Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26589 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26589 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 5181-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall ‘ AVV_NOTAIO per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso il DECRETO DEL TRIBUNALE DI PARMA depositato il 26/1/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/1/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
1.1. Il Tribunale di Parma, con decreto del 26.1.2023, ha rigettato l ‘ opposizione ex art. 98 l. fall. proposta dalla RAGIONE_SOCIALE per ottenere l’ammissione allo stato passivo del
Fallimento della RAGIONE_SOCIALE d ell’intero credito (di oltre 4 milioni di euro) insinuato, riconosciuto dal G.D. nella minor misura di € 1.609.726, preteso in ragione della subita evizione del lotto di terreno che, con contratto stipulato il 19.12.2008, la società poi fallita le aveva ceduto in permuta, restando però inadempiente all’obbligo assunto di ottenere entro 60 giorni la cancellazione delle ipoteche iscritte sul bene, in forza delle quali il creditore ipotecario aveva successivamente agito in via esecutiva.
1.2. Il tribunale – rilevato in fatto che, nelle more del giudizio di opposizione, il terreno era stato venduto in sede di esecuzione forzata al prezzo di €. 895.000, 00, oltre IVA, e che pertanto, detratta la somma di €. 260.000,00 necessaria alla cancellazione delle ipoteche, COGNOME aveva ottenuto in restituzione, quale proprietaria del bene, il residuo importo di € 635.000,00 -ha affermato che, essendosi verificata la condizione di cui all ‘ art. 1553 c.c. per effetto dell ‘ evizione totale della cosa, la società doveva essere ammessa allo stato passivo del Fallimento per un credito corrispondente al valore del terreno poi evitto alla data della permuta, maggiorato delle spese, pari ad € 72.740,81 , dalla stessa sostenute e documentate per la progettazione ed esecuzione di opere che non aveva potuto completare a causa dell ‘ inadempimento di RAGIONE_SOCIALE; ha tuttavia ritenuto che detto valore andasse determinato non già nella misura (€ 2.800.000,00) indicata nell’atto di permuta, ma in quella di € 1.865.000,00, che, fra le sei possibili valutazioni di stima prospettate dal consulente tecnico nominato, e alla luce delle osservazioni del consulente di parte del Fallimento, appariva la più corretta, in quanto teneva conto dell’ effettiva superficie unitaria lorda (Slu) dell’area e della relativa potenzialità edificatoria massima come riconosciuta dagli strumenti urbanistici del 2009, in luogo di quella indicata in un
rogito notarile del 2011 assunto dal ctu a elemento di comparazione; ha infine escluso che potessero essere ammessi al passivo gli ulteriori crediti richiesti da COGNOME, l’uno, per € 120.000,00, a titolo di rimborso di una spesa ‘ per l ‘ inghiaiamento del lotto ‘ di cui difettava la necessaria documentazione probatoria, e l’altro, di € 1.200.000,00, a titolo risarcitorio ma in via totalmente generica, ed ha concluso che, detratti i 635.000,00 euro già percepiti, il credito effettivo del l’opponente ammontava ad € 1.302.740,81 (€. 1.865.000,00 + €. 72.740,81 635.000,00) ed era pertanto inferiore a quello già riconosciutole dal G.D.
1.3. RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), con ricorso notificato il 24/2/2023, ha chiesto, per sei motivi, la cassazione del decreto.
1.4. Il Fallimento ha resistito con controricorso.
1.5. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo COGNOME lamenta la nullità dell ‘ ‘ ordinanza ‘ impugnata ( recte : ‘ decreto ‘ impugnato) per omessa motivazione, nonché la violazione degli artt. 1321 ss. e 1372 c.c. e dell ‘ art. 132 n. 4 c.p.c.. Assume che il tribunale, dopo aver dato atto del suo diritto, a norma dell ‘ art. 1553 c.c., ad essere ammessa al passivo per una somma corrispondente al valore del terreno al momento della permuta, non ha indicato le ragioni che l’hanno condotto ad aderire alle osservazioni del consulente di parte del Fallimento e a discostarsi dalle conclusioni del consulente tecnico d ‘ ufficio, che aveva stimato in € 2.435.000,00 il valore dell’area alla data del dicembre 2008 e aveva ribadito la validità di detta conclusione nella propria relazione integrativa; rileva, sotto altro profilo, che il credito avrebbe piuttosto dovuto essere determinato nel valore, di €
2.800.000,00, consensualmente attribuito al lotto nel contratto, sostanzialmente corrispondente al ‘prezzo’ che essa aveva pagato cedendo un proprio terreno alla società poi fallita, perché anche nella permuta, così come nella vendita, il valore del bene evitto non può che essere quello convenuto fra le parti.
2.2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la manifesta illogicità del decreto impugnato, per aver il giudice del merito affermato di condividere la prima delle soluzioni estimative prospettate dal ctu nella relazione integrativa, che però si fondava su un criterio di calcolo (Slu evincibile dal prospetto della variante del 2009 al Piano Urbanistico Attuativo del Comune) indicato nel quesito dallo stesso tribunale e che secondo il ctu era del tutto errato, perché introduceva un elemento di valutazione estraneo al contratto, nel quale le parti avevano determinato il valore del terreno in base a una diversa Slu.
2.3. Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1322, 1553, 1372, 1479 e 1483 c.c., torna a sostenere che il tribunale ha errato nel non riconoscere il suo diritto ad essere ammessa al passivo per un credito corrispondente al valore del terreno evitto dichiarato nell’atto di permuta.
2.4. Con il quarto motivo, che denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 1479 e 1553 c.c. nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., COGNOME, oltre a ribadire che il credito andava quantificato nell’importo di € 2.800.000,00, corrispondente al valore dell’area determinato nel contratto di permuta, lamenta che il tribunale non le abbia riconosciuto i danni subiti per non aver potuto procedere all ‘ edificazione del lotto, acquistato allo scopo, e non aver ricevuto il correlato finanziamento, e per aver sostenuto spese inutili, come quelle di
recinzione e di inghiaiamento del terreno, che, in difetto di una prova documentale specifica, avrebbero dovuto essere liquidati in via equitativa, sulla scorta delle dichiarazioni testimoniali raccolte che ne avevano confermato l’esistenza e, quanto alle spese, anche l’entità.
2.5. Con il quinto motivo la ricorrente ripropone le ragioni di censura già dedotte nei primi tre motivi sotto il profilo della violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..
2.6. I motivi, da trattare congiuntamente, devono essere respinti.
2.7. L ‘ art. 1553 c.c. stabilisce che ‘ il permutante, se ha sofferto l ‘ evizione e non intende riavere la cosa data, ha diritto al valore della cosa evitta, secondo le norme stabilite per la vendita, salvo in ogni caso il risarcimento del danno ‘ e contiene, quindi, una rilevante differenza rispetto a quanto previsto in materia di vendita (le cui norme, benché richiamate, sono applicabili solo in via residuale rispetto): in quest ‘ ultimo contratto il compratore evitto non può che ottenere la restituzione del prezzo che ha versato, oltre al risarcimento del danno (cfr. Cass. n. 18259 del 2015; Cass. n. 17810 del 2019), mentre nella permuta, in ragione del fatto che il contratto ha per oggetto il trasferimento reciproco fra i contraenti della proprietà di cose o di altri diritti, la legge attribuisce al permutante evitto la scelta tra due opzioni alternative (fatto salvo, nell ‘ uno e nell ‘ altro caso, il risarcimento dei danni subiti), e cioè chiedere la risoluzione del contratto e, in conseguenza, ottenere la restituzione della ‘ cosa ‘ da lui data (o, se perita o alienata, il suo controvalore) ovvero (come accaduto nel caso in esame) mantenere fermo il contratto e chiedere il pagamento di una somma (nella specie l’accertamento di un credito da ammettere al passivo) corrispondente al ‘ valore ‘ (effettivo) della cosa
perduta (avuto riguardo alla sua sostanza fisica ed economica, onde assicurare all ‘ evitto né più né meno di quanto ha perduto); valore che, ad onta del richiamo alle norme sulla vendita, non può essere equivalente al corrispettivo ‘ pagato ‘ per essa, costituito piuttosto, e all’evidenza , dal valore attribuito alla cosa ceduta in permuta.
2.8. Il tribunale ha dunque correttamente ritenuto che il credito dell’odierna ricorrente non potesse essere riconosciuto in misura corrispondente al valore che nel contratto di permuta le parti avevano consensualmente attribuito al terreno evitto, ma, ai sensi dell’art. 1553 c.c., andasse determinato in ragione dell’effettivo valore di detto terreno alla data di stipulazione dell’atto.
2.9. Ciò posto, risultano palesemente infondate le censure con le quali la ricorrente denuncia il vizio di omessa o illogica motivazione in ordine al relativo accertamento, avendo il tribunale adeguatamente -ancorché sinteticamente- spiegato le ragioni per le quali, anziché attenersi alle conclusioni della prima ctu (indubbiamente non vincolanti), ha disposto un supplemento di indagine che tenesse conto dei rilievi del consulente di parte opposta e d ha ritenuto che il valore dell’area evitta alla data della permuta andasse stimato secondo il criterio dell’effettiva sua potenzialità edificatoria, desumibile da llo strumento urbanistico all’epoca vigente, anziché sulla scorta del rogito stipulato nel 2011 assunto dal Ctu a elemento di comparazione.
2.10. Le ulteriori doglianze dedotte nei motivi, ivi comprese quelle relative al mancato riconoscimento dei danni risarcibili (da rimborso spese e da lucro cessante) sono invece inammissibili, in quanto volte a contestare, in via del tutto generica, valutazioni in fatto del giudice di merito, non
sindacabili in cassazione se non per il vizio, non invocato e comunque certamente non illustrato, dell ‘ omesso esame di fatti decisivi emergenti dagli atti del giudizio.
2.11. Con il sesto motivo, che denuncia la violazione dell ‘ art. 91 c.p.c., COGNOME lamenta di essere stata condannata al pagamento delle spese del giudizio di merito nonostante il tribunale avesse riconosciuto l ‘erroneità del provvedimento del G.D. (di ammissione del credito di € 1.609.726,00 ‘ pari alla quota parte di ipoteca gravante sugli immobili compravenduti e condizionatamente al mancato pagamento da parte di RAGIONE_SOCIALE ‘) e ritenuto l’opposizione fondata là dove richiedeva la determinazione del credito a i sensi dell’art. 1553 c.c..
2.12. Anche questo motivo deve essere respinto, in quanto il tribunale ha rigettato l’opposizione ed ha dunque correttamente applicato il principio della soccombenza, previsto dall ‘ art. 91, comma 1°, c.p.c., in forza del quale le spese del giudizio sono regolate in ragione del suo esito finale, a prescindere dalle ragioni in fatto e in diritto sottostanti alla decisione assunta, le quali possono, al più, rilevare ai fini di una statuizione di compensazione (la cui mancata adozione, peraltro, non è sindacabile in sede di legittimità: Cass. n. 8421 del 2017; Cass. n. 24502 del 2017).
Anche le spese del presente giudizio (ivi comprese quelle relative al procedimento di cui all’art. 373 c.p.c. promosso da COGNOME e definito con un provvedimento destinato ad essere assorbito all’esito del giudizio di legittimità: cfr. Cass. n. 16121 del 2011) seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
La Corte dà atto, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della
ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al Fallimento controricorrente le spese del giudizio, che liquida nella somma di €. 12.200,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima