Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22147 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22147 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23319/2022 R.G. proposto da : NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME
NOMECOGNOME difesi da ll’avvocato COGNOME NOME
-ricorrenti-
contro
COGNOME difesi da ll’avvocato COGNOME NOME COGNOME
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SASSARI n. 252/2022 depositata il 05/08/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La vicenda riguarda la proprietà di un appartamento al secondo piano di un fabbricato a Nuoro. Gli originari proprietari erano i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME Essi avevano tre figli:
NOME, NOME e NOME. La controversia vede contrapposti, da un lato, gli eredi del figlio NOME (sua moglie NOME COGNOME e i loro figli, NOME e NOME), e, dall’altro, il fratello di NOME, NOME COGNOME (con sua moglie NOME COGNOME. Questi ultimi sostenevano di aver personalmente edificato l’appartamento del secondo piano, sopraelevando il fabbricato preesistente dove abitavano i genitori di lui, e di avervi stabilito la propria residenza familiare sin dal loro matrimonio, avvenuto nel 1979. Successivamente, nel maggio del 1982, i genitori vendevano al figlio NOME, con una scrittura privata, l’appartamento al primo piano e «l’area fabbricabile soprastante». Il conflitto tra i fratelli era già emerso in un precedente processo, promosso da NOME COGNOME per ottenere il riconoscimento di tale scrittura ai fini della trascrizione. Infine, alla morte del padre NOME COGNOME avvenuta il 13/12/1989, nella dichiarazione di successione presentata dai suoi eredi non veniva incluso l’appartamento al secondo piano oggetto di contesa.
Il processo giunto in Cassazione ha avuto inizio quando gli eredi di NOME COGNOME hanno convenuto dinanzi al Tribunale di Nuoro i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME rivendicando la proprietà dell’appartamento, fondandosi sulla scrittura del 1982. I convenuti hanno domandato in via riconvenzionale l’accertamento dell’avvenuto acquisto per usucapione. Il Tribunale di Nuoro ha rigettato entrambe le domande. Ha escluso che la scrittura del 1982 trasferisse la proprietà del secondo piano, già esistente, ma solo il diritto di edificare ulteriormente. Ha poi rigettato la domanda di usucapione, pur riconoscendo la disponibilità materiale del bene da parte dei coniugi COGNOME sin dagli anni ’70, applicando la massima d’esperienza secondo cui il rapporto di parentela fa presumere che un godimento esclusivo, anche di lunga durata, avvenga per mera tolleranza.
I convenuti hanno proposto appello avverso la sentenza, insistendo con la loro domanda di usucapione che è stata accolta dalla Corte di appello. In via preliminare, la Corte distrettuale ha ritenuto l’appello tempestivo, sulla base di una notifica dell’atto effettuata via pec il 12 ottobre 2019 ed ha giudicato il contraddittorio integro. Nel merito, ha premesso che la statuizione sul rigetto della domanda di rivendica dei Guiso-Ruiu era passata in giudicato, non essendo stata impugnata; rispetto alla domanda riconvenzionale ha ritenuto che il Tribunale avesse fatto un’applicazione «astratta e meccanica» della massima sulla tolleranza tra parenti. La Corte territoriale ha giudicato la motivazione di primo grado contraddittoria, avendo declassato a mera detenzione tollerata un’ingerenza materiale definita «molto intensa». Le risultanze probatorie (documentali e testimoniali) hanno dimostrato in modo univoco una serie di atti incompatibili con una mera tolleranza e sintomatici di un possesso esercitato uti dominus : materiale edificazione dell’immobile da parte degli appellanti, la sua destinazione a residenza familiare sin dal 1979, l’accollo esclusivo degli oneri fiscali e la mancata inclusione del bene nella denuncia di successione del dante causa degli appellati. In particolare, la Corte ha qualificato la trasformazione del lastrico solare in un’abitazione come un’iniziativa «dirompente», tale da manifestare in modo inequivocabile l’animus rem sibi habendi e da integrare gli estremi di un’interversione del possesso.
Ricorrono in cassazione gli attori con tre motivi, illustrati da memoria. Resistono i convenuti con controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 327, 348-bis e 348ter c.p.c., 2909 c.c. e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Sostengono la tardività dell’appello, affermando che la notifica rilevante sarebbe quella cartacea del 24
ottobre 2019, avvenuta oltre il termine di sei mesi scaduto il 14 ottobre 2019. Contestano la decisione della Corte d’appello che ha ritenuto l’appello tempestivo in virtù di una notifica pec del 12 ottobre 2019, della quale i ricorrenti negano l’esistenza in atti. L’omesso esame della notifica del 24 ottobre, unico atto di cui vi sarebbe prova, costituirebbe un error in procedendo e un omesso esame di un fatto decisivo che avrebbe dovuto portare alla declaratoria di inammissibilità dell’appello e alla conseguente formazione del giudicato sulla sentenza di primo grado.
La Corte afferma la tempestività del gravame sulla base di una notifica via pec del 12 ottobre 2019, data anteriore alla scadenza del termine lungo di impugnazione. La Corte fonda su questa notifica la propria decisione, ritenendo di conseguenza irrilevante la data della successiva notifica cartacea invocata dai ricorrenti.
I controricorrenti affermano di aver notificato l’atto via pec il 12 ottobre 2019, entro il termine di legge, e producono le attestazioni. La successiva notifica cartacea del 24 ottobre, fu una rinnovazione spontanea per sanare un vizio della vocatio in ius (l’atto notificato via pec era privo della data d’udienza), con effetto ex tunc ai sensi dell’art. 164 c.p.c.
In memoria, i ricorrenti invocano giurisprudenza di legittimità e fanno valere mancato deposito del file nativo (.eml o .msg) della notifica pec, che viene indicato come unico mezzo di prova idoneo in caso di contestazione.
Il primo motivo è rigettato.
Dagli atti emerge che l’impugnazione è stata avviata per la notifica a mezzo PEC in data 12 ottobre 2019, e dunque tempestivamente. È pacifico che tale prima notificazione fosse viziata, ma il vizio addotto -la mancanza della data dell’udienza di comparizione -integra una nullità della vocatio in ius , non la sua inesistenza. La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che anche i vizi relativi alle forme digitali della
notificazione determinano una nullità sanabile, e non una inesistenza insanabile dell’atto. In applicazione del principio generale sancito dall’art. 156, comma 3, c.p.c., tale nullità non può essere pronunciata quando l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato. Nel caso di specie, gli odierni ricorrenti si sono regolarmente costituiti nel giudizio di appello, depositando comparsa di risposta e svolgendo compiutamente le loro difese. La loro costituzione dimostra in modo inequivocabile il raggiungimento dello scopo cui l’atto di notifica, seppur nullo, era preordinato: portare a conoscenza dei destinatari la pendenza del gravame e consentire loro il pieno esercizio del diritto di difesa. La costituzione degli appellati ha pertanto sanato, con efficacia retroattiva ( ex tunc ), il vizio iniziale della notifica. Ne consegue che l’impugnazione deve ritenersi tempestivamente proposta fin dal 12 ottobre 2019 e la doglianza relativa alla sua pretesa inammissibilità per tardività deve essere, di conseguenza, rigettata.
2. – Con il secondo motivo si lamenta la violazione degli artt. 1144, 1158, 2729 c.c., 115 e 116 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione dell’art. 132, comma 2 n. 4 c.p.c. e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. I ricorrenti criticano la Corte di appello per aver ritenuto superata la presunzione di tolleranza. Sostengono che gli elementi valorizzati dalla Corte (costruzione, destinazione a residenza, pagamento delle imposte) sono compatibili con la tolleranza che si presume nei rapporti familiari. Denunciano inoltre un travisamento delle prove e un omesso esame di fatti decisivi, in particolare riguardo alla dichiarazione di successione (che sarebbe stata sottoscritta solo dalla madre e non da tutti gli eredi) e alla data di inizio del conflitto tra fratelli, che, se correttamente considerata (2005), non avrebbe consentito il maturare del ventennio per usucapire prima dell’instaurazione del giudizio. L’errata valutazione delle prove e
l’illogicità della motivazione comporterebbero la nullità della sentenza e la violazione delle norme sull’usucapione.
La Corte dichiara di volersi discostare dalla valutazione del primo giudice, ritenendo che la massima sulla tolleranza tra parenti debba essere applicata con cautela e non in modo automatico. Elenca e valuta analiticamente una serie di elementi fattuali come prove inequivocabili di un possesso uti dominus , incompatibile con la mera tolleranza. La Corte qualifica la radicale trasformazione del bene come manifestazione di interversione del possesso. Affronta anche la questione dei rapporti tra le parti, rilevando che non erano «idilliaci».
Il secondo motivo è rigettato.
Le censure, pur articolate sotto diversi profili, si risolvono in una critica all’apprezzamento dei fatti e delle prove operato dal giudice di merito, cercando di contrapporre una diversa lettura delle risultanze istruttorie a quella, logica e coerente, fatta propria dalla sentenza impugnata. La Corte territoriale, discostandosi dalla valutazione del primo giudice, ha ritenuto che il complesso degli elementi acquisiti in giudizio deponesse in modo univoco nel senso di un possesso pieno ed esclusivo, incompatibile con una mera tolleranza. In particolare, ha correttamente valorizzato una serie di circostanze fattuali che, nel loro insieme, manifestano in modo inequivocabile l’animus rem sibi habendi. La materiale edificazione di un’intera unità immobiliare, con l’irreversibile trasformazione del lastrico solare in un appartamento destinato a residenza esclusiva del proprio nucleo familiare, costituisce un’ingerenza sul bene di intensità e radicalità tali da non poter essere ragionevolmente ricondotta a un semplice atteggiamento di accondiscendenza, neppure in un contesto di stretti rapporti familiari. A tale decisivo elemento, la Corte di merito ha aggiunto ulteriori e concordanti indizi, quali l’aver sostenuto in via esclusiva tutti gli oneri, anche fiscali, relativi all’immobile e, soprattutto, la mancata inclusione del
bene nella dichiarazione di successione del comune dante causa, atto che, sebbene di natura fiscale, assume un rilevante valore sintomatico della volontà delle parti di considerare quell’appartamento come un corpo estraneo al patrimonio ereditario e di pertinenza esclusiva dei controricorrenti.
Il motivo di ricorso, dunque, è animato dall’intenzione di sovrapporre il proprio apprezzamento ricostruttivo della situazione di fatto rilevante in causa all’accertamento che il giudice di merito ha espresso in una motivazione effettiva, risoluta e coerente, la quale quindi non si espone a censure in sede di giudizio di legittimità. L’apprezzamento del giudice di merito è censurabile in sede di legittimità solo nel caso in cui la motivazione sia talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice, mentre non vi è spazio per una critica ad opera del ricorrente che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente ricostruzione dei fatti.
3. – Con il terzo motivo si denuncia la violazione degli artt. 2909 c.c., 329, 336, 102, 354 c.p.c. e la relativa nullità della sentenza. I ricorrenti sostengono che la Corte d’appello, nel momento in cui ha ritenuto di accogliere la domanda di usucapione, avrebbe dovuto integrare il contraddittorio nei confronti di NOME COGNOME altro figlio erede e comproprietario pretermesso. La motivazione addotta dalla Corte per non procedere all’integrazione (cioè che i danti causa erano «usciti di scena» con la scrittura del 1982) violerebbe il giudicato interno formatosi sulla sentenza di primo grado. Quest’ultima, infatti, aveva accertato, con statuizione non impugnata, che la scrittura del 1982 non aveva trasferito la proprietà dell’appartamento, che era quindi rimasto nel patrimonio dei danti causa e poi trasmesso a tutti i loro eredi, compreso NOME COGNOME La violazione del litisconsorzio necessario e del giudicato interno determinerebbe la nullità della sentenza impugnata.
La Corte afferma l’integrità del contraddittorio, motivando tale convincimento con la considerazione che i genitori degli attuali contendenti, originari proprietari, sarebbero definitivamente usciti di scena con la scrittura del maggio del 1982. In tal modo, la Corte offre una propria interpretazione degli effetti di quell’atto, implicitamente superando e ritenendo non vincolante l’interpretazione data dal Tribunale, e concludendo che nessun erede degli originari proprietari (e quindi neppure NOME COGNOME potesse vantare diritti sull’immobile che richiedessero la sua partecipazione al giudizio.
I controricorrenti affermano che i danti causa comuni, con gli atti di disposizione del 1973 e del 1982, si erano spogliati di ogni diritto sul fabbricato, sicché NOME COGNOME non aveva ereditato alcuna quota di proprietà e non era litisconsorte necessario.
Il terzo motivo è disatteso.
Indipendentemente dalla presenza dei presupposti per dover provvedere ai sensi degli artt. 383, comma 3, e 354 c.p.c. e per rimettere quindi la causa al primo giudice, risulta dagli atti che gli odierni ricorrenti si erano opposti in secondo grado all’integrazione del contraddittorio nei confronti di NOME, lamentandone la superfluità. Al venire contra factum proprium, si aggiunge la lesione, da un lato, del principio della ragionevole durata del processo ; dall’altro, del principio per cui il processo deve pervenire – per quanto è possibile praticamente -ad una pronuncia di merito (qui conseguita in secondo grado con l’accertamento dell’usucapione in favore dei convenuti); lesioni che si determinerebbero (dato il rigetto degli altri motivi) ove la causa fosse rimessa al giudice di primo grado in accoglimento del terzo motivo.
Ne segue che il punto di equilibrio è il rigetto del terzo motivo e così del ricorso nel suo complesso, poiché si riconosce che NOME COGNOME ha a disposizione l’opposizione di terzo (art. 404 co.
1 c.p.c.), ove mai reclami che la pronuncia sull’usucapione sia data anche nei suoi confronti.
– La Corte rigetta il ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 3.500, oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 09/07/2025.