Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27784 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27784 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17579/2021 R.G. proposto da
COGNOME NOME, rappresentata in proprio ai sensi dell’art. 86 cod. proc. civ., e COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, entrambi elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultima in Perugia, INDIRIZZO.
-ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, Presso il cui studio in INDIRIZZO, è elettivamente domiciliato.
-controricorrente –
NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, presso il cui studio in Terni, INDIRIZZO, è elettivamente domiciliata
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 336/2021 resa dalla Corte d’Appello di Perugia, depositata il 07/06/2021 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/9/2025 dalla AVV_NOTAIO.AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Rilevato che:
Con atto di citazione ritualmente notificato, NOME COGNOME, premesso di essere comproprietario, per la quota di ½, unitamente al fratello NOME COGNOME, di molteplici rate di terreno site nel Comune di Norcia, adì il Tribunale di Spoleto, sostenendo di aver esercitato il possesso pacifico, continuato e non contestato sui predetti terreni da oltre un ventennio e chiedendo che venisse dichiarata l’intervenuta usucapione, in suo favore, della quota di comproprietà del proprio fratello.
Costituitosi in giudizio, NOME COGNOME chiese il rigetto della domanda.
Con sentenza n. 484/2016 del 28/05/2016, il Tribunale di Spoleto accolse la domanda attorea, dichiarando l’intervenuta usucapione della proprietà dei beni rivendicati in favore di COGNOME NOME.
Il giudizio di gravame, instaurato da COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi testamentari del convenuto, nella resistenza di COGNOME NOME, e con l’intervento volontario di COGNOME NOME, coniuge superstite del de cuius COGNOME NOME, a suo dire legittimata ad agire in quanto erede del predetto per aver rinunciato al legato in conto di legittima da questi riservatole, che aderì alle difese dell’appellato NOME COGNOME, si concluse con la sentenza n. 336, pubblicata il 07/06/2021, con la quale la Corte d’Appello di Perugia rigettò l’impugnazione.
Per quanto qui interessa, i giudici di merito ritennero che l’appellato avesse dimostrato il possesso esclusivo dei beni, esercitato facendosi carico degli oneri fiscali, della manutenzione e della coltivazione, relativamente alla quale sceglieva in autonomia tempi e modalità, senza che il fratello, perfino ignaro della sua comproprietà, avesse posto in essere atti di opposizione o avesse mai instaurato la minima relazione materiale con i beni contesi, come confermato dalla moglie intervenuta in giudizio e dai testi sentiti.
Contro la predetta sentenza, NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. NOME COGNOME e NOME COGNOME si difendono con controricorso.
Questa Corte ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, i ricorrenti, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, hanno chiesto la decisione del ricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ., le parti hanno depositato memorie illustrative.
Considerato che :
Occorre, preliminarmente, evidenziare che, come affermato di recente dalle Sezioni unite di questa Corte, nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380bis cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione può far parte -ed eventualmente essere nominato relatore del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-
bis .1 c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, primo comma, n. 4, e 52 cod. proc. civ., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (Cass., Sez. U, 10/4/2024, n. 9611), sicché non rileva, nella specie, che il collegio sia composto da un consigliere che ha anche redatto la proposta di definizione anticipata.
2.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 324 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché la sussistenza e valutazione di giudicato esterno, perché la Corte d’Appello aveva ritenuto che l’appellato avesse esercitato il possesso esclusivo sui beni contesi senza alcuna opposizione e interferenza di COGNOME NOME, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale di Spoleto, che aveva, invece, reputato cessato il consenso al godimento esclusivo dei beni contesi da parte dell’attore per effetto della citazione nel giudizio R.G.A.C. 106/1992 davanti al medesimo Tribunale. I ricorrenti hanno sul punto obiettato che i giudici di merito non avevano considerato la sentenza n. 47 del 1992, pronunciata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, con la quale era stata dichiarata l’inammissibilità della domanda di divisione di alcuni beni comuni (bar ristorante, impianto ittico e piazzale pertinenziale), oggetto di parte di quelli del presente giudizio, ed era stata accolta quella risarcitoria nei confronti di quest’ultimo per essere venuto meno, mediante l’avvio del contenzioso n. 106/1992, il consenso al godimento esclusivo da parte sua dei medesimi beni.
2.2 Il primo motivo è infondato.
La doglianza va esaminata unitamente alle eccezioni di inammissibilità sollevate dal controricorrente COGNOME NOME sul presupposto che la sentenza n. 47/2002 non fosse stata ritualmente e formalmente proAVV_NOTAIOa nel giudizio di merito, essendo stata allegata alla c.t.p. depositata il 4/1/2019, come riportato in ricorso, che mancasse la prova del suo passaggio in giudicato ai sensi dell’art. 124 disp. att. cod. proc. civ. e che la questione proposta in sede di legittimità fosse nuova, non essendosi svolto sulla stessa il contraddittorio nel grado di merito e non essendo stata proposta come motivo d’appello.
Orbene, come è noto, il giudicato può far stato nel processo quando vi sia certezza della sua formazione, da provarsi, pur in assenza di contestazioni, attraverso la produzione della sentenza munita del relativo attestato di cancelleria ai sensi dell’art. 124 disp. att. cod. proc. civ., non potendosi ritenere la circostanza ammessa in ragione della mancata contestazione della controparte, né sussistente l’onere, a carico di quest’ultima, di dimostrare l’impugnabilità della sentenza (Cass., Sez. 1, 02/03/2022, n. 6868; Cass., Sez 3, 23/08/2018, n. 20974), sicché, non avendo il ricorrente provveduto in tal senso, deve escludersi la fondatezza della censura. E tanto a voler sottacere l’irritualità della produzione, ex art. 345 comma 3° c.p.c. , consistita nell’allegazione ad una perizia di parte.
3.1 Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta l’omesso esame di fatti decisivi del giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che l’appellato avesse dimostrato di avere provveduto, per oltre un ventennio, alla coltivazione e manutenzione dei fondi, come affermato dai testi, nonostante risultasse dalla relazione del c.t.u. e dalle precisazioni del c.t.p. che
i terreni contesi non erano coltivabili, né coltivati, siccome in parte occupati da un impianto ittico e da un piazzale adibito a parcheggio, in parte inglobati nell’alveo del fiume Sordo e in parte incolti e infestati da piante arbustive spontanee, e nonostante fosse stata documentata la pendenza di vari contenzioni, ossia il giudizio di divisione concluso con la sentenza n. 47 del 22/4/2002, come evidenziato nel primo motivo; la sentenza della Corte d’Appello di Perugia avente ad oggetto la condanna di COGNOME NOME al pagamento di corrispettivi per l’utilizzo del cespite comune conseguenti al contratto di locazione stipulato con la RAGIONE_SOCIALE il 1/8/2006; il giudizio incardinato nel 2009 (R.G. 317/2009) per il versamento di indennità per l’utilizzo di beni comuni.
3.2 Il secondo motivo è inammissibile.
Ne ll’ipotesi di c.d. «doppia conforme», prevista dall’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ai giudizi d’appello introAVV_NOTAIOi con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (per tutte, Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26860; Cass., Sez. 5, 11/05/2018, n. 11439; Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass., sez. L., 06/08/2019, n. 20994).
Non avendo il ricorrente adempiuto nella specie a tale incombente, ne deriva, sotto questo profilo, l’inammissibilità della censura.
4.1 Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o errata applicazione degli artt. 1141 e 1158 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che il possesso di COGNOME NOME era stato esercitato in assenza di opposizione di COGNOME NOME, senza neppure tener conto dei numerosi contenziosi insorti tra le due parti, come descritti nel precedente motivo.
4.2 Il terzo motivo è infondato.
Infatti, il comunista che si trovi nel possesso del bene comune può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri comunisti, senza necessità di interversione del titolo del possesso alla stregua dell’art. 1164 cod. civ.; a tal fine, però, egli, che già possiede animo proprio ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, godendo del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare un’inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus , risultando a tal fine insufficiente l’astensione degli altri partecipanti dall’uso della cosa comune (Cass., Sez. 2, 8/4/2021, n. 9359) e non essendo univocamente significativo che egli abbia utilizzato ed amministrato il bene comune, trattandosi di attività consentita al singolo compartecipante, o abbia compiuto atti familiarmente tollerati dagli altri o che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o l’erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune, non possono dare luogo ad una estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro compossessore (Cass., Sez. 2, 12/4/2018, n. 9100), né essendo sufficiente che i comunisti si siano astenuti da analoghe attività, sussistendo la presunzione iuris tantum che abbia agito nella qualità e operato anche nell’interesse degli altri (Cass., Sez. 2, 4/5/2018, n. 10734).
La Corte di merito, con indagine di fatto insindacabile in questa sede, ha preso posizione sulle attività compiute dall’appellato sui beni contesi, affermando che questi vi aveva svolto attività di coltivazione e di manutenzione in esclusiva.
5.1 Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta, infine, la carenza di legittimazione ad agire la parte del legittimario totalmente pretermesso COGNOME che ha svolto intervento volontario nel giudizio d’appello, per avere i giudici di merito ritenuto COGNOME erede dell’originario convenuto, come da essa affermato, senza considerare che la stessa, ancorché legittimaria, aveva rinunciato al legato in conto di legittima e perso detta qualità, essendo stata totalmente pretermessa dal coniuge con il testamento che aveva nominato i ricorrenti unici eredi, con la conseguenza che la medesima era priva di legittimazione ad agire. 5.2 Il quarto motivo è infondato.
Al riguardo basta evidenziare come, secondo la sua stessa prospettazione, NOME COGNOME non fosse beneficiaria di un legato in sostituzione di legittima, ma di un legato in conto di legittima, al quale aveva rinunciato, e come questa precisazione non possa che incidere sulla disciplina applicabile e, di conseguenza, sulla sua legittimazione ad intervenire in giudizio.
Infatti, il legato attribuito in conto di legittima riguarda necessariamente una persona che riveste anche la qualità di erede in quanto legittimaria e che può, se lesa nella legittima, o trattenere il legato e chiedere la differenza o rinunciare al legato e chiedere tutta la legittima, come sancito dall’art. 564, secondo comma, cod. civ., secondo cui «in ogni caso, il legittimario che domanda la riduzione di donazioni o di disposizioni testamentarie deve imputare alla sua porzione legittima le donazioni e i legati a lui fatti, salvo che ne sia stato espressamente dispensato ».
Diversamente, solo in caso di legato in sostituzione di legittima a norma dell’art. 551 cod. civ., il legittimario che preferisce rinunciare al legato viene a trovarsi nella medesima situazione di quello pretermesso dallo stesso testatore, la cui volontà era diretta a garantirgli il legato e non già la quota dell’eredità, con la conseguenza che egli non partecipa alla comunione ereditaria se non dopo aver esperito vittoriosamente l’azione di riduzione conseguendo la legittima di sua spettanza, dato che fino a tale momento restano valide le disposizioni che violano i diritti correlati alla quota di riserva (Cass., Sez. 2, 22/4/1992, n. 4800; Cass., Sez. 2, 05/04/1990, n. 2809).
In sostanza, per ammettersi che un legato sia in sostituzione anziché in conto di legittima è necessario che risulti una manifestazione certa ed univoca del testatore nel senso che determinati beni debbano essere attribuiti al legittimario e che tale attribuzione se accettata esaurisca le ragioni ereditarie del medesimo (Cass., Sez. 2, 26/5/1998, n. 5232), mentre in caso di rinuncia, il legato in sostituzione di legittima non si converte in legato in conto legittima, atteso che, in forza dell’effetto retroattivo della rinuncia, il lascito rientra nell’asse e viene devoluto secondo le regole ordinarie, fatta salva l’azione di riduzione e il diritto del legittimario pretermesso di conseguire la sua quota (Cass., Sez. 2, 14/4/2025, n. 9734).
6. In conclusione, dichiarata l’infondatezza del primo, del terzo e del quarto motivo e l’inammissibilità del secondo, il ricorso deve rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis
cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge – in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì il ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore liquidata in € 2.500,00, nonché al pagamento della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18/9/2025.
Il Presidente NOME COGNOME