Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 30404 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 30404 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18427/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 4429/2019 depositata il 07/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.Il ricorso riguarda la decisione con cui la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza resa dal locale Tribunale che ha respinto l’opposizione proposta da NOME COGNOME contro il decreto ingiuntivo con cui RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto il pagamento della somma di euro 39.370,78 € quale saldo debitore del rapporto di finanziamento intercorrente tra le parti. In particolare l’opponente aveva eccepito: (a) la illegittimità della decadenza dal beneficio del termine operata da RAGIONE_SOCIALE; (b) la usurarietà del tasso di interesse corrispettivo richiesto e applicato da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, con condanna alla restituzione dell’indebito versato; (c) la illegittimità degli interessi di mora applicati.
2.- Il Tribunale, all’esito della CTU contabile sul tasso di interesse applicato al contratto in questione, aveva ritenuto infondate le ragioni di opposizione.
3.- La Corte d’appello ha confermato la sentenza osservando: (a) quanto all’accertamento dell’usurarietà del tasso soglia convenuto, che lo stesso opponente aveva fatto riferimento ad un contratto di prestito stipulato il giorno 30.4.2010 -circostanza risultata incontestata all’esito del contraddittorio tra le parti, tanto che lo stesso quesito peritale era stato formulato sul presupposto che il contratto di finanziamento fosse stato concluso in detta data -e che in quel momento il tasso soglia di usura non risultava superato alla luce delle istruzioni della Banca d’Italia e tenuto conto dei decreti ministeriali applicabili; mentre la data del 5.5.2010 -corrispondente al momento dell’erogazione della somma concessa in finanziamento -era stata tardivamente indicata ed invocata dall’opponente solo all’udienza successiva al deposito della CTU quale data di effettiva conclusione del contratto alla quale la soglia di usura sarebbe risultata superata; che, di conseguenza, stante la
tardività della allegazione in punto e il principio di non contestazione (art. 115 c.p.c.), risultava superflua l’indagine sulla data di erogazione della somma quale data di effettiva conclusione del contratto, tanto più stante la giurisprudenza di legittimità in materia di usura sopravvenuta per cui è irrilevante ai fini della liceità delle clausole sugli interessi l’eventuale superamento del tasso soglia in un momento successivo alla pattuizione; che, per le stesse ragioni risultava inconferente la dissertazione dell’opponente/appellante sulla rilevabilità d’ufficio della pattuizione di interessi usurari, non discutendosi nella fattispecie della tempestività dell’eccezione di usura ma della tempestiva allegazione dei fatti rilevanti ai fini del corretto inquadramento del thema decidendum (superamento della soglia di usura) e del fatto costitutivo relativo alla data di conclusione del contratto di prestito al fine della verifica dell’usurarietà dal TAEG, allegato dallo stesso mutuatario sin dall’introduzione della domanda nel 30.4.2010; (b) quanto alla pretesa usurarietà degli interessi di mora, convenuti con clausola c.d. di salvaguardia, che, a prescindere dal fatto se la clausola in oggetto, quale clausola penale, richieda doppia sottoscrizione ai sensi dell’articolo 1341 c.c., detta clausola risultava specificamente approvata dall’opponente per iscritto; che, avendo il sig. COGNOME dichiarato esplicitamente di essere un professionista, era irrilevante la questione della applicabilità nella caso di specie della disciplina a tutela del consumatore; che con la convenzione di «salvaguardia» (che impedisce l’applicazione al contratto di interessi di mora usurari, andando convenzionalmente a sostituire il tasso soglia al tasso convenuto tra le parti in caso di superamento originario o sopravvenuto della soglia di usura), le parti avevano espressamente pattuito ex ante di non superare mai il tasso soglia, tanto è vero che RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non aveva percepito interessi usurari come accertato dalla CTU ed esplicitato anche dal giudice di prime cure; (c) quanto alla decadenza dal beneficio del
termine, che era irrilevante la presunta mancata dimostrazione da parte dell’opposto delle circostanze di fatto alle quali l’articolo 1186 c.c. subordina la decadenza dal beneficio del termine avendo le parti pattuito espressamente quali queste fossero nell’art. 23 delle condizioni generali di contratto e che era risultato infondato l’assunto circa la mancata dimostrazione da parte di RAGIONE_SOCIALE della trasmissione della lettera di decadenza.
3.- Avverso detta sentenza ha proposto ricorso il sig. NOME COGNOME affidandolo a tre motivi di cassazione. Ha resistito, con controricorso RAGIONE_SOCIALE Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 1421 c.c., dell’art. 115 c.p.c., degli artt. 2697, 1326, 1327 e 1335 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. poiché la Corte d’Appello avrebbe erroneamente respinto l’eccezione di usurarietà del finanziamento. In particolare deduce il ricorrente che (i) l’eccezione d’usura dei tassi formulata e documentata nel corso del primo grado di giudizio, non poteva essere giudicata né tardiva né irrilevante, poiché la pattuizione di interessi usurari è sempre rilevabile d’ufficio, ancorché riguardi la nullità di singole clausole del contratto ed anche per ragioni diverse da quelle evidenziate dalle parti ed esulanti dal thema decidendum dalle stesse fissato, inconferenti essendo i principi della domanda e del contraddittorio; (ii) erroneo, perciò, sarebbe il richiamo compiuto nella fattispecie al principio di non contestazione di cui all’articolo 115 c.p.c., poiché il fatto non contestato è superabile da prove in senso contrario non vincolando il convincimento del giudice che deve decidere valutando le prove secondo il suo prudente apprezzamento; (iii) nella specie la prova che il contratto di finanziamento fosse stato concluso in una data diversa (il 5.5.2010) era documentale ed acquisita al processo già in fase monitoria (si invoca il contenuto
del doc. 3 del fascicolo monitorio relativo al modulo di richiesta di finanziamento sottoscritto il 30.4.2010); quindi la Corte di merito avrebbe disatteso il contenuto di documenti già acquisiti violando sia l’articolo 2697 c.c. che gli articoli 1326, 1327, 1335 c.c. in tema di individuazione del momento di perfezionamento del contratto ed avrebbe erroneamente richiamato l’insegnamento della Suprema Corte in tema di usura sopravvenuta, non trattandosi nella specie di usura sopravvenuta ma di usura sorta all’atto della stipula del contratto.
1.1Il motivo è inammissibile. La Corte d’Appello, infatti, come già il giudice di primo grado, ha motivato il rigetto dell’eccezione relativa al superamento del tasso soglia sulla base di un accertamento in fatto circa la data del 30.4.2010 quale data in cui era avvenuta la pattuizione degli interessi, alla luce delle allegazioni «in fatto» poste tempestivamente a fondamento della stessa; da un lato quindi il motivo di gravame è inammissibile perché, attraverso l’improprio richiamo all’art. 2967 c.c. degrada in una pretesa di sottoporre al giudice di legittimità il riesame del materiale probatorio acquisito con riguardo all’accertamento del momento in cui il contratto è stato stipulato ed è stato quindi «pattuito» l’interesse dovuto dal mutuatario, apprezzamento in fatto che rientra nella discrezionalità del giudice di merito laddove sorretto da idonea motivazione, come avvenuto nel caso di specie, ed insindacabile ove il ricorrente non censuri il malgoverno dei criteri distribuzione dell’onere della prova ovvero del regime legale delle prove considerate; né coglie la ratio decidendi conseguente, dal momento che la Corte -correttamente -osserva che, così identificato il momento di pattuizione degli interessi, irrilevante doveva ritenersi il fatto che -in un momento successivo (ovvero quello dell’erogazione della somma quale dedotto momento di effettiva conclusione del contratto) il tasso già convenuto fosse divenuto superiore al tasso soglia, stante la irrilevanza della c.d.
usura sopravvenuta; è noto infatti che l’art. 1815, comma 2, c.c., come riformulato dall’art. 4, l. n. 108/1996, dispone che «se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi», invero il legislatore, con il d.l. 29.12.2000, n. 394 (c.d. Decreto ‘salva banche’), convertito, con modificazioni, in l. 28.2.2001, n. 24, ‘Interpretazione autentica della L. 7.3.1996, n. 108, recante disposizioni in materia di usura’, ha stabilito, in chiave di interpretazione autentica, che «ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815 c.c., 2° comma, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento» (art. 1, comma 1, d.l. n. 394/2000, convertito in l. n. 24/2001); pertanto soltanto in caso di interessi «originariamente» usurari trova applicazione la sanzione civilistica di nullità (art. 1815, comma 2, c.c.) prevista dalla normativa antiusura, oltre alla sanzione penale; l’usura originaria costituisce dunque un vizio genetico del contratto (non configurabile ex post (c.d. usura sopravvenuta), da verificare esclusivamente al momento dell’insorgenza del vincolo contrattuale (come si deduce dalla chiara formulazione della norma che parla di «convenuti interessi usurari», (art. 1815, comma 2, c.c.).
In tal senso si è consolidata la giurisprudenza di legittimità (v. per tutte Cass. n. 24743/2023, seguita da numerose pronunce, da ultimo Cass. n. 18013/024) dopo l’arresto delle Sezioni Unite per cui «nei contratti di mutuo, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per
un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto» (Cass. Sez. Un. 24675/2017). In definitiva la clausola contrattuale è illecita e viola l’art. 644 c.p. se il tasso supera la soglia di legge nel momento della sua «pattuizione», ma non può diventarlo per effetto di una sopravvenienza successiva.
2.Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 2, comma 4 Legge n. 108/96, dell’art. 644 c.p., de gli artt. 1815, comma 2, 1344 e 1341 c.c. e dell’art. 33, comma 2 , lett. f) del Codice del Consumo, nonché dell’art. 1384 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.
Il ricorrente con tale motivo si duole (i) che la sentenza abbia respinto l’eccezione di usurarietà dell’interesse di mora ritenendolo oggetto di una clausola legittima, la n. 22 del contratto, che prevede a carico del cliente, in caso di mancato inesatto o ritardato a pagamento, l’applicazione di interessi di mora nella misura dell’1,5% mensile, restando «inteso che, se al momento della conclusione del contratto, tale tasso fosse superiore a quello determinato ex art. 2 L. 108/96 e successive modifiche, il tasso effettivamente convenuto sarà quello corrispondente al tasso soglia così come determinato ai sensi della legge»; osserva il ricorrente che la legge vieta interessi usurari tanto corrispettivi che di mora, con conseguente nullità originaria della clausola, sicché la Corte, respingendo l’opposizione a l decreto ingiuntivo portante la richiesta di pagamento di interessi moratori usurari avrebbe violato le norme invocate; né la clausola di salvaguardia predetta sarebbe stata applicata da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE avendo la società sempre preteso l’interesse di mora usurario anziché quello inferiore o corrispondente al tasso soglia, mentre la Corte d’Appello si sarebbe
limitata ad affermare che il patto sugli interessi di mora è legittimo perché c’è la clausola di salvaguardia, sbagliando, altresì, nell’affermare «che RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non ha percepito interessi usurari» perché, affinché la clausola sia nulla, non è necessario che il mutuante abbia effettivamente percepito interessi usurari, ma è sufficiente che sussista una pattuizione in tal senso; (ii) che la Corte d’appello abbia errato anche a proposito della specifica approvazione della clausola predetta, in quanto nella fattispecie il prestito sarebbe stato utilizzato dal cliente per estinguere un finanziamento personale a lui concesso dalla stessa RAGIONE_SOCIALE, agendo dunque quale consumatore, circostanza sulla quale la sentenza avrebbe sorvolato, violando le norme in materia, alla luce delle quali la clausola «penale», di cui al predetto articolo 22, si presume nulla fino a prova contraria a prescindere dal fatto che sia stata o meno specificamente approvata per iscritto, a meno che non sia fornita la prova di specifica trattativa sulla stessa; in ogni caso avrebbe errato anche a ritenere sussistente nella specie la specifica approvazione, poiché al sig. COGNOME erano state fatte sottoscrivere 23 clausole contrattuali «in blocco»; (iii) che la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere che non vi fosse spazio per intervenire e ridurre equamente la penale, violando l’articolo 1384 c.c. che prevede la possibilità del giudice di intervenire anche d’ufficio in proposito (fermo il fatto che l’opponente aveva sostenuto che il tasso era esorbitante e che il Tribunale avrebbe potuto e dovuto esercitare il potere che la norma predetta gli conferisce riducendo il tasso degli interessi).
2.1- Il motivo, che, come visto, si articola, in realtà, in plurime diverse doglianze, è inammissibile perché anche in questo caso il ricorrente non coglie e non si confronta con l’effettiva ratio decidend i della sentenza impugnata, la quale oltre a dare atto di una sottoscrizione specifica della clausola (ritenuta idonea in quanto le clausole soggette a specifica approvazione erano state
sottoposte al contraente in apposito riquadro ove erano richiamate con il numero ed una sintesi del contenuto), ha respinto l’eccezione di usurarietà dell’interesse di mora affermando che come accertato dal CTU –RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non aveva mai percepito interessi ultra soglia, e ciò proprio in ragione della c.d. clausola di salvaguardia che risultava, dunque, applicata.
Si legge, infatti, nella sentenza impugnata: «Anche in questo ambito la motivazione appare convincente atteso che le parti avevano espressamente convenuto di non superare mai il tasso soglia, con pattuizione che non solo non infrange la norma ma, anzi, dichiara ex ante di volervisi attenere, tanto è vero che RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non ha percepito interessi usurari come accertato dalla CTU ed esplicitato anche dal giudice di prime cure». Sicché il ricorrente, deducendo infondatamente una violazione di legge, pretende in realtà di rimettere in discussione in sede di legittimità un accertamento in fatto circa il superamento del tasso soglia all’esito della ricognizione delle risultanze probatorie, che è riservato al giudice di merito.
L’inammissibilità di detto profilo di doglianza per le ragioni dette assorbe, evidentemente, la valutazione degli altri profili che si riferiscono alla violazione dell’art. 1384 c.c. (e quindi alla mancata riduzione della penale) e alla violazione delle norme a tutela dei consumatori, che risultano inconferenti in presenza di una decisione che esclude legittimamente il superamento del tasso soglia di usura, e ciò pure a tacere del fatto che la Corte d’Appello ha escluso sulla base del contratto stesso che il sig. COGNOME fosse un «consumatore» essendosi egli stesso qualificato come «professionista».
3.Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., poiché la Corte territoriale avrebbe completamente omesso di pronunciarsi sull’eccezione di nullità della clausola afferente la pretesa
decadenza del sig. COGNOME dal beneficio dei termini di pagamento per violazione dell’articolo 1341 c.c., nonché sulla relativa domanda di rimessione in termini, avendo la Corte d’Appello concentrato la propria attenzione unicamente sul contenuto della clausola contrattuale di cui all’art. 23 e sulla pretesa irrilevanza del richiamo alle condizioni di cui all’articolo 1186 c.c., mentre non avrebbe neanche implicitamente esaminato il preliminare rilievo fondato sul fatto che la clausola in parola era stata fatta sottoscrivere «in blocco» unitamente a tutte le altre clausole vessatorie.
3.1Il motivo è infondato. La Corte d’Appello ha espressamente pronunciato in punto di approvazione delle clausole vessatorie nell’esaminare la stessa questione posta con riguardo alla sottoscrizione dell’art. 22 del contratto (ovvero la clausola relativa agli interessi di mora): «il Tribunale ha correttamente ritenuto che la clausola fosse stata ‘specificamente approvata dall’opponente’ con riferimento alla modalità di redazione e sottoscrizione delle clausole vessatorie, nei moduli contrattuali predisposti da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, osservando che (p. 4 sentenza, in riferimento specifico alla clausola 23, ma con ragionamento evidentemente valido per tutte le Condizioni Generali): ‘Tale clausola è stata specificamente approvata per iscritto dall’opponente (cfr. pag. 1 doc. 2 opponente) all’interno di disposizione contrattuale (ultimo riquadro del frontespizio del contratto) che, lungi dal riportare in modo confuso tutte le disposizioni del contratto di finanziamento, evidenzia tutte le clausole vessatorie contenute nel contratto, indicandone specificamente il contenuto in modo sintetico, affinché il cliente le approvi nello specifico, così come accaduto nel caso di specie. Tale clausola deve, pertanto, essere ritenuta validamente pattuita tra le parti a norma dell’art. 1341 c.c.’»; la Corte ha, quindi, aderito esplicitamente al ragionamento del Tribunale reso proprio sulla
clausola 23 in parola. Perciò, avendo poi -con riguardo allo specifico motivo d’appello relativo alla clausola 23 affrontato direttamente la dedotta questione della violazione dell’art. 1186 c.c., ha implicitamente respinto l ‘eccezione di nullità che la ricorrente erroneamente deduce come non pronunciata, dovendosi qui ribadirsi il consolidato principio per cui «è configurabile la decisione implicita di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio) quando queste risultino superate e travolte, benché non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza; ne consegue che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività. (Cass. n. 12131/2023; Cass. n. 24953 /2020; Cass. n. 7406/2014).
4.- Pertanto il ricorso va respinto.
5.- Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna la parte ricorrente NOME COGNOME al pagamento delle spese in favore di RAGIONE_SOCIALE liquidate nell’importo di euro 5.700,00 cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-
quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I sezione civile