Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3535 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3535 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
Oggetto: Occupazione terreni non seguita da espropriazione – Risarcimento danni – Indennità di occupazione legittima – Criteri
R.G.N. 16703/2021
Ud. 31/01/2025 CC
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16703/2021 R.G. proposto
da
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME , studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo difesi dall’avvocato NOME
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI COGNOME
– intimato –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO LECCE n. 1232/2020 depositata il 21/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 31/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 1232/2020, pubblicata in data 21 dicembre 2020 , la Corte d’appello di Lecce, nella regolare costituzione dell’appellato COMUNE DI COGNOME, ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Brindisi n. 2224/2015, pubblicata in data 30 dicembre 2015, la quale aveva determinato le somme dovute dal COMUNE agli stessi NOME COGNOME e NOME COGNOME sia a titolo di risarcimento danni sia a titolo di indennità di occupazione legittima, dopo che gli odierni ricorrenti avevano agito lamentando l’illegittimità dell’occupazione realizzata dal COMUNE su terreni di loro proprietà per la realizzazione di insediamenti di edilizia ma alla quale non avevano fatto seguito formali provvedimenti traslativi della proprietà.
Decidendo sul gravame col quale gli odierni ricorrenti censuravano la liquidazione dei danni operata dal giudice di prime cure per essere la stessa ancorata al mero valore agricolo dei terreni, la Corte d’appello ha disatteso il gravame, ritenendo corre tto il criterio di liquidazione adottato dal giudice di prime cure sulla scorta della seconda consulenza tecnica da esso disposta.
La Corte territoriale, infatti, ha ritenuto che correttamente fosse stato assunto come base il valore agricolo dei terreni sulla scorta della destinazione urbanistica, dovendosi ricondurre il riconoscimento dell’edificabilità esclusivamente alla classificazione urbanistica e non ad
altri parametri ed avendo il CTU accertato che i terreni in questione rientravano in aree destinate a zona agricola speciale per la localizzazione di attrezzature collettive sociali oppure a parco attrezzato urbano, con conseguente possibilità di interventi di edificazione esclusivamente da parte della pubblica amministrazione e preclusione invece per i privati di qualsiasi intervento edificatorio.
La Corte d’appello, poi, ha negato rilevanza alle deduzioni degli appellanti riferite alla particolare collocazione di pregio ambientale e naturalistico dei terreni, essendo tali caratteri derivati dalla realizzazione di opere pubbliche e risultando condivisibile la considerazione svolta dal consulente tecnico per cui la posizione urbanistica di notevole pregio ambientale e naturalistico non incideva necessariamente automaticamente in senso positivo sul valore venale del bene, potendo comportare vincoli e limitazioni alla proprietà privata che, lungi dall’aumentarne il valore di scambio, venivano a ridurne l’interesse sul mercato.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Lecce ricorrono NOME COGNOME e NOME COGNOME
È rimasto intimato il COMUNE DI VILLA COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’unico, articolato, motivo di ricorso è rubricato, testualmente: ‘Violazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento dei danni da occupazione usurpativa o acquisitiva.
Violazione e falsa applicazione del T.U. sull’espropriazione, n.327/01, artt.32 e 40. Violazione della L.359/1992. Violazione della L.25 giugno 1865, n.2359, art.39.
Violazione della L.1150/1942, del D.M.2/4/1968 n.1444, nonché delle norme di cui agli artt. 2043, 2056 e 1223 cod.civ. Violazione L.R. Puglia n.3/2005. Violazione art. 1 primo protocollo della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nonché delle sentenze della Corte Costituzionale n. 348 del 2007 e n. 181 del 2011; violazione dell’art. 5 bis D.L.333/1992 e degli artt. 32 e 37 dpr 327/01 in relazione all’art. 117 Cost.
Erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (Art.360 n.ri 3 4 e 5 cpc con riferimento all’art.360 bis e 366 cpc)
Il ricorso, nel censurare la decisione impugnata, argomenta che la stessa:
-avrebbe erroneamente assunto come base di calcolo del risarcimento dei danni e dell’indennità da occupazione il mero valore agricolo dei terreni, anziché l’integrale valore di mercato degli stessi, ponendosi in contrasto con il criterio dettato dall’art. 32, D. Lgs. n. 327/2001 per l’indennità di espropriazione ma mutuabile anche per il risarcimento dei danni da occupazione;
-avrebbe omesso di adottare un corretto criterio comparativo ed anzi avrebbe ‘ scelto, quale termine di comparazione delle realtà assolutamente lontane e incommensurabili ‘ ;
-avrebbe omesso di tenere conto dell’attitudine ad uno sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo dei terreni per cui è causa, sebbene gli stessi, pur se non edificabili,
presentino possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria;
-avrebbe omesso di valutare la disciplina speciale in tema di edificabilità dettata dall’art. 19, L.R. Puglia n. 3/2005;
-avrebbe acriticamente fatto proprie le conclusioni della seconda consulenza tecnica d’ufficio, senza valutare le critiche mosse a tale relazione dal consulente di parte e senza quindi argomentare le ragioni della scelta del valore agricolo;
-avrebbe omesso di riconoscere gli interessi compensativi sulle somme dovute a titolo di risarcimento dei danni.
Il ricorso, nel complesso delle sue plurime deduzioni, è inammissibile.
2.1. In primo luogo, infatti, il ricorso risulta gravemente carente sul piano del rispetto della regola di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., in quanto si diffonde nel richiamo generico ad atti e documenti di causa senza provvedere alla loro minima riproduzione o localizzazione negli atti di causa: è così -solo per fare qualche esempio – per quanto attiene per il precedente giudicato del Tribunale di Brindisi ed è così, soprattutto, per la censura riferita al mancato esame dei rilievi mossi dal CTP al la CTU, in quanto, a tacer d’ ogni altra considerazione, tali rilievi non sono minimamente riprodotti.
2.2. Parimenti inammissibile è la censura di ‘e rronea, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ‘ , la quale, nel fondere e confondere le due diverse formulazioni dell’art. 360, n. 5), c.p.c. succedutesi nell’anno 2012, non tiene minimo conto del principio, enunciato da questa Corte a Sezioni Unite, per cui la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con Legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni
ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esaurendosi detta anomalia nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, e risultando invece esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022) così come esula dal vizio di violazione di legge la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti , implicante un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito.
Orbene, premesso che, essendo stato instaurato il giudizio di appello nel 2016, la censura ex art. 360, n. 5), c.p.c. sarebbe preclusa dal disposto di cui all’art. 348 -ter c.p.c., dal momento che la decisione della Corte d’Appello non risulta in alcun modo essersi distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado, né parte ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014), si può osservare ulteriormente che, anche a voler ipotizzare che parte ricorrente intendesse dedurre un difetto assoluto di motivazione -peraltro ormai riconducibile agli artt. 360, n. 4) e 132, n. 4), c.p.c. – che nessuna di
dette carenze estreme risulta ravvisabile nella motivazione della decisione impugnata, la quale espone il proprio percorso argomentativo in modo sintetico ma comunque completo, univoco, comprensibile ed immune da affermazioni reciprocamente inconciliabili -avendo in particolare pienamente esplicitato le ragioni per cui ha ritenuto di aderire alla seconda consulenza tecnica d’ufficio , cui peraltro aveva aderito già il giudice di prime cure – di talché risulta inevitabile constatare che le doglianze del ricorrente si sostanziano in una critica del merito della decisione.
2.3. Quanto alla deduzione di violazione o falsa applicazione di una serie ridondante di disposizioni di legge -ed in disparte la considerazione per cui l’art. 19, comma 2, L.R. Puglia 22 febbraio 2005, n. 3 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo (Corte Costituzionale, 13.5.2022, n. 120), risultando quindi inapplicabile (Cass. Sez. 1 – , Sentenza n. 36309 del 13/12/2022) – si deve rammentare che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Nel concreto, il ricorso, dopo un diffuso richiamo ad una cospicua serie di fonti normative ed ai principi enunciati da questa Corte, omette poi nel concreto di individuare sotto quale profilo la decisione impugnata verrebbe ad integrare un inadeguato governo delle norme stesse -peraltro in gran parte solo richiamate -sostanziando le proprie critiche -sostanzialmente riprodotte anche nella memoria ex art. 380bis .1 c.p.c. – in una mera censura dell ‘individuazione del valore attribuibile ai terreni per cui è causa da parte della Corte territoriale, cui -ed è dato eloquente -viene reiteratamente imputato di avere ‘omesso’ la valutazione di pr ofili meramente fattuali, a conferma indiretta del fatto che le censure di parte ricorrente non attengono al profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto.
2.4. È solo per completezza, allora, che si deve rammentare che, se è pur vero che questa Corte ha reiteratamente affermato il principio per cui la determinazione dell’indennizzo, nell’individuare il valore di mercato dei terreni, deve tenere conto anche degli usi ‘intermedi’ di un suolo urbanisticamente non edificabile (Cass Sez. U – Sentenza n. 7454 del 19/03/2020; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 27960 del 04/10/2023; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 6527 del 06/03/2019), è
tuttavia parimenti vero che il compito di individuare tale possibilità di utilizzazione intermedia costituisce apprezzamento in fatto rimesso al giudice di merito e che tale apprezzamento, ove motivato -come nel caso di specie – non è sindacabile in sede di legittimità se non nei ristretti limiti ora consentiti dall’art. 360, n. 5), c.p.c.
Nella specie, la Corte, con adeguata motivazione e basandosi peraltro sulle risultanze di una consulenza tecnica, è giunta ad escludere la concreta possibilità di impiego intermedio dei terreni e quindi, di riflesso, a determinarne il valore secondo il parametro dei terreni agricoli quale corretto valore di mercato, dal che deriva l’inammissibilità delle censure rivolte dai ricorrenti a tale accertamento.
2.5. Quanto alla doglianza riferita al mancato riconoscimento degli interessi compensativi , l’inammissibilità della stessa discende in ogni caso dalla constatazione del fatto che la Corte territoriale ha meramente confermato la liquidazione operata dal giudice di prime cure, con la conseguenza che sarebbe stato onere della parte ricorrente quello di dedurre il profilo tramite la formulazione di un motivo di appello che invece non risulta essere stato proposto né sulla scorta della decisione impugnata né sulla scorta dello stesso ricorso.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.
Nulla sulle spese, essendo rimasto il COMUNE DI COGNOME intimato.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause
originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima