Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 787 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 787 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
Oggetto: sanzioni
amministrative
ORDINANZA
sui ricorsi riuniti nn. R.G. 4916/2021 e 5586/2022, proposti da COGNOME rappresentato e difeso dall’ avv. NOME COGNOME con domicilio in Roma, alla INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME
-RICORRENTE –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME con domicilio in Roma, INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME ;
-CONTRORICORRENTE –
e
COGNOME, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME con domicilio in Roma INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME
-CONTRORICORRENTE-
avverso le sentenze n. 1725/2020 e n. 1500/2021 della Corte d’appello di L’Aquila, pubblicate rispettivamente in data 9.12.2020 e 12.10.2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9.11.2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha proposto domanda di divisione ereditaria del patrimonio di NOME COGNOME e NOME COGNOME instando per l’attribuzione delle quote e il pagamento dei frutti percepiti dai coeredi nel possesso dei beni.
Il convenuto NOME COGNOME ha chiesto di includere nella divisione taluni beni mobili detenuti da fratello NOME, oltre al rimborso pro quota delle spese sostenute nel comune interesse, per l’importo di € 12.000,00. NOME COGNOME, altro coerede, ha proposto riconvenzionale per l’accertamento dell’usucapione dell’immobile ubicato in INDIRIZZO di Avezzano.
Il Tribunale, con sentenza non definitiva n. 826/2016, ha respinto le domande di usucapione e di pagamento dei frutti e delle spese; ha condannato NOME COGNOME e NOME COGNOME a pagare al fratello NOME l’importo di € 163,23, rimettendo la causa in istruttoria.
Con successiva sentenza 1095/2017, ha proceduto alla divisione, regolando le spese.
NOME COGNOME ha impugnato, con separati atti di appello, entrambe le pronunce.
La Corte distrettuale, riuniti i giudizi, con sentenza non definitiva n. 1725/2020, ha respinto la riconvenzionale di usucapione, ritenendo che l’appellante non avesse mai esercitato un possesso esclusivo dell’immobile; con sentenza definitiva n. 1500/2021, ha confermato la disposta divisione, che prevedeva la formazione di quote distinte per ciascuna delle masse da dividere, dichiarando inammissibili le ulteriori censure.
Per la cassazione di entrambe le pronunce d’appello NOME COGNOME ha proposto autonomi ricorsi in cassazione, formulando tre motivi di ricorso avverso la sentenza non definitiva n. 1725/2020 e due motivi di censura avverso la sentenza definitiva n. 1500/2021.
COGNOME e NOME COGNOME resistono con controricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Va disposta la riunione dei ricorsi proposti separatamente da NOME COGNOME avverso le sentenze nn. 1725/2020 e 1500/2021 (Cass. 9192/2017; Cass. 17063/2019).
Il primo motivo di ricorso avverso la sentenza n. 1725/2020 denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c., vizio di motivazione e omesso esame di prove decisive, poiché, nel negare che il ricorrente avesse usucapito il primo piano dell’immobile in INDIRIZZO Avezzano, la Corte di appello
avrebbe omesso di confrontare le deposizioni dei testi, di valutarne la credibilità in base a elementi oggettivi e soggettivi e di apprezzare la convergenza con gli altri elementi di prova, avendo ritenuto credibili le deposizioni di soli tre testi, esaminando parzialmente e ritenendo generiche le altre deposizioni.
Risulterebbero indebitamente svalutate la dichiarazione del teste che aveva redatto il progetto di costruzione dell’immobile e che aveva riferito di avere ricevuto incarico dal ricorrente e di essersi raffrontato solo con quest’ultimo, e delle deposizioni che avevano confermato che NOME COGNOME aveva acquistato il terreno in comunione con il padre ed aveva poi realizzato ed abitato l’edificio, provvedendo alla manutenzione del terreno circostante.
Il secondo motivo deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1144 e 1159 c.c., sostenendo che tutti gli elementi emersi in istruttoria (affidamento dell’incarico di progettazione, realizzazione del manufatto, acquisto del suolo anche da parte del ricorrente, coltivazione e manutenzione del terreno) davano ampiamente conto del possesso esclusivo degli immobili da parte del resistente, non esercitato per mera tolleranza.
Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 934 c.c., 1159 c.c. e 183 c.p.c. per avere la Corte di merito omesso di considerare che il ricorrente aveva chiesto in via riconvenzionale di essere dichiarato proprietario esclusivo dell’immobile non solo per averlo usucapito, ma anche per
avere acquistato il suolo su cui era stata eretta la costruzione in comunione con il padre.
I tre motivi del ricorso avverso la sentenza non definitiva sono in parte inammissibili e comunque infondati, anzitutto perché -pur denunciando plurime violazioni di legge sostanziale e processuale – si risolvono in una richiesta di rivalutazione delle prove, non consentita in cassazione.
La sentenza, con ampia e logica esposizione delle ragioni della decisione, ha spiegato che non vi era prova dell’esercizio di un possesso esclusivo da parte del ricorrente e che le deposizioni testimoniali non potevano provare che NOME COGNOME avesse acquistato il terreno ove era stato eretto il fabbricato unitamente al padre (occorrendo la produzione del contratto scritto), dato che, per giunta, il terreno era intestato solo a NOME COGNOME.
Essendo il suolo di proprietà del de cuius , questi aveva acquistato per accessione anche il fabbricato, salvo contrario accordo, traslativo della proprietà del terreno o costitutivo di un diritto reale, che doveva rivestire la forma scritta ‘ad substantiam’ (Cass. s.u. 3873/2018 ; Cass. 25539/2019; Cass. 10480/2023); era dunque irrilevante che il manufatto fosse stato realizzato dal ricorrente, potendo questi vantare esclusivamente un diritto di credito per le spese sostenute.
Peraltro, come ha evidenziato la sentenza, non era decorso il termine ventennale per la maturazione dell’acquisto e mancava l’elemento soggettivo del possesso, avendo i coeredi concordato di dividere tutti i beni, nessuno escluso,
riconoscendo la situazione di comunione; appare, infine, legittimamente valorizzato anche il vincolo di parentela tra le parti, elemento indiziario dell’uso del bene per altrui tolleranza (Cass. 9661/2006; Cass. 17880/2019).
4. Con l’unico motivo del ricorso avverso la sentenza definitiva n. 1500/2021 si deduce la violazione degli artt. 720, 728, 1116, 2697 c.c. c.c., 116, 191 c.p.c., sostenendo che, essendo NOME COGNOME erede di NOME COGNOME per la quota di un terzo ma non avendo mai accettato l’eredità, occorreva procedere alla divisione di due masse distinte, essendo il diritto di accettazione transitato in capo agli ulteriori successibili ai sensi dell’art. 479 c.c.; il progetto divisionale elaborato dal c.t.u. era quindi inutilizzabile poiché prevedeva la formazione di tre quote per ciascuna comunione.
Il ricorrente contesta, infine, la declaratoria di inammissibilità dei motivi di appello che, a suo parere, contenevano censure specifiche alla sentenza di primo grado sia riguardo alla erronea formazione di un’unica massa, sia riguardo all’eccessivo frazionamento dei beni (principali e strumentali) e alla mancata considerazione delle situazioni di possesso consolidatesi nel tempo, tali da consigliare una diversa assegnazione delle quote tra i diversi coeredi.
Il motivo è infondato.
I motivi (nn. 1, 2, 4, 5, 6 e 7), dichiarati inammissibili ai sensi dell’art. 342 c.p.c., vertevano sulla congruità del valore attribuito alle masse ereditarie e delle singole quote e sulla correttezza della quantificazione dei conguagli, deducendo
l’impossibilità di formare una massa unica, trattandosi di due distinte eredità.
Si denunciava poi l’eccessivo frazionamento dei beni risultante dalla divisione.
L’esame dell’atto di appello conduce a confermarne l’inammissibilità per difetto di specificità e pertinenza.
Difatti, sebbene il c.t.u. avesse unificato le due masse da dividere, il Tribunale aveva considerato separatamente le due eredità, formando per ciascuna di esse tre quote sulla base dei valori di stima risultanti dalla consulenza.
Nell’atto di appello si insisteva sulla necessità di rinnovare la c.t.u. per l’impossibilità di recepire il primo progetto, che prevedeva la divisione di una massa unica, progetto che il Tribunale aveva -tuttavia -già accantonato.
In sostanza le critiche mosse dall’appellante erano focalizzate essenzialmente su un profilo (la pluralità di masse) ormai superato dalla separata divisione delle due masse disposta dal Tribunale, risultando non pertinenti, senza proporre censure specifiche e adeguatamente argomentate alle soluzioni adottate riguardo alla formazione delle porzioni per ciascuna massa e alla valutazione dei cespiti.
Quanto ai restanti motivi di appello, la Corte distrettuale ha escluso in fatto un’eccessiva parcellizzazione dei beni risultante dalla divisione (con riferimento ad una tettoia, un deposito e un garage), evidenziando che detti cespiti erano stati inseriti nella seconda porzione e che le quote erano state formate in modo da ridurre al minimo le somme dovute a
titolo di conguaglio, con motivata selezione delle soluzioni praticabili.
I ricorsi vanno pertanto respinti, con aggravio elle spese processuali.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta entrambi i ricorsi riuniti e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in € 200,00 per esborsi ed €. 9000,00 per compensi in favore di ciascun controricorrente, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda