Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6638 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6638 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13995/2021 R.G. proposto da
NOME COGNOME , elettivamente domiciliato in TEANO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore e domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
Oggetto:
Contratti
bancari
–
Mutuo
–
Garanzia – Pegno titoli
R.G.N. 13995/2021
Ud. 26/02/2025 CC
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 1098/2021 depositata il 23/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 26/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 1098/2021, pubblicata in data 23 marzo 2021, la Corte d’appello di Napoli, nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE ha respinto il gravame proposto da COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di S. Maria Capua Vetere n. 1854/2017, pubblicata in data 7 giugno 2017.
COGNOME COGNOME aveva convenuto la Banca Popolare di Ancona al fine di ottenere la restituzione della somma di € 32.229,40, pari al controvalore dei titoli concessi in pegno all’istituto di credito a garanzia di un finanziamento -e che lo stesso attore deduceva non essere mai stato erogato – oltre al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali ed alla cancellazione della segnalazione dalla CRI.
Costituitasi regolarmente la banca convenuta, chiedendo non solo il rigetto dell’avversa domanda ma anche, in via riconvenzionale, la condanna dello stesso COGNOME al pagamento della somma di € 1.553,65, a saldo del mancato rimborso del finanziamento oggetto di causa, il Tribunale, all’esito dell’istruttoria, aveva respinto la domanda principale ed accolto quella riconvenzionale dell’istituto di credito, sul rilievo che vi era in atti una dichiarazione dello stesso COGNOME, da cui emergeva con valore confessorio, che il prestito era stato in effetti erogato dalla banca.
Proposto appello da RAGIONE_SOCIALE e costituitasi RAGIONE_SOCIALE, quale incorporante di Banca Popolare di Ancona, la Corte d’appello di Napoli ha preliminarmente disatteso la richiesta di sospensione del giudizio, formulata dall’appellante in relazione alla querela di falso proposta innanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere al fine di ottenere declaratoria di falsità della copia del contratto di finanziamento prodotta dalla Banca nel corso del giudizio di primo grado.
Tale istanza è stata disattesa da Corte, osservando che l’eventuale alterazione nella sola copia conservata dalla banca, inerente le modalità di erogazione del finanziamento, non risultava rilevante ai fini di causa in quanto, anche tenendo conto della sola copia del contratto in possesso dello stesso appellante, non poteva escludersi le parti avessero modificato l’originario accordo, anche solo verbalmente, essendo possibile per l’appellata provare che la somma di denaro era stata materialmente erogata con modalità diverse da quelle previste al momento dell’accettazione della richiesta di finanziamento.
Esaminando, poi, i motivi di gravame, la Corte territoriale ha disatteso:
-il motivo con il quale veniva dedotta la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dell’altro soggetto che aveva sottoscritto il contratto di finanziamento quale litisconsorte necessario, in quanto la Corte ha osservato che oggetto del giudizio era l’accertamento della illegittimità della vendita dei titoli costituiti in pegno dall’appellante, rispetto al quale l’avvenuta erogazione del finanziamento costituiva antecedente logico giuridico non idoneo a determinare una ipotesi di litisconsorzio necessario;
-il motivo con il quale veniva censurata la decisione di prime cure per aver ravvisato valore confessorio in una comunicazione inviata dall’appellante alla Banca, in quanto la Corte ha osservato che l’esame complessivo della comunicazione -nella quale si contestava l’addebito degli interessi del finanziamento al solo appellante a non anche all’altro soggetto che aveva sottoscritto il finanziamento evidenziava, per contro, un valore confessorio, essendo sufficiente, ai fini della sussistenza dell’ animus confitendi , la consapevolezza del dichiarante riguardo la verità dei fatti a sé sfavorevoli e favorevoli all’altra parte, fermo restando che l’erogazione del prestito veniva ad emergere dal complessivo quadro probatorio e da altri documenti;
-il motivo con il quale veniva censurata la decisione di prime cure per non aver rilevato l’ammissione dell’appellata di aver percepito, quale controvalore del pegno, una maggior somma, risultando quindi non dovuto null’altro a titolo di rimborso del prestito e interessi.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli ricorre NOME.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE quale incorporante di RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
La controricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a sei motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 101, 102, 107, 354 c.p.c.; 1831 segg. c.c.
Si impugna la decisione della Corte partenopea per avere la stessa escluso la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dell’altro soggetto che aveva sottoscritto il contratto di finanziamento.
Si deduce, per contro, la veste di litisconsorte necessario del terzo, vertendo il giudizio su un accertamento di natura inscindibile, atteso che gli accertamenti e i successivi effetti della sentenza si rifletterebbero anche sul terzo
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 12 e 2735 c.c.; 116 e 132 n. 4 c.p.c.
Il ricorrente censura la decisione impugnata per aver ravvisato carattere confessorio nella comunicazione da esso inviata alla Banca, argomentando nel senso che tale comunicazione non conteneva alcuna ammissione all’avvenuta erogazione del finanziamento ma mirava semplicemente ad ‘evitare ‘equivoci contabili’ a carico’ del medesimo ricorrente.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 12 e 2732 c.c.; 116 e 132 n. 4 c.p.c.
Si censura la decisione impugnata nella parte in cui la stessa avrebbe respinto ‘la richiesta di revoca/invalidazione della lettera del 25.10.2010 a firma di NOME COGNOME‘ ex art. 2732 c.c.
Si argomenta che con tale richiesta era stato dedotto che la dichiarazione non era stata resa con animus confitendi ‘in quanto il suo unico scopo, come detto, era solo quello di evitare ‘equivoci contabili’ sulla base di quanto motivato’ indicando anche le risultanze
documentali dalle quali sarebbe dovuto emergere che il finanziamento non era mai materialmente avvenuto, essendo il ricorrente stato tratto in errore.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 115, 132, 215, 216 c.p.c.; 2697 c.c.
Il ricorrente censura la decisione impugnata per avere la stessa attribuito rilevanza alle contabili dell’erogazione per cassa del prestito nonché alla circostanza del pagamento in proprio dell’imposta e spese di istruttoria e, infine al contestuale bonifico effettuato dal ricorrente e dall’altro soggetto che ha sottoscritto il finanziamento in favore di una società terza.
Argomenta, in particolare, il ricorso che:
-sia il contratto sia altri documenti erano stati oggetto di disconoscimento;
-il bonifico effettuato alla società terza non avrebbe valenza probatoria;
-la Corte d’appello non avrebbe dato ‘contezza delle ragioni di fatto, di diritto e giuridiche sottese a tale capo/punto della decisione’ .
1.5. Con il quinto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 117 TUB; 1350 e 2697 c.c.; 115; 116 e 132 n. 4 c.p.c.
Si censura la decisione impugnata per avere la stessa ritenuto possibile la modifica dell’originario contratto con accordi verbali, deducendo che tale modifica risulta preclusa dal disposto di cui all’art. 117 TUB.
1.6. Con il sesto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c.; 115, 116 e 132 n. 4 c.p.c.
Il ricorrente, infine, censura la decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha confermato la decisione di primo grado di accoglimento della domanda riconvenzionale della Banca, ritenendo non contestati i conteggi da quest’ultima prodotti.
Deduce che, avendo contestato sin dall’inizio l’erogazione della somma, non vi era necessità di contestare conteggi ‘i cui calcoli/operazioni, sono completamente ininfluenti ai fini delle pretese dell’appellante, non essendo in discussione un diverso conteggio o una diversa operazione contabile di dare/avere dalla quale conseguirebbe una somma diversa da quella pretesa’ .
Il ricorso, nel suo complesso, non merita accoglimento.
2.1. Quanto al primo motivo, si osserva che correttamente è stata esclusa dalla Corte territoriale la sussistenza di una ipotesi di litisconsorzio necessario con l’altro soggetto che aveva sottoscritto il contratto di finanziamento.
Il carattere solidale dell’obbligazione in tal modo contratta, infatti, comportava -e comporta -l ‘applicazione dell’art. 1306 c.c., che esclude l’efficacia nei confronti del coobbligato solidale della sentenza pronunciata nei confronti di altro coobbligato, con conseguente insussistenza di un rapporto di pregiudizialità-dipendenza e del rischio di conflitto di giudicati (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 6982 del 09/03/2023; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 23422 del 17/11/2016).
2.2. L’inammissibilità del secondo motivo, invece, discende da una duplice considerazione.
La prima considerazione è che il motivo non si confronta con la ratio decidendi alternativa evidenziata nella sentenza impugnata,
nella parte in cui la stessa ha ritenuto che, al di là della dichiarazione ritenuta confessoria, l’effettiva erogazione del finanziamento emergesse dal complessivo quadro probatorio in atti.
Tale ratio , in realtà, viene impugnata nel quarto motivo di ricorso ma, come ci si appresta a vedere, tale censura è da ritenersi inammissibile.
La seconda considerazione è costituita dal fatto che le censure del ricorrente vengono nella sostanza ad appuntarsi sulla valutazione della Corte territoriale in ordine alla presenza di un contenuto confessorio della comunicazione proveniente dal ricorrente medesimo, e cioè ad un accertamento che, per costante orientamento di questa Corte, non risulta sindacabile in sede di legittimità, non essendo soggetto a vaglio di legittimità – se non nei limiti in cui è contestabile il vizio di motivazione -il prodotto dell’attività interpretativa col quale il giudice di merito giunge ad attribuire alla dichiarazione di una parte un contenuto confessorio (Cass. Sez. 2 Ordinanza n. 2048 del 24/01/2019; Cass. Sez. L, Sentenza n. 3524 del 12/06/1985; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1428 del 04/04/1980; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1427 del 17/05/1974; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 897 del 24/03/1972; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 25 del 05/01/1972; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1218 del 20/04/1968; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2239 del 02/10/1967; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 827 del 28/03/1966).
Vizio di motivazione che -va puntualizzato -nell’attuale sistema, caratterizzato dalla rinnovata formulazione dell’art. 360, n. 5), c.p.c., può essere dedotto unicamente -ex art. 360, n. 4), c.p.c. – nella forma di anomalia motivazionale che si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esaurendosi detta anomalia nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale
e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, e risultando invece esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022).
Vizi, questi, che, nonostante il ricorrente deduca -peraltro in modo del tutto generico ed apodittico la violazione dell’art. 132 c.p.c., non sono ravvisabili nella motivazione della decisione impugnata, la quale espone il proprio percorso argomentativo in modo sintetico ma comunque completo, univoco, comprensibile ed immune da affermazioni reciprocamente inconciliabili.
2.3. Inammissibile è anche il terzo mezzo, in quanto lo stesso, non solo risulta del tutto privo di specificità ex art. 366 c.p.c. -non essendo neppure dedotta in modo puntuale la concreta ipotesi di errore di fatto di cui all’art. 2732 c.c. ma si caratterizza per una costante -ed inammissibile -mescolanza con profili in fatto, sottratti al sindacato di legittimità.
A tale constatazione si somma quella, ulteriore, dell ‘assenza di adeguata impugnazione della già richiamata ratio decidendi alternativa riferita alla presenza di altri elementi probatori in ordine alla erogazione del finanziamento.
2.4. Il quarto mezzo -che, in teoria, verrebbe a censurare la seconda ratio della decisione impugnata -è, tuttavia, inammissibile, rendendo di riflesso ulteriormente inammissibili il secondo e terzo motivo di ricorso (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012; Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 11493 del 11/05/2018; Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 22753 del 03/11/2011; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12372 del 24/05/2006).
Il motivo di ricorso, invero, risulta assolutamente difforme dal canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c. , al punto che, dalla lettura dello stesso, non è possibile evincere in modo chiaro il contenuto esatto del dedotto disconoscimento, descritto come contestazione della ‘riferibilità al LA COGNOME RAGIONE_SOCIALE. dei documenti di cui all’allegato 2 e della loro veridicità’ , formula che preclude la possibilità di comprendere se ad essere disconosciuta fosse la sottoscrizione di eventuali documenti a firma del ricorrente o se il disconoscimento concernesse il contenuto in sé dei documenti medesimi.
Alla carenza in tal modo evidenziata si sommano poi i profili di inammissibilità delle ulteriori deduzioni formulate dal ricorrente, dal momento che la contestazione sulla valenza probatoria del bonifico erogato alla società terza si traduce in un -inammissibile – sindacato sulla valutazione delle prove da parte del giudice del merito ed a quest’ultimo riservata e che il ricorso non sembra censurare -ipotizzando per inconcessum che ciò potesse essere ammissibile -la valutazione gli altri elementi probatori valorizzati dalla Corte d’appello , come pagamento in proprio dell’imposta e delle spese di istruttoria.
Altrettanto prive di pregio sono le anodine censure riferite al carattere apparente della motivazione della decisione impugnata: la motivazione risulta invero del tutto conforme al minimo costituzionale mentre le censure del ricorrente si sostanziano nel tentativo di conseguire un sindacato sul merito della decisione medesima.
Si deve, allora, ribadire il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio
miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
2.5. Il quinto motivo, invece, viene a censurare un’affermazione della decisione impugnata che non sorregge la statuizione di merito assunta dalla Corte d’appello, ma unicamente il rigetto dell’istanza di sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c. che era stata formulata dal ricorrente in relazione alla querela di falso promossa con separato giudizio.
Ne consegue, allora, che le censure del ricorrente avrebbero dovuto essere indirizzate nei confronti di tale ultima statuizione e non all’indirizzo di un’asserzione della Corte territoriale che non risulta minimamente funzionale rispetto alla decisione nel merito, con la conseguenza che, anche ipotizzando l’erroneità dell’affermazione medesima, ciò non varrebbe in ogni caso a travolgere la decisione.
2.6. Quanto, infine, al sesto motivo, va in primo luogo rammentato che spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte, la quale, ex art. 115 c.p.c., produce l’effetto della relevatio ab onere probandi (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 3680 del 07/02/2019), in quanto tale apprezzamento esige l’interpretazione del contenuto e
dell’ampiezza della domanda e delle deduzioni delle parti da ciò derivando che l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione risulta sindacabile in cassazione solo per solo per difetto assoluto o apparenza di motivazione o per manifesta illogicità della stessa (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019; Cass. Sez. L, Sentenza n. 10182 del 03/05/2007).
L’inammissibilità del motivo discende, quindi, dal fatto che lo stesso viene a sindacare in sede di legittimità una valutazione riservata al giudice di merito, dovendosi, del resto, osservare che -a conferma di quanto appena rilevato -l’intero contenuto del motivo si presenta caratterizzato da un continuo -ed inammissibile -riferimento a profili in fatto.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 4.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima