Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7089 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7089 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24834/2023 R.G. proposto da :
NOME, che si difende in proprio ex art. 86 cod. proc. civ., domiciliata presso il proprio indirizzo Pec.
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ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata presso l’indirizzo Pec del difensore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOMECOGNOME
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contro
ricorrente – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 373/2023 depositata il 26/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/12/2024 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che
La società RAGIONE_SOCIALE concedeva all’avv. COGNOME un immobile in locazione (ad uso diverso); ella eseguiva a sue spese dei lavori per adattarlo a studio legale; dopo aver stipulato anche un secondo contratto, la società locatrice conveniva l’avvocata conduttrice avanti al Tribunale, lamentandone la morosità nel pagamento dei canoni ed in particolare producendo un documento n. 7, rappresentato da una mail , con alcune tabelle allegate, che avrebbe integrato un riconoscimento di debito della conduttrice.
Così veniva ritenuto prima dal Tribunale, che accoglieva la domanda della società locatrice di condanna della conduttrice al pagamento dei canoni insoluti; poi dalla Corte d’Appello, che confermava integralmente la sentenza di prime cure.
La conduttrice propone ora ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso la società locatrice.
Il consigliere delegato formulava proposta di definizione accelerata, del seguente tenore: ‘Considerato che: i quattro motivi, congiuntamente esaminabili per la loro stretta connessione mirano, nella sostanza, ad un riesame delle risultanze probatorie, e comunque del merito della causa, precluso in questa sede di legittimità (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054), pur denunciando la violazione e la falsa applicazione di legge; non emerge dal ricorso in esame la specifica indicazione delle affermazioni contenute nella sentenza impugnata che si assumono essere in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con la loro interpretazione, come stabilito da consolidato orientamento di questa Corte (Cass. 02/03/2018, n. 5001; Cass. 12/01/2016, n. 287; Cass. 20/08/2015, n. 17060); le censure, sostanzialmente, si risolvono
nel sollecitare a questa Corte una rivalutazione nel merito dei fatti di causa, preclusa nella presente sede di legittimità; la denuncia di omesso esame contestualmente proposta è inammissibile per la preclusione che deriva -ai sensi dell’art. 348- 2 ter, ultimo comma, cod. proc. civ. -dall’avere la Corte d’appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme), non avendo la ricorrente assolto l’onere in tal caso su di essa gravante di indicare le ragioni di fatto della decisione di primo grado ed in cosa queste si differenziavano da quelle poste a fondamento della decisione di appello (v. Cass. 22/12/2016, n. 26774; 06/08/2019, n. 20994; 15/03/2022, n. 8320); le censure, peraltro, non si confrontano con il ragionamento probatorio svolto in sentenza e in particolare con quella che può considerarsi alla stregua di motivazione in rito preliminare e assorbente rappresentata dal rilievo, a pag. 9, primo capoverso, secondo cui l’appellante si era limitata a riproporre «integralmente la contestazione originaria non confrontandosi con le argomentazioni della sentenza»; pertanto, propone la definizione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. con pronuncia di inammissibilità’.
La ricorrente ha tempestivamente chiesto la decisione, per cui il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
La ricorrente e la società controricorrente hanno depositato memorie.
Considerato che
Con il primo motivo la ricorrente propone ‘Impugnazione ai
sensi dell’art. 360 cod. proc. civ. primo comma numero tre sotto il profilo della violazione dell’art. 2712 cod. civ. in relazione all’art. 2697 cod. civ.’.
Censura l’impugnata sentenza nella parte in cui, nel confermare la sentenza di prime cure, considera il documento n. 7 un riconoscimento di debito proveniente dalla conduttrice, odierna ricorrente, sia perché ‘… si inserisce perfettamente, come già affermato dal primo giudice, nella successione temporale di comunicazioni intercorse tra le parti e tutte relative ai persistenti inadempimenti dell’avv. COGNOME al pagamento dei canoni locativi …’, sia perché ‘… vi è precisa riferibilità del documento inviato alla odierna appellante …’.
Lamenta che per attribuire al citato documento n. 7 valore di riconoscimento di debito, la corte territoriale lo avrebbe dovuto valutare nel formato originale; invece, sebbene sin dalla costituzione in primo grado essa esponente avesse contestato il documento prodotto, senza che la controparte depositasse il file originario, il giudice di merito non aveva valutato questa carenza dell’onere probatorio ed era incorso nella violazione non solo dei dettami del Codice dell’Amministrazione Digitale, ma anche dell’art. 2697 cod. civ.
1.1. Il motivo è inammissibile, per le seguenti plurime ragioni.
Anzitutto, la violazione dell’art. 2697 cod. civ. viene dedotta senza rispettare i criteri, indicati a suo tempo, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016 e ribaditi ex multis da Cass., n. 26769 del 2018 (cui, adde, ancora ma sempre ex multis , Cass., n. 13395 del 2018).
Inoltre, non solo, come rilevato nella proposta di decisione accelerata, sollecita un riesame del fatto e della prova, ma invoca il disconoscimento della conformità di una copia di documento al
suo originale, senza tuttavia localizzarlo nel contesto processuale, né si confronta con quanto espressamente rilevato a p. 9 della impugnata sentenza, che, nel confermarla, riporta la motivazione della sentenza di primo grado, secondo cui ‘La resistente disconosce ora la valenza di tale mail quale riconoscimento di debito, ma l’alternarsi della corrispondenza tra locatrice e conduttrice, la provenienza dai rispettivi indirizzi di posta elettronica nonché il contenuto stesso delle comunicazioni non possono aver altro significato ( sentenza di primo grado pg.3)’.
Secondo consolidato orientamento di legittimità, anche richiamato dall’impugnata sentenza, la e -mail, sebbene non certificata, comunque costituisce un ‘documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime’ (v. Cass., n. 11606 del 14/05/2018).
Orbene, dalla lettura dell’impugnata sentenza risulta che la corte di merito, per un verso, ha confermato la sentenza di prime cure sul rilievo del mancato tempestivo disconoscimento da parte dell’allora appellante ed odierna ricorrente, per altro verso ha attribuito efficacia probatoria alla citata mail in relazione alle complessive risultanze processuali, analiticamente indicate alle pp. 9, 10 e 11 della motivazione.
Con il secondo motivo la ricorrente propone ‘Impugnazione ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ. primo comma numero tre sotto il profilo della violazione degli articoli 2727 e 2729 cod. civ.’.
Censura l’impugnata sentenza là dove afferma ‘Il Giudice di primo grado ha correttamente esaminato il punto del
‘disconoscimento’ della email di cui al doc. 7 confutandolo in modo esaustivo. Su tale base ha quindi attribuito al documento in questione valore di riconoscimento di debito sulla base di un percorso logico condivisibile che fa riferimento essenzialmente ad argomentazioni di carattere logico … Alla mail in contestazione va attribuito valore di riconoscimento di debito in primo luogo perché essa si inserisce perfettamente … nella successione temporale di comunicazioni intercorse tra le parti e tutte relative ai persistenti inadempimenti dell’avv. COGNOME al pagamento dei canoni locativi … In primo luogo vi è la mail di Flowers indirizzata allo Studio COGNOME (di cui si ribadisce l’Avv. COGNOME è associata), in cui si specifica che i pagamenti di cui al precedente bonifico verranno imputati agli insoluti più risalenti e si chiede all’Avv. COGNOME l’invio di ‘mastrino’ delle posizione aperte ( cioè pagamenti di canoni non eseguiti) dall’inizio della locazione per effettuare verifica incrociata e, di seguito, la risposta, perfettamente congruente, con invio del ‘mastrino c.d. partite aperte’, proveniente dal medesimo indirizzo mail e firmata dalla Segreteria con la specificazione ‘per Avv. COGNOME‘ da cui risultano perfettamente gli insoluti contestati da RAGIONE_SOCIALE ( doc.7). In definitiva il doc 7 citato costituisce riconoscimento di debito in quanto vi è precisa riferibilità del documento inviato alla odierna appellante …’.
Deduce che, con il motivo proposto, non ci si duole del fatto che il giudice di merito, a fronte della contestazione del documento n. 7 sotto il profilo della sua provenienza e contenuto, possa valutarlo con gli altri elementi acquisiti nel corso dell’istruttoria, bensì del fatto che qualsivoglia ragionamento in tal senso può essere condotto soltanto in considerazione di un documento la cui sicurezza, integrità ed immodificabilità siano effettive e provate, evenienza che invece non ricorre nel caso di specie, in cui il giudice di merito è incorso nella violazione degli
artt. 2727 e 2729 cod. civ.
2.1. Il motivo è inammissibile, per le stesse ragioni svolte nello scrutinio del primo motivo.
Con il terzo motivo la ricorrente propone ‘Impugnazione ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ. primo comma numero cinque, per omessa considerazione di un fatto determinante: omesso esame dell’asserito allegato dimesso da controparte e avversamente ricondotto alla presunta e-mail dimessa quale documento numero 7’.
Lamenta che, nello statuire sul citato documento n. 7, il giudice di merito avrebbe omesso di scindere il testo dall’allegato, così rivelando di non avere compreso ed esaminato le doglianze svolte dalla scrivente al riguardo.
Deduce che essa esponente non si era limitata a disconoscere la paternità della asserita comunicazione mail, ma aveva anche specificatamente contestato l’asserito allegato fosse effettivamente quello accluso all’asserita comunicazione mail; pertanto, ammesso e non concesso che la presunta mail fosse realmente esistita, in ogni caso, non avendo controparte prodotto l’originale telematico della stessa, come imposto dal Codice dell’Amministrazione Digitale, non ha dimostrato che la mail fosse munita di un allegato, e che quindi il foglio prodotto fosse effettivamente riconducibile alla mail.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Deduce il vizio di omesso esame in violazione dell’art. 348 -ter cod. proc. civ., stante la presenza di cd. doppia conforme.
Inoltre, non considera, e dunque non censura, il rilievo della corte di merito, secondo cui: ‘In definitiva il doc . 7 citato costituisce riconoscimento di debito in quanto vi è precisa riferibilità del documento inviato alla odierna appellante. Appare inoltre assai contraddittorio che dopo avere contestato radicalmente di avere mai ricevuto o inviato il doc. 7 in
questione, l’appellante censuri la sentenza affermando che il Giudice non avrebbe tenuto conto della indicazione finale, proprio ivi contenuta, dell’importo di una fattura (peraltro non specificata) di € 10.922,56 per porte e pareti’.
Con il quarto motivo la ricorrente propone ‘Impugnazione ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ. primo comma numero tre sotto il profilo della violazione degli articoli 2727 e 2729 cod. civ. nell’esame degli indizi volti alla dimostrazione della riconducibilità del documento numero 7 alla conduttrice’.
Deduce, fermo quanto già illustrato nel secondo motivo, che il giudice di merito avrebbe fatto cattiva applicazione del ragionamento presuntivo e rileva che sussisterebbe una diversa rappresentazione dei fatti, verosimile e più probabile rispetto a quella considerata dalla corte veneta, e cioè che la comunicazione di cui al documento n. 7 non sia mai stata inviata dalla conduttrice e che, conseguentemente, non esista alcun documento avente valore di riconoscimento di debito.
4.1. Il motivo è inammissibile.
La ricorrente, nel prospettare una diversa rappresentazione dei fatti di causa, sollecita a questa Suprema Corte un riesame del fatto e della prova, precluso nel giudizio di legittimità.
Inoltre, in questo come nel secondo motivo, l’evocazione delle norme sulle presunzioni non è dedotta secondo i criteri, indicati in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, da Cass., Sez. Un., n. 1785 del 2018 nei paragrafi 4 e ss. della motivazione.
In conclusione, il ricorso è inammissibile.
Essendo il giudizio definito in conformità alla proposta non accettata, sebbene con esclusione dell’ultima proposizione, che specula su un’affermazione dell’impugnata sentenza troppo generica per farla ritenere ratio decidendi e comunque inidonea ad essere apprezzata come tale, ai sensi dell’art. 380 -bis , ultimo
comma, cod. proc. civ. parte ricorrente deve essere anche condannata ai sensi e per gli effetti dell’art. 96, comma terzo e quarto cod. proc. civ., contenendo l’art. 380 -bis , ultimo comma cod. proc. civ. una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controparte e di una ulteriore somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, secondo quanto statuito da questa Corte a sezioni unite (Cass., Sez. Un., sentenze n. 27195 e 27433 del 2023; Cass., n. 27947/23).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.500,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, della somma di euro 1.500,00, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ. e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende, ai sensi dell’art. 96, comma quarto, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione il 3 dicembre
2024.
Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME