Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4781 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4781 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 210/2020 R.G. proposto da
NOME COGNOME in qualità di titolare della ditta omonima, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente – contro
C.IRAGIONE_SOCIALE PROVINCIALE NORD RAGIONE_SOCIALE SARDEGNA RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
-controricorrente –
e
DITTA NOME COGNOME IN CONCORDATO PREVENTIVO;
-intimata – avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di
Sassari, depositata il 31 maggio 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il C.RAGIONE_SOCIALE Nord Est Sardegna -Gallura convenne in giudizio NOME COGNOME in qualità di titolare dell’omonima ditta artigiana, già proprietario di uno stabilimento industriale sito in Olbia, e riportato nel Catasto terreni al foglio 32, particelle 1329 sub 1 e 2, proponendo opposizione alla stima del valore del fabbricato, in ordine al quale, con decreto del 12 luglio 2016, aveva esercitato la facoltà di riacquisto prevista dall’art. 63 della legge 23 dicembre 1998, n. 448.
Premesso che il valore del terreno costituiva oggetto di un diverso giudizio, riferì che il fabbricato aveva carattere abusivo, essendo stato realizzato in mancanza dell’autorizzazione paesaggistica.
Si costituirono l’COGNOME e il commissario giudiziale del concordato preventivo della ditta COGNOME, e resistettero alla domanda, chiedendone il rigetto.
1.1. Il giudizio fu successivamente riunito ad un altro, promosso dal commissario giudiziale del concordato preventivo, ed avente ad oggetto la stima definitiva formulata dal CIPNES.
In tale giudizio, aveva spiegato intervento l’COGNOME aderendo alla domanda.
1.2. Con ordinanza del 31 maggio 2019, la Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, ha dichiarato inammissibile la domanda proposta dal commissario giudiziale ed ha accolto quella proposta dall’COGNOME, determinando il prezzo di riacquisto in Euro 36.078,34, ivi compresi Euro 8.447,51 per il terreno ed Euro 27.630,83 per il fabbricato.
Premesso che nel corso della procedura di concordato preventivo il debitore conserva l’amministrazione dei propri beni e l’esercizio dell’impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale, la Corte ha innanzitutto escluso la legittimazione di quest’ultimo all’esercizio delle azioni a tutela del patrimonio ed alla resistenza alle stesse, non avendo la causa ad oggetto pretese od
obblighi sorti nel corso ed in funzione delle operazioni di liquidazione.
Ha precisato inoltre che l’oggetto del giudizio non era limitato alla determinazione del valore del fabbricato, rilevando che lo stesso costituiva un unico complesso immobiliare con la corte circostante, della quale era stata disposta la riacquisizione con il medesimo provvedimento, ed affermando quindi che anch’essa doveva costituire oggetto della stima, sia pure in base a un criterio diverso. Ha ritenuto irrilevante, ai fini dell’applicabilità dell’art. 63 della legge n. 448 del 1998, la circostanza che il terreno fosse stato acquistato direttamente dal proprietario originario, anziché dal Consorzio, osservando che la norma, oltre a non fare alcun cenno al soggetto cui il prezzo sia stato corrisposto ed alle relative modalità, riguarda aree sottoposte a vincolo, per le quali l’acquisto diretto da parte dell’assegnatario del lotto rappresenta solo un modo per accelerare la procedura di acquisizione.
Ai fini della determinazione del prezzo di riacquisto del terreno, la Corte ha richiamato la stima compiuta dal c.t.u., il quale, dato atto dell’intervenuto frazionamento del fondo tra l’COGNOME e NOME COGNOME, aveva detratto il valore dell’area intestata a quest’ultimo. In ordine al valore del fabbricato, ha invece rilevato che il c.t.u., dopo aver dato atto dell’inclusione dell’area in zona D1 del Piano regolatore generale, destinata alla localizzazione di strutture del settore terziario e commerciale, ed averne descritto il buon posizionamento, la morfologia, l’accesso, le caratteristiche costruttive e lo stato di conservazione, aveva riferito che lo stesso era stato edificato in assenza del nullaosta paesaggistico ma in virtù di concessione edilizia, aveva ottenuto il certificato di abitabilità ed era stato frazionato in due lotti senza pratiche edilizie, e ne aveva determinato il valore di mercato con metodo comparativo, sulla base d’informazioni assunte presso operatori di mercato e delle quotazioni dell’osservatorio immobiliare, in considerazione della mancanza di atti di compravendita, dovuta alla crisi del settore artigianale ed industriale. Ha ritenuto peraltro che, avuto riguardo all’irregolarità urbanistico-edilizia dello immobile, per il quale non era stata neppure avviata una pratica di sanatoria, dovesse trovare applicazione l’art. 38 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, ricorrendo al criterio sussidiario del valore dell’area di sedime, da determinarsi tenendo conto del valore di mercato stimato dal c.t.u. per la sola porzione del
fabbricato intestata all’Asara.
Avverso la predetta ordinanza l’COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sei motivi, illustrati anche con memoria. Il CIPNES ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria. Il commissario giudiziale non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va disattesa l’eccezione d’inammissibilità dell’impugnazione, sollevata dalla difesa del Consorzio in relazione alla posizione processuale del ricorrente, la cui costituzione nel giudizio di merito, in quanto qualificabile come intervento adesivo dipendente, escluderebbe la legittimazione dell’COGNOME a proporre il ricorso per cassazione.
L’ordinanza impugnata è stata infatti adottata a seguito della riunione di due distinti giudizi, uno dei quali promosso dal CIPNES prima dell’emissione del provvedimento di riacquisto, in cui l’COGNOME si è costituito unitamente al commissario giudiziale del concordato preventivo, resistendo all’opposizione, ed un altro, promosso dal commissario giudiziale a seguito della rinnovazione del procedimento di stima, nel quale il ricorrente ha spiegato intervento, associandosi all’opposizione del commissario. In nessuno dei due giudizi la costituzione dell’COGNOME è peraltro qualificabile come intervento adesivo dipendente, non essendosi egli limitato a sostenere le ragioni del commissario giudiziale, ma avendo fatto valere un proprio diritto, in virtù dell’autonoma legittimazione processuale a lui spettante nella veste di proprietario dell’immobile in ordine al quale il Consorzio ha esercitato la facoltà di riacquisto, che gli consente di proporre anche ricorso per cassazione.
Correttamente, infatti, l’ordinanza impugnata ha negato la legittimazione ad agire del commissario giudiziale, conformemente al principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui nel concordato preventivo il debitore subisce uno spossessamento attenuato, poiché conserva, oltre alla proprietà, l’amministrazione e la disponibilità dei propri beni, salve le limitazioni connesse alla natura stessa della procedura, la quale impone che ogni atto sia comunque funzionale all’esecuzione del concordato, con la conseguenza che, mancando una disposizione analoga a quella dettata per il falli-
mento dall’art. 43 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, la legittimazione processuale spetta al debitore, il quale è parte sostanziale di tutti gli atti e i giudizi che concernono il suo patrimonio (cfr. Cass., Sez. lav., 20/09/2019, n. 23520; Cass., Sez. V, 28/07/2017, n. 18823; Cass., Sez. II, 4/09/2015, n. 17606).
Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la falsa applicazione dell’art. 63 della legge n. 448 del 1998, sostenendo che tale disposizione non è riferibile alla fattispecie in esame, caratterizzata non già dal riacquisto, ma dall’espropriazione dell’immobile ad opera del CIPNES. Precisa, infatti, di aver acquistato il terreno da un privato, anziché dal Consorzio, di avervi realizzato una falegnameria artigianale, e di averlo successivamente suddiviso in due distinte unità con NOME NOME COGNOME.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la falsa applicazione dell’art. 38, comma secondo, del d.P.R. n. 327 del 2001, censurando l’ordinanza impugnata per aver ritenuto abusivo il fabbricato, a causa della mancanza del nullaosta paesaggistico, senza tener conto della realizzazione dell’edificio in virtù di concessione edilizia e dell’avvenuto rilascio del nullaosta in favore del COGNOME, nonché della possibilità di ottenerne il rilascio in sanatoria. Premesso inoltre che i decreti ministeriali d’imposizione del vincolo paesaggistico erano disapplicabili, in quanto richiamati con riferimento ad un fabbricato posto allo interno di una zona industriale assentita nella sua integralità, sostiene che gli stessi non riguardano tale zona, ma le scogliere a strapiombo sul mare.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la falsa applicazione dell’art. 38, comma secondo, del d.P.R. n. 327 del 2001 e la violazione dell’art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e dell’art. 3 Cost., ribadendo che il fabbricato, realizzato in virtù di concessione edilizia e dotato di licenza di abitabilità, è stato diviso con NOME COGNOME e rilevando che a quest’ultimo è stata riconosciuta un’indennità notevolmente superiore a quella liquidata in favore di esso ricorrente. Eccepisce inoltre l’illegittimità costituzionale dell’art. 38, comma secondo, cit., nella parte in cui consente che l’immobile, non demolito né acquisito al patrimonio del Comune, venga acquistato da un consorzio industriale per essere destinato a fini imprenditoriali.
Con il quarto motivo, il ricorrente censura l’ordinanza impugnata per
non aver tenuto conto dell’ingiustificato arricchimento riportato dal CIPNES a seguito dell’acquisto del fabbricato abusivo, non demolito né acquisito al patrimonio del Comune, ma utilizzato per i propri fini istituzionali.
Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia la falsa applicazione dell’art. 63 della legge n. 448 del 1998 e dell’art. 167 della legge fall., censurando l’ordinanza impugnata per aver dichiarato il difetto di legittimazione del commissario giudiziale, senza tenere conto della concorrente legittimazione processuale spettante allo stesso nel corso della procedura di concordato preventivo.
Con il sesto motivo, il controricorrente deduce la falsa applicazione dell’art. 37, comma secondo, del d.P.R. n. 327 del 2001, censurando l’ordinanza impugnata per aver omesso di riconoscere la maggiorazione del 10% sull’indennità liquidata, nonostante l’offerta di un’indennità provvisoria inferiore agli 8/10 di quella determinata in via definitiva.
Il primo motivo, riguardante la sussistenza dei presupposti per il ricorso alla procedura prevista dall’art. 63 della legge n. 448 del 1998, è inammissibile.
La controversia avente ad oggetto la legittimità dell’esercizio, da parte di un consorzio di sviluppo industriale, del potere autoritativo di disporre il riacquisto di un’area ceduta a un privato per la realizzazione di uno stabilimento industriale o artigianale, ai sensi dell’art. 63 cit., è infatti devoluta alla giurisdizione del Giudice amministrativo, spettando invece al Giudice ordinario la cognizione della domanda di determinazione del prezzo di acquisto, la quale dà luogo ad una controversia di natura meramente patrimoniale (cfr. Cass., Sez. Un., 24/02/2011, n. 4462; Cons. Stato, Sez. IV, 27/03/2014, n. 1477; 7/02/2012, n. 664).
Sono invece infondati il secondo, il terzo ed il quarto motivo, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi tutti ad oggetto la detrazione dal prezzo di riacquisto del valore del fabbricato realizzato in mancanza del nullaosta paesaggistico.
Correttamente, in proposito, l’ordinanza impugnata ha escluso la diretta applicabilità dell’art. 38 del d.P.R. n. 327 del 2001, la cui riferibilità al riacquisto della proprietà delle aree cedute dai consorzi di sviluppo industriale è
stata esclusa da questa Corte, in considerazione dell’autonomia dei presupposti, delle modalità e dei termini previsti per l’istituto in esame, rispetto a quelli riguardanti l’espropriazione per pubblica utilità, la quale impedisce di fare riferimento alla disciplina generale dettata dal d.P.R. n. 327 cit., in assenza di un espresso rinvio alla stessa da parte dell’art. 63 della legge n. 448 del 1998 (cfr. Cass., Sez. VI, 23/11/2021, n. 36188). Altrettanto condivisibilmente, però, la Corte territoriale ha osservato che il comma secondo dello art. 38 cit., il quale esclude la possibilità d’includere nel calcolo dell’indennità dovuta per l’espropriazione di fabbricati il valore delle costruzioni realizzate in totale assenza o in difformità della concessione edilizia o dell’autorizzazione paesaggistica, imponendo di tenere conto soltanto di quello dell’area di sedime o della parte del fabbricato realizzata legittimamente, costituisce espressione di un principio generale, desumibile dalla normativa in materia urbanistica ed espropriativa, secondo cui il proprietario non può trarre alcun vantaggio dalla propria attività illecita. Tale principio, espressamente sancito per la prima volta dall’art. 16, nono comma, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e ritenuto applicabile anche ai fini del calcolo dell’indennità di cui all’art. 46 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, poi trasfuso nell’art. 44 del d.P.R. n. 327 del 2001 (cfr. Cass., Sez. Un., 13/09/2005, n. 18125; Cass., Sez. III, 21/02/2011, n. 4206; Cass., Sez. I, 15/11/2007, n. 23627), mira infatti ad evitare che, nonostante l’abusività della costruzione, la sua presenza nel fondo possa concorrere anche indirettamente ad accrescerne il valore, e deve quindi considerarsi operante anche per le espropriazioni disciplinate da norme speciali (ad esempio, quelle preordinate alla realizzazione del programma straordinario di urbanizzazione di cui alla legge 14 maggio 1981, n. 219: cfr. Cass., Sez. I, 9/04/2022, n. 5046), come quella in esame: esso trova quindi applicazione anche nel caso in cui, come nella specie, la costruzione sia stata realizzata in assenza della sola autorizzazione paesaggistica, non risultando in tal caso sufficiente ad impedire l’emissione dell’ordine di demolizione l’avvenuto rilascio del permesso di costruire, la cui efficacia è subordinata al conseguimento della predetta autorizzazione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 28/12/ 2021, n. 8641; Cons. Stato, Sez. IV, 21/05/2021, n. 3952; 13/04/2016, n. 1436).
Non può trovare ingresso, in questa sede, la censura riflettente la mancata disapplicazione dei decreti ministeriali con cui è stato imposto il vincolo paesaggistico, in quanto non riferibili alle aree incluse nel perimetro consortile, trattandosi di una questione che implica un accertamento di fatto, non esaminata nell’ordinanza impugnata, e non essendo stato precisato in quale fase ed in quale atto del giudizio di merito la stessa sia stata sollevata (cfr. Cass., Sez. II, 24/01/2019, n. 2038; Cass., Sez. VI, 13/06/2018, n. 15430; Cass., Sez. III, 12/06/2018, n. 15196).
Nessun rilievo può assumere invece la circostanza, fatta valere dal ricorrente, che il fabbricato di sua proprietà costituisca soltanto una porzione di un più ampio edificio, da lui realizzato unitamente a NOME COGNOME il quale, a seguito della divisione, avrebbe ottenuto l’autorizzazione in sanatoria, per la porzione a lui assegnata, giacché, indipendentemente dall’irritualità della produzione del relativo documento, avvenuta soltanto in sede di legittimità, in contrasto con l’art. 372 cod. proc. civ., il provvedimento in questione non estende i suoi effetti alle altre porzioni dell’edificio, per le quali non è stata presentata un’analoga richiesta di sanatoria. Per tale ragione, deve escludersi che il riconoscimento di un maggiore indennizzo in favore del Deiana, a fronte del riacquisto di una porzione dell’edificio verosimilmente identica o comunque simile a quella del ricorrente, possa dar luogo ad un’ingiustificata disparità di trattamento tra i due proprietari, non versando le rispettive porzioni nella medesima situazione, sotto il profilo della legittimità edilizio-urbanistica. Parimenti irrilevante è la perdurante facoltà del ricorrente di proporre l’istanza di sanatoria, dovendosi escludere l’idoneità di un eventuale provvedimento di accoglimento a giustificare la valutazione del fabbricato ai fini della determinazione del prezzo di riacquisto, alla stregua di quanto disposto dal comma 2bis dell’art. 38 cit., che, consentendo di accertare la sanabilità delle costruzioni realizzate abusivamente ai soli fini della corresponsione dell’indennità, ove sia pendente una procedura finalizzata alla sanatoria, esclude implicitamente tale possibilità nel caso in cui, come nella specie, alla data di emissione del provvedimento ablatorio la relativa istanza non sia stata neppure presentata.
Quanto infine all’ingiustificato arricchimento che il CIPNES trarrebbe, ad
avviso del ricorrente, in virtù dell’acquisto del compendio immobiliare comprendente lo stabilimento, verso il pagamento di un corrispettivo commisurato al prezzo d’acquisto attualizzato del suolo, è appena il caso di rilevare che il trasferimento della proprietà dell’area in favore del Consorzio non fa venir meno l’obbligo di procedere alla demolizione dell’edificio realizzato abusivamente, non comportandone in alcun modo la sanatoria, e non impedendo quindi al Comune di disporne la demolizione o l’acquisizione al proprio patrimonio, come previsto dall’art. 7 della legge n. 47 del 1985.
Il quinto motivo è inammissibile, non avendo il ricorrente alcun interesse ad insistere sulla legittimazione processuale concorrente del commissario giudiziale, la cui esclusione da parte dell’ordinanza impugnata, giustificata peraltro dal principio dianzi richiamato in riferimento alla legittimazione all’impugnazione, non si ripercuote in alcun modo sulla sua posizione processuale, avente carattere autonomo, anche ai fini dell’impugnazione.
Non merita infine accoglimento neppure il sesto motivo, avente ad oggetto l’applicabilità della maggiorazione del 10% prevista dall’art. 37, comma secondo, del d.P.R. n. 327 del 2001 sull’importo liquidato a titolo di prezzo di riacquisto.
Come già detto in precedenza, l’art. 63 della legge n. 448 del 1998, nello attribuire ai consorzi di sviluppo industriale la facoltà di riacquistare la proprietà delle aree cedute, collega la liquidazione dell’indennizzo al prezzo di acquisto attualizzato per le aree inedificate e alla stima del valore venale per gli stabilimenti, disponendo in ogni caso la detrazione dei contributi pubblici attualizzati ricevuti dal proprietario: in quanto giustificati dalle peculiari finalità perseguite dal legislatore attraverso l’introduzione della facoltà di riacquisto, tali criteri, distinti ed autonomi rispetto a quelli dettati per l’espropriazione per pubblica utilità, ne escludono l’applicazione, anche con riguardo alla maggiorazione prevista dal comma secondo dell’art. 37 cit. per l’ipotesi in cui l’indennità offerta risulti inferiore all’80% di quella liquidata in via giudiziale. Tale esclusione non consente in alcun modo di dubitare della legittimità costituzionale della disciplina dettata dall’art. 63 cit., in riferimento agli artt. 3, 42 e 117 Cost., all’art. 6 della CEDU ed all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, essendo rimessa alla discrezionalità del legislatore l’indivi-
duazione dei criteri da applicarsi per la liquidazione dell’indennità dovuta per ciascuna forma di espropriazione, sulla base di un ragionevole bilanciamento tra l’interesse generale sotteso all’espropriazione e il diritto del proprietario ad un’indennità commisurata al valore venale del bene espropriato (cfr. Corte cost., sent. n. 348 del 2007).
12. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 9/10/2024