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Usucapione tra coeredi: quando non si ha diritto

In un caso di divisione ereditaria, un coerede ha rivendicato la proprietà di un immobile per usucapione, sostenendo di averlo costruito e posseduto in via esclusiva. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che la costruzione su suolo altrui o comune non conferisce la proprietà dell’edificio, che spetta al proprietario del terreno per il principio di accessione, salvo accordi scritti. Inoltre, nel contesto familiare, l’uso esclusivo del bene è spesso interpretato come tolleranza, elemento che impedisce l’usucapione tra coeredi.

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Usucapione tra coeredi: la Cassazione chiarisce i limiti

L’istituto dell’usucapione, che consente di diventare proprietari di un bene altrui attraverso il possesso prolungato nel tempo, assume contorni particolarmente complessi quando si inserisce in un contesto familiare e successorio. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i rigorosi presupposti necessari per l’usucapione tra coeredi, sottolineando come la semplice gestione o utilizzo esclusivo di un bene ereditario non sia sufficiente a fondare un diritto di proprietà.

I fatti di causa: una divisione ereditaria contesa

La vicenda trae origine dalla domanda di divisione ereditaria del patrimonio lasciato da due genitori. Durante il procedimento, uno dei tre fratelli coeredi chiedeva, in via riconvenzionale, di essere dichiarato proprietario esclusivo di un immobile per usucapione. Sosteneva di averlo costruito a proprie spese su un terreno originariamente in comunione con il padre e di averlo posseduto ininterrottamente come unico proprietario per oltre vent’anni.

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello avevano respinto la domanda di usucapione. I giudici di merito avevano ritenuto che non fosse stata fornita la prova di un possesso esclusivo, tale da escludere il godimento del bene da parte degli altri coeredi, e che il rapporto di parentela suggerisse una situazione di mera tolleranza. Di conseguenza, si era proceduto alla divisione dei beni secondo le quote di legge.

La questione dell’usucapione tra coeredi e il possesso esclusivo

Il cuore della controversia giuridica ruota attorno ai requisiti dell’usucapione tra coeredi. Per usucapire un bene in comunione ereditaria, non basta dimostrare di averlo utilizzato in via esclusiva. È necessario provare di aver esercitato un possesso uti dominus, cioè con l’animo e il comportamento di chi si ritiene proprietario esclusivo, manifestando un’intenzione inconciliabile con la possibilità di godimento altrui.

Nel caso di specie, la Corte ha evidenziato come le azioni del coerede (costruzione, abitazione, manutenzione) non fossero sufficienti a integrare un possesso con queste caratteristiche. In un contesto familiare, tali attività possono essere facilmente interpretate come atti di gestione compiuti anche nell’interesse comune o, più semplicemente, come frutto della tolleranza degli altri parenti, come previsto dall’art. 1144 c.c.

Il principio di accessione e la forma degli atti

Un altro punto cruciale affrontato dalla Corte è il principio di accessione, disciplinato dall’art. 934 c.c. Secondo tale principio, qualsiasi costruzione esistente sopra il suolo appartiene al proprietario del suolo stesso. Anche se il fratello ricorrente aveva costruito l’immobile, poiché il terreno era di proprietà del padre (il de cuius), la proprietà del fabbricato si era automaticamente trasferita a quest’ultimo per accessione.

Per derogare a questo principio, sarebbe stato necessario un atto scritto (come la costituzione di un diritto di superficie o un atto di vendita), poiché i trasferimenti di diritti reali immobiliari richiedono la forma scritta ad substantiam, ovvero a pena di nullità. Le sole testimonianze, anche se avessero confermato un accordo verbale, non avrebbero potuto provare il trasferimento della proprietà del suolo o del fabbricato. Chi costruisce su suolo altrui, in assenza di un titolo idoneo, può al massimo vantare un diritto di credito per le spese sostenute.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato i motivi del ricorso inammissibili e infondati. In primo luogo, ha chiarito che la richiesta del ricorrente si risolveva in un tentativo di ottenere una nuova valutazione delle prove testimoniali, attività preclusa nel giudizio di legittimità.

Nel merito, la Corte ha confermato la correttezza della decisione d’appello. Le motivazioni della sentenza impugnata sono state ritenute ampie e logiche: non vi era prova di un possesso esclusivo e le deposizioni non potevano superare la necessità della forma scritta per l’acquisto della proprietà del terreno. Il principio di accessione era stato applicato correttamente: essendo il suolo di proprietà del de cuius, anche il fabbricato era entrato a far parte del suo patrimonio e, di conseguenza, della massa ereditaria da dividere. Infine, è stato dato giusto peso al vincolo di parentela come elemento indiziario della tolleranza, che esclude l’esistenza di un possesso valido ai fini dell’usucapione. Anche le censure relative alla divisione delle masse ereditarie sono state respinte per mancanza di specificità e pertinenza.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della decisione

L’ordinanza in esame offre importanti spunti pratici. In primo luogo, ribadisce che ottenere una pronuncia di usucapione tra coeredi è estremamente difficile. È necessario un comportamento che manifesti in modo inequivocabile la volontà di escludere gli altri contitolari dal godimento del bene. In secondo luogo, evidenzia l’importanza fondamentale della forma scritta per tutti gli atti che costituiscono o trasferiscono diritti reali su immobili. Accordi verbali o comportamenti di fatto non sono sufficienti a superare il principio di accessione. Infine, la decisione conferma che nei rapporti familiari, la presunzione è a favore della tolleranza, ponendo a carico di chi invoca l’usucapione un onere probatorio particolarmente gravoso.

È possibile usucapire un immobile costruito su un terreno in comunione con altri coeredi?
No, a meno che non si fornisca la prova rigorosa di un possesso esclusivo, con atti che manifestino in modo inequivocabile l’intenzione di escludere gli altri coeredi dal godimento del bene. La semplice costruzione e abitazione non sono sufficienti, specialmente in un contesto familiare dove tali atti possono essere interpretati come tolleranza.

Chi è il proprietario di un edificio costruito su un terreno di proprietà di un’altra persona?
Secondo il principio di accessione (art. 934 c.c.), il proprietario del suolo diventa automaticamente proprietario anche dell’edificio costruito su di esso. Per evitare questo effetto, è necessario un atto formale scritto, come la costituzione di un diritto di superficie o un atto di vendita. Chi ha costruito può vantare, al più, un diritto di credito per le spese sostenute.

Come viene interpretato il rapporto di parentela in un caso di usucapione tra coeredi?
Il vincolo di parentela è un elemento indiziario che gioca a sfavore di chi invoca l’usucapione. La giurisprudenza tende a interpretare l’uso esclusivo del bene da parte di un familiare come un atto di tolleranza da parte degli altri, il che esclude l’elemento soggettivo del possesso (l’intenzione di possedere come proprietario esclusivo), necessario per il perfezionamento dell’usucapione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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