comunque di maggior favore rispetto alla liquidazione in sede giudiziale, non potendosi tenere conto solo del valore di stima del bene ipotecato (€ 207.000), ma dovendosi considerare anche i due esperimenti di vendita già andati deserti e i «fattori socio territoriali capaci di influenzare al ribasso la valutazione».
4.1. Il motivo è inammissibile, perché la critica non attiene all’interpretazione e all’applicazione di norme di diritto, ben sì alla schietta valutazione del fatto, riservata al giudice del merito. Il che rende superfluo osservare che si tratta anche di una critica, se non altro, incompleta, perché ignora del tutto il
fattore tempo, non procedendo a un confronto tra i tempi prevedibili di soddisfazione del credito nella liquidazione in sede giudiziale (individuale o controllata), rispetto ai sette anni e mezzo di pagamento rateizzato proposto dalla ricorrente.
Rigettato, nel suo complesso, il ricorso, le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che, in base al l’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 6.500 per compensi, oltre alle spese generali al 15%, a € 200 per esborsi e agli accessori di legge;
dà atto, ai sensi dell ‘ art.13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del