Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 685 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 685 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 16429/2020 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, NOME COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE.
– Ricorrente –
Contro
COGNOME elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE.
– Controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 462/2020 depositata il 04/02/2020.
Compravendita di carburante
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 20 dicembre 2023.
Rilevato che:
NOME COGNOME, già titolare di una stazione di servizio Erg in Forlimpopoli, convenne in giudizio davanti al Tribunale di Bologna NOME COGNOME, imprenditore nell’àmbito degli autotrasporti, chiedendone la condanna al pagamento di euro 70.709.68, quale corrispettivo dei rifornimenti di carburante, effettuati dal convenuto e dai suoi dipendenti nel periodo da giugno 2005 a maggio 2006, fatturati dalla creditrice, ma soltanto in piccola parte saldati dal debitore, il quale questa è la tesi dell’attrice rimandava i pagamenti in virtù della relazione sentimentale nel mentre avviata con la sig.ra COGNOME
Il convenuto, costituendosi in giudizio, ammise di avere effettuato i rifornimenti di carburante, ma contestò nel quantum la pretesa della controparte, alla quale, in pendenza di un procedimento incidentale per sequestro conservativo dalla stessa promosso, offrì la somma di euro 13.378,00, che l’attrice trattenne in conto del maggiore avere;
il Tribunale di Bologna, con sentenza n. 731/2010, in parziale accoglimento della domanda, condannò il convenuto al pagamento di euro 48.565, oltre accessori;
la Corte d’appello di Bologna, in accoglimento del gravame del sig. COGNOME ha rigettato la domanda della sig.ra COGNOME così motivando le ragioni del proprio convincimento:
(a) il primo giudice ha ritenuto parzialmente provata l’entità del credito sulla base delle fatture annotate nei libri contabili dell’attrice, attestanti la fornitura del carburante al convenuto nel periodo contestato, nonché valorizzando le prove orali. Tuttavia, come si desume dalla giurisprudenza di legittimità, quando (ed è il caso di
specie) il rapporto tra le parti sia contestato, la fattura annotata nelle scritture contabili assume soltanto valore indiziario;
(b) i testimoni sentiti in primo grado, pur confermando la cadenza mensile del calcolo degli addebiti per l’acquisto di carburante, non hanno indicato elementi utili al fine della quantificazione del credito dell’attrice;
(c) del pari inconferenti, rispetto alla determinazione del quantum debeatur , sono risultati gli sms che l’appellata sostiene di avere ricevuto dall’utenza telefonica del debitore, il quale, dal canto suo, ha disconosciuto l’invio dei messaggi;
per la cassazione della decisione d’appello, NOME COGNOME ricorre, con sette motivi, illustrati con una memoria; NOME COGNOME resiste con controricorso;
Considerato che:
con il primo motivo -ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1325, cod. civ., e del principio di assenza di gerarchia nelle fonti di prova civilistiche (art. 116, cod. proc. civ.) -la ricorrente premette che la sentenza ha negato la rilevanza della prova testimoniale in ragione del fatto che, secondo i testi, esistevano dei ticket sui quali, per ogni rifornimento, veniva stampato l’importo e che venivano messi da parte per il computo mensile, e tuttavia questi ticket non risultavano acquisiti agli atti. Ciò detto, il ricorrente obietta che il giudice d’appello non ha rilevato che non esiste una gerarchia tra le prova e che la prova per testi ha la stessa valenza della prova documentale;
il secondo motivo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1988, cod. civ. -censura l’errore della sentenza che non ha attribuito agli sms prodotti dall’attrice il valore di riconoscimento del debito che, per
giurisprudenza costante, può essere anche tacito o manifestarsi per facta concludentia ;
il terzo motivo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; violazione e/o falsa applicazione del principio di non gerarchia delle fonti di prova ex art. 116, cod. proc. civ. -censura la sentenza che non ha rilevato che il convenuto, in comparsa di risposta, aveva ammesso di avere effettuato, da agosto 2005 a maggio 2006, i rifornimenti di carburante presso la stazione di servizio Erg gestita dall’attrice, con la conseguenza che, non essendo controverso il rapporto contrattuale, la fattura può costituire un valido elemento di prova e non un mero indizio della prestazione eseguita;
il quarto motivo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., nullità della sentenza per non avere considerato l’omessa contestazione delle fatture in sede stragiudiziale censura la mancanza di motivazione della sentenza che non ha tenuto conto dell’anomalo comportamento del convenuto, il quale ha ricevuto le fatture, le ha contabilizzate, e ne ha portato (cfr. pag. 11 del ricorso per cassazione) il ‘costo in detrazione’, ma non ha pagato il relativo debito;
nel quinto motivo -‘ error in iudicando per non aver considerato il contegno ante causam ex art. 116 c.p.c. di NOME COGNOME si sostiene che non va dimenticato che controparte, nel costituirsi, riconobbe di avere un debito nei confronti dell’attrice;
il sesto motivo -ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti -censura la sentenza che non ha motivato sul contenuto delle dichiarazioni sottoscritte da alcuni dipendenti e parenti del sig. COGNOME da quest’ultimo prodotte in
giudizio, relative alle presunte quantità di carburante prelevate da giugno 2005 a maggio 2006, recanti l’indicazione dei corrispettivi in denaro;
il settimo motivo -‘ error in iudicando et in procedendo : violazione del principio di verificazione’ si duole che, nel processo civile, non si applichino le stesse regole del processo penale in tema di acquisizione della prova, e aggiunge che, se la Corte d’appello avesse disposto una c.t.u. percipiente o altri accertamenti, avrebbe compreso la frode subita dall’attrice, la quale aveva ‘abbassato le difese’ a causa dei propri sentimenti;
il primo, il terzo, il quinto e il sesto motivo, suscettibili di esame congiunto per connessione, sono inammissibili;
8.1. innanzitutto, per quanto concerne l’asserita violazione dell’art. 116, cod. proc. civ., e il vizio di cui al n. 5), dell’articolo 360 (‘omesso esame circa un fatto decisivo’), è utile richiamare l’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. U., 30/09/2020, n. 20867, che menziona: Cass. Sez. U., 05/08/2016, n. 16598; Cass. Sez. U., 27/12/2019, n. 34474, con richiami pure a Cass. 19/06/2014, n. 13960, e a Cass. 20/12/2007, n. 26965), secondo cui «n tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio
prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione», e, ancora, «è inammissibile la doglianza che , nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.» (in senso conforme, ex multis , Cass. 10/06/2016, n. 11892; Cass. 11/10/2016, n. 20382; Cass. 28/02/2018, n. 4699; Cass. 03/11/2020, n. 24395; Cass. 26/10/2021, n. 30173);
8.2. nel caso di specie, le diverse censure sottese ai motivi in esame si risolvono, in sostanza, in una critica ad ampio raggio della valutazione delle risultanze istruttorie operata dalla Corte di merito, la quale, in estrema sintesi, con una motivazione sufficientemente chiara e priva di vizi logici e, quindi, insindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto non provato nel quantum il credito dell’attrice a causa della mancanza di evidenze dei corrispettivi delle forniture di carburante che l’impresa del sig. COGNOME aveva ottenuto ‘a debito’ dall’estate del 2005 in poi.
Sul versante dell’insindacabilità dell’apprezzamento delle prove da parte del giudice di merito, in continuità con Cass. 20/04/2023, n. 10681, va evidenziato che « ” esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull ‘ attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza
essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330)»;
8.3. infine, circa il valore probatorio delle fatture (cfr. punto 3), si deve ribadire il principio di diritto (Sez. 2 – , Ordinanza n. 23414 del 19/09/2019, Rv. 655353 – 01), alla stregua del quale la mancata contestazione di una fattura prodotta in giudizio non equivale al mancato disconoscimento di una scrittura privata avente efficacia di piena prova fino a querela di falso, ex art. 2702, cod. civ., tenuto conto che tale valenza è prevista nei soli confronti di chi abbia sottoscritto il documento ed è limitata alla provenienza, e non alla veridicità, delle dichiarazioni in essa riportate;
9. il secondo motivo è inammissibile;
9.1. la censura non coglie la ratio decidendi della sentenza d’appello che, come suaccennato, ha disatteso la domanda dell’attrice per mancanza di prova dell’ammontare del credito. In altri termini, al contrario di quanto sostiene la ricorrente, l’unico aspetto controverso della causa è il quantum debeatur , che non è stato superato dalla generica ammissione, da parte del convenuto, di essere in debito verso l’attrice, quale circostanza pacifica, che ha avuto un risvolto processuale nell’offerta banco iudicis da parte del debitore di una somma accettata dalla creditrice come parziale adempimento;
il quarto motivo è infondato;
10.1. con riferimento alla dedotta carenza strutturale della motivazione, è dato rilevare che la sentenza d’appello reca una motivazione sufficientemente chiara e sintetica, che soddisfa
senz’altro il requisito del ‘minimo costituzionale’, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte ( ex multis , Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476, la quale cita, in motivazione, Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Sez. U. 18/04/2018, n. 9558; Sez. U. 31/12/2018, n. 33679);
10.2. da un’altra prospettiva, osserva la Corte che, in realtà, la critica poggia su questioni irrilevanti, come l’asserita omessa contestazione delle fatture in fase stragiudiziale, e su mere congetture, come il fatto che il debitore avrebbe registrato in contabilità le fatture passive non saldate ed avrebbe portato in deduzione i costi del carburante;
11. il settimo motivo è inammissibile;
11.1. la censura non indica la norma di diritto che si assume violata; pertanto, non soddisfa i requisiti formali dell’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., secondo cui il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, «4) i motivi per i quali si chiede la cassazione con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano». È orientamento radicato di questa Corte, enunciato anche dalle Sezioni unite (Cass. Sez. U., 28/10/2020, n. 23745) che «n tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa»;
in conclusione, rigettato il quarto motivo e dichiarati inammissibili i restanti, il ricorso deve essere rigettato;
le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
a i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto;
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 5.600,00, più euro 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 20 dicembre 2023.