Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25837 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25837 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12831/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentate e difese d all’avv. NOME COGNOME
– controricorrenti e ricorrenti incidentali nonché contro
COGNOME NOME COGNOME e COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 645/2022 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 25/02/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/09/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato COGNOME NOME e COGNOME NOME evocavano in giudizio COGNOME NOME e COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Lecco, chiedendo lo scioglimento della comunione e la divisione di un immobile sito in territorio del Comune di Merate.
Si costituivano le convenute, resistendo alla domanda ed eccependo che il cespite era stato usucapito dalla RAGIONE_SOCIALE
Veniva integrato il contraddittorio nei confronti di detta società, che si costituiva invocando in via riconvenzionale l’accertamento dell’intervenuta usucapione del compendio oggetto di causa, sostenendo che lo stesso era inglobato da tempo immemorabile n ell’area recintata nella quale veniva svolta l’attività sociale.
Con sentenza n. 266/2021 il Tribunale rigettava la domanda riconvenzionale di usucapione, ritenendo non conseguita la prova del possesso uti dominus ultraventennale in capo alla società interveniente, essendo stato il bene oggetto di causa acquistato da uno dei soci, che poi ne aveva consentito l’uso, per ragioni di tolleranza, da parte dell’ente collettivo.
Interponeva appello avverso tale decisione RAGIONE_SOCIALE e la Corte di Appello di Milano, con la sentenza impugnata, n.
645/2022, rigettava il gravame, confermando la decisione di prima istanza.
Ricorre per la cassazione di detta pronuncia RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE affidandosi a quattro motivi.
Resistono con controricorso COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME spiegando a loro volta ricorso incidentale affidato a cinque motivi.
Resistono con controricorso COGNOME NOME e COGNOME NOME.
A seguito di proposta di definizione anticipata, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., sia la parte ricorrente principale che quella ricorrente incidentale hanno presentato separate istanze di decisione.
In prossimità dell’adunanza camerale, tutte le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente il collegio dà atto che, a seguito della pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte Corte n. 9611/2024 (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 10/04/2024, Rv. 670667), non sussiste alcuna incompatibilità del presidente della sezione o del consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis.1, atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa.
Passando ai motivi di impugnazione, per motivi di priorità logica va esaminato preliminarmente il primo motivo del ricorso incidentale, che introduce una questione processuale, e segnatamente la violazione dell’art. 295 c.p.c. e 24 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto sospendere il giudizio in attesa della definizione di quello di primo grado nel cui ambito era stata emessa la decisione non definitiva oggetto di gravame.
Come correttamente chiarito dalla sentenza impugnata, non sussiste il rischio di contrasto tra giudicati paventato dai ricorrenti incidentali, poiché la sentenza definitiva del giudizio di prime cure non può contenere statuizioni contrastanti con quelle della sentenza non definitiva oggetto del presente ricorso. L’unica possibilità per disporre la sospensione del giudizio di appello avverso la decisione non definitiva, in attesa della definizione del giudizio di prime cure, è quella della sospensione per concorde volontà delle parti, prevista dall’art. 297 c.p.c., che nella specie non si configura.
La doglianza, dunque, è infondata.
Vene ndo all’esame delle ulteriori censure proposte con il ricorso principale ed incidentale, in larga parte coincidenti quanto agli argomenti trattati, si evidenzia che con il primo motivo del ricorso principale viene lamentata la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., il travisamento della prova , il vizio della motivazione e l’omessa valutazione di fatti decisivi , in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 , 4 e 5, c.p.c., perché la Corte milanese avrebbe erroneamente escluso la sussistenza del possesso uti dominus esercitato dalla società RAGIONE_SOCIALE COGNOME
RAGIONE_SOCIALE valorizzando il fatto che i fratelli COGNOME avessero versato le imposte concernenti i beni oggetto di causa.
Con il secondo motivo del ricorso principale, invece, viene denunziata la violazione o falsa applicazione dell’art. 2733 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe trascurato di considerare che le dichiarazioni di COGNOME NOME e COGNOME NOME, che avevano confermato l’esercizio del possesso uti dominus da parte della società RAGIONE_SOCIALE sul cespite controverso, avevano valenza confessoria in quanto di contenuto contrario agli interessi delle parti che le avevano formulate.
Con il terzo motivo del ricorso principale, ancora, viene contestata la violazione o falsa applicazione degli artt. 1141, 1142, 1144, 1158 e 2697 c.c., nonché il vizio della motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’usucapione invocata dalla società ricorrente principale.
Con il quarto motivo del ricorso principale, invece, viene lamentata la mancata ammissione di alcuni mezzi istruttori, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.
Con il secondo motivo del ricorso incidentale, ancora, la parte ricorrente incidentale si duole della violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., del travisamento della prova, del vizio della motivazione e dell’omesso esame di fatti decisivi , in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., perché la Corte territoriale avrebbe erroneamente valutato le risultanze istruttorie acquisite agli atti del giudizio di merito.
Con il terzo motivo del ricorso incidentale, infine, si contesta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1141, 1142, 1144 e 1158 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte lombarda avrebbe erroneamente escluso la sussistenza degli estremi per il riconoscimento dell’usucapione.
Le censure suindicate, suscettibili di esame congiunto poiché tutte afferenti al merito dell’accertamento condotto dalla Corte distrettuale, sono inammissibili.
La Corte di Appello ha confermato la decisione di prime cure, di rigetto della domanda di usucapione proposta dalla società RAGIONE_SOCIALE, sul presupposto che la relazione con la cosa intrattenuta dalla predetta società fosse qualificabile in termini di mera detenzione, e non di possesso utile ad usucapionem , valorizzando a tal fine la circostanza che i Viscardi e i COGNOME, proprietari dei beni oggetto di causa, fossero anche soci della società e configurando dunque una ipotesi di tolleranza.
La statuizione è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui ‘Al fine di stabilire se la relazione di fatto con il bene costituisca una situazione di possesso ovvero di semplice detenzione dovuta a mera tolleranza di chi potrebbe opporvisi, come tale inidonea, ai sensi dell’art. 1144 c.c., a fondare la domanda di usucapione, la circostanza che l’attività svolta sul bene abbia avuto durata non transitoria e sia stata di non modesta entità, cui normalmente può attribuirsi il valore di elemento presuntivo per escludere che vi sia stata tolleranza, è destinata a perdere tale efficacia nel caso in cui i rapporti tra le parti siano caratterizzati da vincoli particolari, quali quelli di parentela o di società, in forza di un apprezzamento di fatto demandato al giudice di merito’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9661 del 27/04/2006,
Rv. 588976; conf. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 17880 del 03/07/2019, Rv. 654466).
I ricorrenti, principali ed incidentali, attingono la ricostruzione del fatto e delle prove operata dalla Corte distrettuale contrapponendovi una lettura alternativa del fatto e delle prove, senza considerare che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del
02/08/2016, Rv. 641328 e Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812).
Non si configura alcuna violazione dell’art. 115 c.p.c., dovendosi ribadire, sul punto, che ‘ In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c .p.c.’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 -01). Né sussiste violazione dell’art. 2733 c.c., poiché la Corte di merito ha escluso la valenza confessoria delle dichiarazioni provenienti dalle odierne ricorrenti incidentali, valutandole come meri elementi di prova, unitamente a tutte le altre risultanze istruttorie, posto che esse, nell’ambito di un giudizio con più parti, si dirigevano in danno di una di esse ed a vantaggio di un’altra. Anche tale statuizione è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui ‘Alla dichiarazione confessoria stragiudiziale di fatti sfavorevoli ad una sola parte, qualora sia resa nell’ambito di un giudizio litisconsortile, non si applica la regola del libero apprezzamento da parte del giudice, di cui all’art. 2733, comma 3, c.c., perché essa è prevista per il solo caso in cui il fatto confessato sia comune a più litisconsorti’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 13880 del 18/05/2024, Rv. 671359; conf. Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 2482 del
29/01/2019, Rv. 652386; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19963 del 14/10/2005, Rv. 584469).
Il vizio di omesso esame di fatti decisivi, inoltre, è di per sé inammissibile, posto che si configura, nella fattispecie, una ipotesi di cd. doppia conforme.
Infine, per quanto possa rilevare, non sussiste neanche il vizio della motivazione, posto che essa non è viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico -argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
Con il quarto motivo del ricorso incidentale, poi, viene denunziata la violazione o falsa applicazione dell’art. 567 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe omesso di rilevare che agli atti del giudizio mancava la documentazione ipocatastale concernente il bene immobile oggetto di causa.
La censura è infondata.
Come correttamente evidenziato dai controricorrenti COGNOME nella specie il gravame era diretto avverso una pronuncia non definitiva, con la quale è stata esclusa la configurazione dell’usucapione del cespite oggetto di causa, onde la documentazione di cui trattasi, necessaria per procedere alla divisione del compendio immobiliare, dovrà essere acquisita nell’ambito del giudizio di divisione, ancora pendente in prime cure al momento del deposito della decisione impugnata (cfr. pag. 7 del controricorso). E ‘ dunque esente da vizi la decisione della Corte
distrettuale, di assorbimento della censura in discussione (cfr. pag. 19 della sentenza impugnata).
Con il quinto ed ultimo motivo del ricorso incidentale, infine, viene contestata la violazione o falsa applicazione dell’art. 13 del D.P.R. n. 115 del 2012 ( recte , del 2002) , in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe errato nell’applicare detta disposizione a carico delle sorelle COGNOME, ritenendole soccombenti nel grado.
La censura è infondata.
La Corte milanese, nel rigettare il gravame incidentale proposto dalle COGNOME avverso la decisione di prime cure, ha regolato le spese del secondo grado del giudizio di merito sulla base dei parametri di cui al D.M. n. 55/2014 previsti per le cause di valore indeterminabile, ponendole a carico delle parti soccombenti, ed ha applicato, del tutto correttamente, la disposizione di cui all’art. 13, comma 1 quater, del richiamato D.P .R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228.
L ‘obbligo del versamento dell’ ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui alla disposizione da ultimo richiamata, infatti, si applica ope legis ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, e dunque anche a quello definito con la sentenza impugnata, dovendosi fare riferimento alla data di instaurazione dell’appello (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 3774 del 18/02/2014, Rv. 629556; conf. Cass. Sez. 6 – 3, Sentenza n. 14515 del 10/07/2015, Rv. 636018). La norma, che introduce non una sanzione ma un tributo giudiziario (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 20621 del 17/07/2023, Rv. 668224) si applica in tutti i casi in cui l’impugnazione sia dichiarata inammissibile o rigettata, come è
avvenuto nel caso di specie, senza alcun margine di discrezionalità esercitabile dal giudice.
In conclusione, il ricorso principale dev’essere dichiarato inammissibile, mentre quello incidentale dev ‘ essere respinto.
Le spese di lite sono integralmente compensate nel rapporto tra ricorrente principale ed incidentale, in ragione della reciproca soccombenza, mentre seguono la soccombenza, e sono liquidate come da dispositivo, in relazione al rapporto processuale intercorrente tra i predetti soggetti ed i controricorrenti COGNOME.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis c.p.c. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. , con conseguente condanna della parte ricorrente principale e di quella ricorrente incidentale al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma -nei limiti di legge -in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale e compensa le spese del presente giudizio di legittimità tra la ricorrente principale e le ricorrenti incidentali.
Condanna le predette parti, ricorrente principale ed incidentale, in solido tra loro, al pagamento, in favore della parte
contro
ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati.
Condanna altresì la parte ricorrente principale e quella ricorrente incidentale, egualmente in solido tra loro, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore pari a quella sopra liquidata per compensi, nonché al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile in data 18 settembre 2025
Il Presidente NOME COGNOME