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Valutazione attivo fallimentare: cosa conta?

Una società immobiliare ha contestato la propria dichiarazione di fallimento, sostenendo che il suo patrimonio fosse inferiore alla soglia legale a causa della svalutazione di un immobile. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando che la valutazione attivo fallimentare, ai fini della verifica dei presupposti di fallibilità, deve basarsi sul criterio contabile del costo storico iscritto in bilancio, e non sul valore di mercato attuale del bene.

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Valutazione Attivo Fallimentare: Costo Storico vs Valore di Mercato

La corretta valutazione dell’attivo fallimentare è un passaggio cruciale per determinare se un’impresa commerciale rientri o meno nei presupposti dimensionali per essere dichiarata fallita. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per questa verifica, conta il valore contabile dei beni, basato sul costo storico, e non il loro valore di mercato attuale. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Una Società Immobiliare Contesta il Fallimento

Una società immobiliare S.r.l. in liquidazione veniva dichiarata fallita dal Tribunale su istanza del Procuratore della Repubblica. Il pubblico ministero basava la sua richiesta sulle risultanze del bilancio, da cui emergeva un attivo patrimoniale superiore alla soglia di 300.000 euro prevista dalla legge fallimentare per l’esonero.

La società si opponeva, sostenendo che il valore del suo principale asset, un immobile, era rimasto invariato in bilancio per oltre un decennio e non teneva conto del deprezzamento dovuto alla crisi del mercato immobiliare. A riprova di ciò, produceva una stima eseguita in un’altra procedura che attestava un valore del bene notevolmente inferiore. Secondo la società, l’attivo reale era quindi al di sotto della soglia di fallibilità.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello respingevano le argomentazioni della società, confermando la dichiarazione di fallimento. La questione giungeva così dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso della società inammissibile, confermando la linea dei giudici di merito e consolidando un importante orientamento giurisprudenziale.

La Corte ha stabilito che, ai fini della verifica dei requisiti dimensionali per la fallibilità, la valutazione dei beni iscritti tra le immobilizzazioni materiali deve seguire i principi contabili richiamati dalla legge. Di conseguenza, il criterio da adottare è quello del costo di acquisto o di produzione (c.d. costo storico), al netto degli ammortamenti, come risultante dall’ultimo bilancio approvato, ai sensi dell’art. 2426 c.c.

L’Importanza della Valutazione dell’Attivo Fallimentare secondo i Principi Contabili

Il primo motivo di ricorso si basava sulla presunta violazione delle norme sulla redazione del bilancio. La società sosteneva che l’immobile dovesse essere considerato una rimanenza di magazzino e non un’immobilizzazione, e che, essendo in liquidazione, si dovesse applicare il criterio del valore di realizzo. La Cassazione ha ritenuto tali argomentazioni infondate, affermando che la Corte d’Appello si era correttamente uniformata alla giurisprudenza di legittimità consolidata, rendendo il motivo inammissibile.

Il Rigetto delle Censure sull’Esame dei Fatti

Con il secondo motivo, la società lamentava l’omesso esame di un fatto decisivo: l’inattendibilità del dato contabile e la mancata ammissione di una consulenza tecnica (C.T.U.) per accertare il valore reale del bene. Anche questo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha chiarito che la ‘valutazione’ di un bene non costituisce un ‘fatto storico’ nel senso stretto richiesto dalla norma processuale per questo tipo di censura. Inoltre, ha ribadito che la decisione di disporre o meno una C.T.U. rientra nel potere discrezionale del giudice di merito e non può essere sindacata in sede di legittimità.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio di certezza e oggettività. La legge, nel fissare le soglie di fallibilità, fa riferimento ai dati contabili formali, ovvero ai bilanci regolarmente approvati. Questo approccio evita che la soglia di fallibilità diventi un dato variabile e soggetto a stime soggettive o a fluttuazioni di mercato momentanee. Il bilancio d’esercizio, redatto secondo i criteri del codice civile (tra cui il costo storico per le immobilizzazioni), rappresenta il documento ufficiale che fotografa la dimensione patrimoniale dell’impresa.

La Corte ha sottolineato come la decisione della Corte d’Appello fosse pienamente conforme a questo consolidato orientamento. La pretesa della ricorrente di applicare criteri diversi (valore di mercato, valore di realizzo) è stata quindi respinta perché contraria alla lettera e alla ratio della normativa fallimentare. La decisione di rigettare implicitamente la richiesta di C.T.U. è stata considerata una logica conseguenza dell’adesione al criterio legale del dato contabile, rendendo superflua una stima del valore di mercato.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza offre un’importante lezione per gli imprenditori e i professionisti. Le conclusioni che possiamo trarre sono le seguenti:

1. Certezza del Dato Contabile: Ai fini della verifica dei requisiti per la dichiarazione di fallimento, il valore dell’attivo patrimoniale si determina sulla base dei bilanci approvati, applicando i criteri di valutazione previsti dal codice civile, come il costo storico.
2. Irrilevanza del Valore di Mercato: Fluttuazioni del mercato o stime peritali che indichino un valore corrente inferiore a quello contabile non possono essere utilizzate per ‘sottrarsi’ alla soglia di fallibilità.
3. Onere di Corretta Contabilizzazione: Spetta agli amministratori redigere il bilancio in modo corretto, applicando, quando necessario, le svalutazioni previste dalla legge per perdite durevoli di valore. Tuttavia, in assenza di ciò, il dato formale del bilancio resta il punto di riferimento per il giudice.

In sintesi, la stabilità e l’oggettività dei dati contabili prevalgono su valutazioni soggettive e contingenti, garantendo una maggiore certezza nell’applicazione della legge fallimentare.

Per determinare se un’impresa è fallibile, si considera il valore di mercato dei suoi beni o il valore iscritto in bilancio?
Per determinare la fallibilità, si fa riferimento al valore iscritto in bilancio secondo i principi contabili previsti dal codice civile, in particolare al criterio del costo storico per le immobilizzazioni materiali, e non al valore attuale di mercato.

Una società in liquidazione può valutare i propri immobili al valore di realizzo anziché al costo storico per evitare il fallimento?
No. Secondo la decisione in esame, anche per una società in liquidazione, ai fini della verifica dei presupposti di fallibilità, il criterio di valutazione applicabile rimane quello del costo storico risultante dal bilancio, e non il presunto valore di realizzo.

Il giudice è obbligato a disporre una perizia (C.T.U.) se i dati di bilancio sono contestati come inattendibili?
No, la consulenza tecnica d’ufficio è un mezzo istruttorio la cui ammissione rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Se il giudice ritiene che il criterio legale da applicare sia quello del dato contabile formale, può legittimamente ritenere superflua una perizia sul valore di mercato del bene.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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