Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2574 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2574 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9823/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO (EMAIL), che la rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al ricorso.
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME NOME (EMAIL) che la rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO COGNOME NOME (EMAIL), giusta procura speciale allegata al controricorso.
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avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 314/2021 depositata il 01/02/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/10/2023 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, al quale resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE, avverso la sentenza n. 314/2021 depositata l’1 febbraio 2021 e notificata in pari data, con cui la Corte d’Appello di Milano confermava la sentenza dell’8 aprile 2019 del Tribunale di Milano nella parte in cui rigettava la domanda di illiceità di due contratti di leasing di due autoveicoli per asserita usurarietà del tasso di mora contrattualmente convenuto, e solo parzialmente la riformava, ritenendo illegittima la segnalazione alla centrale rischi, che aveva causato a RAGIONE_SOCIALE danni patrimoniali e non.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
La ricorrente e la resistente hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia <>.
Lamenta che la corte d’appello ha ritenuto la nullità della domanda applicando erroneamente l’art. 164, comma 4, cod. proc. civ.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia <>.
Lamenta che la sentenza impugnata ha erroneamente escluso la sussistenza della fattispecie di usura contrattuale, con riferimento al tasso di mora previsto nei contratti di leasing oggetto di causa, limitandosi ad affermare che non sarebbe possibile sommare gli interessi corrispettivi con quelli moratori per valutare il superamento del tasso soglia, senza tener conto delle contestazioni formulate dalle parti e dei documenti depositati in atti.
Lamenta inoltre che il giudice di appello ha omesso l’accertamento delle circostanze, correttamente dedotte e provate dall’allora appellante, ora ricorrente, in punto indicazione del tasso moratorio in concreto applicato, nonché in punto gratuità del rapporto di leasing quale necessaria conseguenza del superamento contrattuale del tasso soglia previsto dalla legge.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia <>.
Deduce che, contrariamente a quanto apoditticamente stabilito nella sentenza impugnata, la presenza di una clausola di salvaguardia non può escludere la violazione della l. 108/1996.
Evidenzia, ad ulteriore conferma della fondatezza del motivo di ricorso, anche proposto per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., che la sussistenza di una eventuale clausola di salvaguardia (secondo cui, qualora il tasso per gli interessi convenzionali di mora avesse superato il tasso base, il medesimo sarebbe rimasto automaticamente ed ab origine ricondotto con arrotondamento favorevole al debitore a detto tasso Euribor con le maggiorazioni ivi previste) non vale ad esonerare la banca dall’onere di provare il corretto adempimento alle obbligazioni previste da tale clausola.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia <>.
Lamenta che la sentenza impugnata è altresì viziata nella parte in cui, per un verso, ha riconosciuto l’illegittimità della segnalazione alla centrale rischi effettuata ai danni della ricorrente, e per altro verso ha omesso di liquidare i danni richiesti.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia <>.
Lamenta che la corte d’appello ha rigettato la richiesta di CTU, senza motivazione alcuna.
Il primo motivo è infondato, sebbene nei limiti e nei termini che seguono.
La sentenza della Corte di Appello di Milano (v. pp. 13 e 14) ha effettivamente statuito che <>.
Ne deriva che dal riscontro di carenze allegatorie nell’atto di citazione il giudice ha tratto sic et simpliciter la conseguenza della nullità, che tra l’altro non era stata rilevata dal giudice di primo grado, senza correttamente applicare il disposto di cui all’art. 164 cod. proc. civ., vigente ratione temporis , il quale espressamente prevede, per quanto rileva nel caso di specie, ai commi 4, 5 e 6: <> (tra l’altro questa Corte ha già avuto modo di affermare che la costituzione del convenuto alla prima udienza sana i vizi della citazione ai sensi dell’art. 164 cod. proc. civ., financo nel caso in cui il giudizio sia stato iscritto a ruolo dal medesimo convenuto, e non dall’attore, rimasto contumace: Cass., 26/07/20221, n. 21374)
6.1 E’ pur vero tuttavia che, come si desume dal complesso della motivazione, nonostante il suindicato improprio rilievo della nullità, il giudice di appello ha tuttavia considerato il merito della controversia, in particolare alle pp. 12, 13, 14 affermando la differenza tra interessi corrispettivi ed interessi moratori, tale da determinarne la loro considerazione separata, alle p. 15 richiamando i principi di diritto posti da Cass., Sez. Un., 18/09/2020, n. 19597, alla p. 16 richiamando l’operatività nel caso di specie della clausola cd. di salvaguardia prevista nei contratti di leasing oggetto di causa.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la mancata censura di una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto la loro eventuale fondatezza non potrebbe comunque condurre, stante l’intervenuta definitività di una di esse all’annullamento della pronuncia stessa (Cass., 13380/2020; Cass., 05/03/2020, n. 6225).
La motivazione del giudice di appello in ordine alla rilevata
nullità d’ufficio può dunque ritenersi unicamente sovrabbondante, posto che la sentenza impugnata si regge su altre specifiche ed autonome ragioni del decidere.
7. Il secondo motivo è infondato.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, per la stessa struttura del contratto di leasing , il tasso moratorio e quello corrispettivo non possono mai trovarsi ad essere applicati congiuntamente in relazione ad un medesimo periodo temporale (cfr. in tal senso Cass. n. 17447/2019); mentre gli interessi corrispettivi si applicano durante la fisiologica esecuzione del rapporto contrattuale, quelli moratori vengono invece in rilievo in caso di inadempimento, e, dunque, in ipotesi patologiche del rapporto negoziale.
Si è poi precisato che mentre gli interessi corrispettivi sono dovuti a compenso del godimento del danaro altrui, in quanto rappresentano il ‘costo del credito’, vale a dire la remunerazione che il creditore riceve come corrispettivo all’erogazione del capitale, quelli moratori, invece, sono dovuti laddove il debitore ritardi nella restituzione del capitale ricevuto e, dunque, essi assolvono ad una funzione risarcitoria e compensativa del pregiudizio patito dal creditore, la quale tra l’altro è meramente ipotetica essendo diretta conseguenza dell’eventuale inadempimento (Cass., n. 27442/2018).
Sulla scorta di tali considerazioni è dunque da escludersi, già sul piano logico, la possibilità di sommare entrambi i tassi ai fini della verifica del superamento o meno del tasso soglia usura.
Ed ancora recentemente questa Corte ha precisato (Cass., 21973/2022)) che la nullità della clausola relativa agli interessi di mora «non determina di per sé la nullità degli interessi corrispettivi, sicché (anche) gli interessi moratori sono -come detto- dovuti nella minor misura degli interessi corrispettivi lecitamente pattuiti non dovendo invero desumersi la totale
gratuità del contratto di mutuo, venendosi altrimenti a determinare addirittura un vantaggio patrimoniale per il debitore inadempiente (v. Cass., Sez. Un., 18/9/2020, n. 19597)».
7.1 Fondamentale pronunciamento sul tema, come detto, è quello di Cass., Sez. Un., 18/09/2020, n. 19597, che ha posto i seguenti principi di diritto:
la disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso;
la mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del T.e.g.m. non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perché “fuori mercato”, donde la formula: “T.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto;
ove i decreti ministeriali non rechino neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.e.g.m. così come rilevato, con la maggiorazione ivi prevista;
si applica l’art. 1815 cod. civ., comma 2, onde non sono dovuti gli interessi moratori pattuiti, ma vige l’art. 1224 cod. civ., comma 1, con la conseguente debenza degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti;
anche in corso di rapporto sussiste l’interesse ad agire del finanziato per la declaratoria di usurarietà degli interessi pattuiti,
tenuto conto del tasso-soglia del momento dell’accordo; una volta verificatosi l’inadempimento ed il presupposto per l’applicazione degli interessi di mora, la valutazione di usurarietà attiene all’interesse in concreto applicato dopo l’inadempimento;
l’onere probatorio nelle controversie sulla debenza e sulla misura degli interessi moratori, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., si atteggia nel senso che, da un lato, il debitore, il quale intenda provare l’entità usuraria degli stessi, ha l’onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento; dall’altro lato, è onere della controparte allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto.
Orbene, dalla motivazione svolta alle pp. da 12 a 15 della sentenza impugnata risulta che la corte di merito ha fatto buon governo dei suindicati principi di diritto, applicandoli al caso deciso.
7.2 Le ulteriori doglianze contenute nel motivo, e nelle censure in cui è articolato, finiscono per sollecitare questa Corte ad un sindacato sul fatto e sulle risultanze istruttorie, precluso nella presente sede di legittimità.
Per costante orientamento di questa Corte, il giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, nei limiti in cui detto sindacato è tuttora consentito dell’art. 360 c.p.c., vigente n. 5, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la
veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass., 14/01/2019, n. 640; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 04/11/2013 n. 24679; Cass., 16/11 2011, n. 27197; Cass., 06/04/2011, n. 7921; Cass., 21/09/2006, n. 20455; Cass., 04/04/2006, n. 7846; Cass., 07/02/2004, n. 2357). Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass., 07/01/2009, n. 42; Cass., 17/07/2001, n. 9662).
8. Il terzo motivo è infondato.
Questa Corte (Cass., 15/5/2023, n. n. 13144) ha già avuto modo di affermare che, <>.
Orbene, nel caso di specie l’impugnata sentenza ha motivato , alle pp. 15 e 16, attribuendo validità e rilevanza alla clausola di salvaguardia nel rispetto dei suindicati principi di diritto, alla luce dei quali risulta per contro manifestamente infondata la prospettazione della società ricorrente secondo cui <> (v. p. 16 del ricorso).
9. Il quarto motivo è infondato.
Anzitutto dalla lettura della sentenza impugnata non è ravvisabile alcuna omessa pronuncia, posto che la corte territoriale ha espressamente motivato: <> (cfr. pag.
La corte d’appello ha poi richiamato l’orientamento di questa Corte secondo cui colui che pretende di essere risarcito di un danno patrimoniale ha l’onere di fornire la prova, anche in via presuntiva, dell’an e del quantum del medesimo (Cass., 16/04/2018, n. 9385; Cass., Cass. Sez. 6-3, ord. 28 marzo 2018, n. 7594; Cass., 10/02/2020, n. 3133). Di conseguenza, nessun risarcimento è ammissibile qualora non sia stata offerta in giudizio prova dell’effettivo verificarsi di un danno. Quest’ultimo potrà essere accertato, ed eventualmente risarcito, unicamente qualora, in conseguenza di un fatto contra ius, sia derivata una effettiva perdita, tanto di tipo patrimoniale quanto di tipo non patrimoniale, alla parte che ne avanzi la relativa richiesta di risarcimento (v. tra le tante, Cass., 21/09/2015, n. 18494; Cass., 18/11/2014, n. 24474; Cass., 05/09/2014, n. 18812).
Orbene, nell’affermare, alle pp. 18 e 19 della motivazione, che la società RAGIONE_SOCIALE non ha fornito idonea prova che la segnalazione da parte di RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE le avessero causato un concreto giudizio patrimoniale, la corte d’appello ha correttamente applicato i suindicati principi.
10. Il quinto motivo è infondato.
Sebbene la corte di merito non abbia espressamente pronunciato sulla istanza di CTU, alla quale peraltro, come si desume dalle conclusioni riportate nella sentenza stessa, la banca appellata si era opposta, dal contesto complessivo della motivazione si può desumere un rigetto implicito.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che di rigetto implicito delle istanze istruttorie, infatti, può parlarsi allorché la decisione si fondi su una ratio decidendi da sola sufficiente a giustificare la pronuncia di rigetto, e rispetto alla quale le prove non ammesse sono totalmente irrilevanti (Cass., 13532/2018; Cass., 14/05/2015, n. 9881).
Orbene, nel caso di specie la corte di merito, pur affermando l’illegittimità della segnalazione alla RAGIONE_SOCIALE, ha espressamente sottolineato, con passaggio motivazionale non specificatamente censurato dalla ricorrente, che <>; ed ancora la corte ha rilevato: <> (v. p. 20).
La decisione si fonda dunque su tale ragione del decidere, da cui implicitamente discende il rigetto dell’istanza di espletamento della CTU, a questo punto superflua e financo inammissibilmente
esplorativa.
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 7.200,00, di cui euro 7.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione