Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1279 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1279 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32447/2019 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura in calce al ricorso,
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura in calce al controricorso, -controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI n.240/2019 depositata il 14.3.2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9.1.2024 dal
Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione in data 18.4.2013 COGNOME NOME (al quale nelle more del giudizio di primo grado subentrava, quale unica erede, la vedova COGNOME NOME) conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Oristano la madre, NOMECOGNOME chiedendo di essere riconosciuto proprietario per usucapione della casa di civile abitazione sita in Comune di Usellus (OR), INDIRIZZO (in catasto fabbricati a foglio 16, particella 707), e dell’adiacente terreno pertinenziale (in catasto terreni a foglio 16, mappale 683). Sosteneva l’attore che aveva posseduto uti dominus i suddetti immobili, pervenuti alla madre per successione al fratello originario intestatario, NOME, fin dal 1989, realizzando una nuova recinzione, pulendo il terreno, utilizzandolo come parcheggio e magazzino, effettuando riparazioni ordinarie e straordinarie della casa, realizzandovi importanti miglioramenti e pagando le utenze e le tasse relative, ed in via subordinata chiedeva la condanna della convenuta al rimborso delle spese sostenute per le migliorie e le addizioni.
Si costituiva nel giudizio di primo grado NOME COGNOME che contestava che l’attore avesse esercitato sugli immobili suddetti il possesso uti dominus, avendo lo stesso ricevuto a titolo di comodato precario la detenzione dell’abitazione da parte dello zio, NOMECOGNOME poi tollerata dalla convenuta dopo la morte del predetto, ed avendo ricevuto, sempre in comodato precario, il terreno da parte della madre, senza che i contratti di comodato
fossero formalizzati per l’esistenza di stretti rapporti di parentela fra le parti.
La convenuta sosteneva che gli interventi erano stati realizzati dal comodatario per il miglior godimento dell’immobile, al di fuori delle previsioni dell’art. 1808 comma 2° cod. civ., e che eventuali diritti al rimborso dell’attore erano prescritti, ed in via riconvenzionale chiedeva la restituzione degli immobili.
Il Tribunale di Oristano, con la sentenza n. 266 del 27.3.2017, accoglieva le domande di usucapione, e condannava la Deiola al pagamento delle spese processuali.
Impugnata tale sentenza da NOME COGNOME contrastata dalla Fulghesu, la Corte d’Appello di Cagliari, con la sentenza n.240/2019 del 21.2/14.3.2019, rigettava l’appello e condannava la COGNOME al pagamento delle spese processuali di secondo grado.
Avverso tale sentenza, non notificata, ha proposto ricorso alla Suprema Corte NOME NOME COGNOME affidandosi a quattro motivi. Resiste COGNOME NOME con controricorso.
La sola COGNOME ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
La causa é stata trattenuta in decisione nell’adunanza camerale del 9.1.2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli articoli 1140 e 1158 cod. civ..
Si duole la ricorrente che l’impugnata sentenza, non attribuendo il giusto peso al progetto di ristrutturazione dell’abitazione di Usellus, INDIRIZZO del 2003, a firma del committente NOME COGNOME (documenti 10 e 11 prodotti dalla stessa parte attrice in primo grado), ed alla testimonianza resa dal geometra NOME COGNOME secondo la quale la pratica amministrativa relativa era stata curata esclusivamente da COGNOME NOMECOGNOME abbia finito per riconoscere in capo a quest’ultimo l’esercizio di un possesso uti dominus
ultraventennale, laddove invece presentando il progetto di ristrutturazione al Comune di Usellus, Pitzalis NOME avrebbe riconosciuto lo zio NOME come proprietario dell’abitazione.
Col secondo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione dell’art. 1141 comma 1° e dell’art. 1158 cod. civ..
Si duole la COGNOME che l’impugnata sentenza non abbia considerato che COGNOME NOME avrebbe acquisito nel maggio 1989 la detenzione dell’abitazione di Usellus dallo zio NOMECOGNOME a titolo di comodato precario, allorché era tornato ad abitare in paese, e che successivamente avrebbe ricevuto in comodato precario dalla madre NOME il terreno pertinenziale per parcheggiarvi l’autovettura e tenervi le piastrelle che usava per il lavoro, come emerso dalla testimonianza resa dal cognato dell’originario attore, NOME NOME. Tutto ciò, insieme al progetto di ristrutturazione a firma di NOME, avrebbe dovuto indurre a qualificare come detenzione, e non come possesso, il godimento dei beni da parte di COGNOME NOME, con conseguente esclusione dell’usucapione.
Col terzo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n.3) c.p.c., la violazione dell’art. 1141 comma 2° e dell’art. 1158 cod. civ..
Si duole la ricorrente che l’impugnata sentenza, nonostante il progetto di ristrutturazione dell’abitazione del 2003 prodotto, che indicava come committente dei lavori NOME COGNOME che l’aveva sottoscritto, e nonostante la deposizione del tecnico del Comune di Usellus, geom. NOME COGNOME che aveva riferito che la pratica amministrativa relativa al progetto era stata seguita personalmente da COGNOME NOMECOGNOME non abbia ritenuto necessaria la prova da parte di quest’ultimo dell’ interversio possessionis ai fini della maturazione dell’usucapione, non essendo allo scopo sufficiente il trasferimento di residenza nell’immobile di causa e l’intestazione delle utenze relative a COGNOME NOME.
I primi tre motivi, esaminabili congiuntamente, in quanto tutti volti a contrastare la sussistenza del presupposto del possesso pacifico, pubblico, ininterrotto ed ultraventennale uti dominus sugli immobili oggetto di causa da parte di COGNOME NOME sono inammissibili.
Ed invero, benché siano richiamate nei tre primi motivi le violazioni di legge degli articoli 1140 (nozione di possesso), 1141 (mutamento della detenzione in possesso) e 1158 cod. civ. (presupposti dell’usucapione dei beni immobili), la ricorrente non lamenta che la Corte d’Appello di Cagliari abbia utilizzato una nozione non corretta di tali articoli, ma del fatto che abbia compiuto una ricostruzione della fattispecie concreta non corrispondente alle sue aspirazioni, avendo ritenuto non provato che il godimento dell’abitazione di Usellus, e del terreno di pertinenza recintato, a partire dal maggio 1989, da parte di COGNOME NOME sia iniziato a titolo di comodato precario, escludendo per tale ragione la necessità della prova di un’ interversio possessionis ai fini dell’usucapione.
In realtà, la Corte d’Appello di Cagliari ha ricostruito i fatti sulla base delle deposizioni concordanti ed attendibili rese dai testimoni vicini di casa o ex dipendenti di COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, non senza evidenziare che la circostanza che il progetto dei lavori di ristrutturazione dell’abitazione del 2003 fosse stato firmato come committente dall’intestatario NOME COGNOME in un’epoca in cui l’usucapione non era ancora maturata, non era dirimente, in quanto dalla deposizione indifferente di NOME era emerso che tutte le pratiche per i lavori di ristrutturazione erano state seguite in via esclusiva da COGNOME NOME
A tale ricostruzione la ricorrente pretenderebbe di contrapporre una contraria interpretazione del progetto di ristrutturazione del 2003, autonomamente considerato prova della mancanza di poteri dominicali in capo a COGNOME NOME, e la deposizione di COGNOME NOMECOGNOME
genero di NOME COGNOME relativa all’asserita concessione in comodato degli immobili a COGNOME NOME, che la Corte d’Appello di Cagliari ha considerato inattendibile per avere reso una deposizione contrastante con le testimonianze dei figli della ricorrente, COGNOME NOME, NOME e NOME, e con la stessa ricostruzione dei fatti fornita da NOME COGNOME.
La ricorrente coi primi tre motivi si é limitata ad allegare un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo , della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, ma tale doglianza non attiene all’esatta interpretazione delle norme di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 28.12.2023 n. 36300; Cass. 30.12.2015 n.26110; Cass. sez. lav. 26.3.2010 n. 7394). La prospettazione critica della ricorrente neppure coinvolge l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo invece propriamente la stessa nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo .
Come ribadito di recente dalla Suprema Corte (vedi Cass. 13.12.2023 n.34996; Cass. 8.3.2022 n. 7523) ” compito della Corte di Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere a una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito, dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile ‘.
Col quarto motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la violazione degli articoli 116, 246 e 247 c.p.c..
Si duole NOME che l’impugnata sentenza abbia considerato inattendibili le deposizioni rese dai suoi figli, NOME NOME, NOME e NOME, solo perché a lei legati dal vincolo di parentela, pur avendo la Corte Costituzionale con la sentenza n. 248 del 23.7.1974 precisato che dal solo vincolo parentale non deriva automaticamente alcun principio di necessaria inattendibilità del testimone, e sulla base di un interesse di mero fatto a fare rientrare i beni immobili oggetto di causa nel patrimonio della madre, in vista di un’eventuale futura successione, ancorché l’art. 246 c.p.c. preveda l’incapacità a testimoniare delle sole persone che abbiano un interesse attuale alla partecipazione al giudizio.
Innanzitutto non é vero che l’impugnata sentenza, così come quella di primo grado, abbia ritenuto inattendibili le testimonianze di COGNOME NOME, NOME e NOME, figli di NOME, solo per l’esistenza di un rapporto di parentela, avendo al contrario ritenuto di non poter dare credito circa la sussistenza del comodato precario degli immobili di causa e l’uso degli stessi anche da parte dei fratelli dell’originario attore, in quanto tra loro deposizioni contraddittorie (vedi motivazione alle pagine 9 e 10 della sentenza impugnata) ed evidenzianti un interesse dei testi ad escludere l’usucapione dei beni per farli rientrare nel patrimonio di famiglia, in vista di un’eventuale futura successione alla madre.
In ogni caso il motivo in questione va respinto, in quanto é riservata al giudice di merito la valutazione discrezionale della attendibilità dei testimoni alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito
della lite), con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, può essere sufficiente a motivare una valutazione negativa (Cass. 22.6.2023 n.17855; Cass. 9.8.2019 n. 21239).
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico della ricorrente ed in favore dello Stato ai sensi dell’art. 133 del D.P.R. n. 115/2002 in quanto la controricorrente è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1 -quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico della ricorrente, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, sezione seconda civile, respinge il ricorso. Condanna COGNOME NOME al pagamento in favore dello Stato delle spese processuali del giudizio di legittimità di COGNOME NOME, liquidate in € 200,00 per spese ed € 3.000,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%. Visto l’art. 13 comma 1 -quater D.P.R. n. 115/2002 dà atto che sussistono i presupposti per imporre un ulteriore contributo unificato a carico della ricorrente, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9.1.2024