Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1839 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1839 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7458/2021 R.G. proposto da
NOME COGNOME NOME COGNOME , domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO
Oggetto:
Contratti
bancari
–
Responsabilità
banca
–
Domanda
risarcitoria
per
causazione fallimento
R.G.N. 7458/2021
Ud. 08/01/2025 CC
presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 3379/2020 depositata il 22/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 08/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 3379/2020, pubblicata in data 22 dicembre 2020 , la Corte d’appello di Venezia, nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Treviso n. 841/2018, pubblicata in data 19 aprile 2018.
Quest’ultima, a propria volta, aveva respinto, essendosi prescritto il relativo diritto, la domanda degli odierni ricorrenti volta a conseguire sia l’accertamento della responsabilità di RAGIONE_SOCIALE per avere cagionato, con le proprie condotte, il fallimento della società RAGIONE_SOCIALE -nonché degli stessi odierni ricorrenti, soci di detta società sia, per l’effetto, la condanna della stessa banca al risarcimento dei danni.
La Corte d’appello di Venezia ha accolto il gravame degli odierni ricorrenti nella parte in cui lo stesso censurava la decisione di prime cure per avere affermato l’intervenuta prescrizione del diritto ma, nel merito, ha concluso per l’infondatezza dell a domanda medesima, osservando, da un lato, che la domanda era rimasta priva di adeguato supporto probatorio anche in virtù dell’inammissibilità dei
capitoli di prova a tal fine articolati, e, dall’altro lato, che sussistevano invece concreti elementi -ed in particolare la relazione ex art. 33 l. fall. depositata nell’ambito della procedura concorsuale della società che evidenziavano che il fallimento era intervenuto per cause del tutto estranee a quelle allegate dagli appellanti.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Venezia ricorrono NOME COGNOME e NOME COGNOME
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’unico motivo il ricorso deduce, testualmente, ‘violazione dell’art. 115 c.p.c. e 116 c.p.c. e dell’art. 2043 c.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.’ .
Il ricorso censura la decisione impugnata in quanto la stessa si verrebbe a fondare su ‘uno scrutinio parziale delle prove offerte ed in definitiva con una motivazione solo apparente’ ed argomenta, in contrario, nel senso della sussistenza di concreti elementi probatori in ordine alla fondatezza della domanda.
Il ricorso è inammissibile.
Il contenuto dello stesso, infatti, si sostanzia in una mera critica alla valutazione delle prove operata dal giudice di merito, traducendosi, conseguentemente, nella inammissibile sollecitazione a questa Corte a svolgere un sindacato su tale valutazione, in tal modo ponendosi in conflitto con il principio costantemente enunciato da questa Corte, per cui, nel procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo
dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 13918 del 03/05/2022; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 6774 del 01/03/2022; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004).
In relazione, poi, alle deduzioni dei ricorrenti circa lo ‘ scrutinio parziale delle prove offerte ‘ svolto dalla Corte d’appello ed al carattere solo apparente dalla motivazione, si deve richiamare -e ribadire – il principio per cui il giudice non è tenuto a dare conto in motivazione del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, ne’ a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi per giungere alle proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. Sez. 2 Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14972 del 28/06/2006; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16034 del 14/11/2002).
Infine, ad ulteriore illustrazione del carattere inammissibile del ricorso, si deve richiamare il principio (enunciato da Cass. Sez. U Sentenza n. 20867 del 30/09/2020) per cui:
per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua
iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.;
la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
Nessuna di tali censure risulta ritualmente formulata nel ricorso il quale -si ripete -si limita ad una censura della valutazione delle prove operata dalla Corte di merito nonché ad una generica censura dell’ordinanza con la quale la Corte medesima ha disatteso le istanze istruttorie dei ricorrenti.
Inammissibili appaiono, infine, le deduzioni, svolte dai ricorrenti con la memoria ex art. 380bis .1 c.p.c., concernenti una errata percezione
del fatto sostanziale che caratterizzerebbe l’esame dei documenti da parte della Corte d’appello .
Deduzioni inammissibili in quanto le stesse vengono di fatto ad articolare un motivo di ricorso radicalmente diverso da quello originariamente formulato -non a caso ricondotto questa volta all’art. 360, n. 5), c.p.c. -peraltro invocando erroneamente il criterio di vicinanza della prova, il quale costituisce regola che guida una corretta interpretazione ed applicazione dell’art. 2697 c.c. ma non può in alcun modo essere inteso come meccanismo di alterazione della distribuzione degli oneri probatori tale da sollevare una parte da qualsivoglia onere di allegazione e prova, rovesciando tali oneri integralmente sull’altra parte.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 7.000,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima