Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12817 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12817 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3156/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché
NOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 1449/2020 depositata il 15/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1. nel 2018, NOME COGNOME citò davanti al Tribunale di Pavia il marito NOME COGNOME, il cognato NOME COGNOME e la suocera COGNOME NOME, sia in proprio sia quali eredi di NOME COGNOME, padre di NOME e NOME Peter e marito della COGNOME, per sentire accertare che gli immobili siti in INDIRIZZO, in Comune di Ceranova (PV), identificati in catasto al foglio 3, mappale 1518, sub. 5, 8 e 6 erano divenuti di sua proprietà dal gennaio 1988 per usucapione. Espose che, nel 1988, NOME COGNOME le aveva promesso di costituire gli immobili in sua dote in vista del matrimonio con il figlio NOME, che la costituzione in dote non si era potuta realizzare per incompatibilità con la riforma del diritto di famiglia, che, sempre nel gennaio 1998, NOME COGNOME le aveva allora detto che le avrebbe ‘regalato’ gli immobili, che neppure la donazione si era perfezionata, che ciononostante NOME COGNOME le aveva consegnato i beni, che essa attrice si era opposta a restituire ai COGNOME e alla COGNOME le chiavi dei beni ed aveva, dal gennaio 1998 in poi, sempre posseduto i beni in via esclusiva anche dopo il matrimonio con NOME COGNOME avvenuto nell’agosto del 1998. I convenuti restarono contumaci. Intervenne in causa la RAGIONE_SOCIALE, poi divenuta RAGIONE_SOCIALE quale creditore ipotecario procedente in una esecuzione immobiliare
iniziata contro i convenuti nel 2013 davanti allo stesso Tribunale di Pavia, opponendosi alla domanda. Il Tribunale rigettò la domanda ritenendo, sulla scorta di documenti prodotti dalla COGNOME, che la attrice non avesse avuto il possesso (esclusivo) degli immobili, ma ne fosse stata detentrice avendovi abitato quale moglie di NOME COGNOME comproprietario insieme al fratello NOME COGNOME e insieme al suocero NOME COGNOME e alla suocera NOME COGNOME usufruttuari. I documenti a cui il Tribunale ebbe riguardo furono la relazione dell’atto di precetto prodromico alla esecuzione nella quale l’ufficiale giudiziario aveva attestato che l’atto era stato consegnato negli immobili a NOME COGNOME dichiaratasi moglie convivente di NOME COGNOME e madre convivente di NOME COGNOME; le quattro relazioni, con date tra il marzo 12016 e il giugno 2018, del custode giudiziario nominato nel procedimento esecutivo, nelle quali il custode, da un lato, dava atto della presenza negli immobili ‘degli esecutati’, ossia dei Cataldo e della Murdocco, da un altro lato, non dava conto della presenza della Deluca; il verbale in data 30 novembre 2017, di accesso dell’ufficiale giudiziario , affiancato ‘all’IVG’ , in cui si dava atto della presenza negli immobili degli esecutati; le relazioni del CTU del processo esecutivo, in cui si dava conto dello stato di fatto degli immobili, che erano descritti come abitazioni dei Cataldo; il certificato anagrafico della famiglia COGNOME, attestante che la famiglia aveva vissuto negli immobili dal 2010 e che, in particolare, in quell’anno vi si era trasferita, provenendo dal Comune di Opera, l’ attrice con il marito NOME e i figli. La Corte di Appello di Milano, con sentenza 1149 del 2020, confermava la decisione di primo grado dopo avere dichiarato inammissibile la querela di falso proposta dall’ appellante a riguardo dei documenti prodotti dalla COGNOME, in ragione del fatto che la querela era riferita genericamente a tutti i documenti senza alcuna indicazione in relazione a specifiche affermazioni false nei singoli documenti e che
le prove indicate a sostegno della falsità riguardavano circostanze fattuali non idonee a dimostrare la presenza di affermazioni false.
la Deluca ricorre per la cassazione della sentenza della Corte di Appello con due motivi avversati dalla Dovalue con controricorso;
la ricorrente ha depositato memoria;
considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 1140, 1141, 1158, 982, 1015. 1372, 2643, 2644, 2651, 2699, 2700, 2702, 2721, 2725, 2697, 2729 c.c., 112, 115, 116, 221, 132, cod. proc. civ. , in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 e n. 4, cod. proc. civ. La ricorrente sostiene di essere stata erroneamente qualificata dalla Corte locale come detentrice degli immobili in base a prove documentali ‘contraddittorie e comunque inidonee a fondare la decisione’. Sostiene che la sentenza era incorsa in errore nel ritenere NOME COGNOME e NOME COGNOME possessori degli immobili, laddove essi erano nudi proprietari degli immobili e NOME COGNOME e NOME COGNOME ne erano, in origine, gli usufruttuari e i possessori. Ribadisce di essersi sempre comportata da proprietaria dei beni in questione, per oltre venti anni dal gennaio 1988, di avere sempre amministrato e gestito gli immobili a sua cura e spese e di aver provveduto alla loro manutenzione straordinaria ed ordinaria, di avere mutato la iniziale detenzione in possesso opponendo rifiuto alla richiesta dei COGNOME e della COGNOME di restituzione delle chiavi degli immobili e impedendo loro di accedervi. La ricorrente deduce che neppure il marito NOME COGNOME aveva vissuto negli immobili, avendo invece vissuto con la madre e che, anche ove fosse emerso il contrario, poiché il matrimonio aveva avuto luogo in epoca successiva al gennaio 1998, la convivenza non avrebbe avuto effetto interruttivo del possesso. La ricorrente sostiene che la Corte d’a ppello avrebbe dovuto ammettere i capitoli di prova per interrogatorio e per testi, utili a dimostrare che la stessa aveva
effettuato lavori negli immobili, che ‘aveva rifiutato in modo categorico, di riconsegnare le chiavi’, che aveva posseduto gli immobili per oltre venti anni, che essa soltanto vi aveva abitato anche dopo il matrimonio;
2. con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 112, 115, 116, 221, 335, 132, cod. proc. civ. , in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 e n. 4, cod. proc. civ., nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, discusso tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n.5, cod. proc. civ. La ricorrente sostiene che la Corte d’a ppello, nel non ammettere, con motivazione illogica, la querela di falso, avrebbe violato la legge. Sostiene che la querela era sorretta dalla richiesta di prova per interrogatorio e per testi sul fatto che ella era sempre stata ‘separata di fatto’ dal marito, dalle risultanze delle relazioni del custode giudiziario, da cui emergeva che quest’ultimo non era mai entrato nell’immobile fino al giugno del 2018, nonché da richieste di ordine di esibizione rivolte alla COGNOME e al custode giudiziario riguardo a verbali di accesso risalenti al settembre 2018 con relativi allegati, e da un provvedimento del giudice della proceduta esecutiva intentata dalla COGNOME, con il quale era stato concesso alla ricorrente di vivere nell’immobile con i figli ed era stato invece ordinato ai Cataldo e alla Murdocco di rilasciarli;
3. il secondo motivo deve essere esaminato con priorità rispetto al primo dato che esso afferisce alla prova documentale che è stata dalla Corte di Appello ritenuta fondamentale per escludere che la ricorrente avesse avuto il possesso (esclusivo) utile ad usucapionem.
Il motivo è inammissibile per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.) perché non tocca l’affermazione della Corte di Appello per cui la querela di falso proposta contro i documenti era inammissibile ai sensi dell’art. 221 cod. proc. civ., in quanto riferita genericamente a tutti i documenti senza alcuna indicazione riguardo a specifiche
affermazioni false nei singoli documenti. Il motivo attacca solo l’ulteriore e ultronea affermazione della Corte territoriale per cui le prove che, secondo la prospettazione dell’allora appellante, avrebbero dovuto essere utili a dimostrare la falsità riguardavano invero circostanze fattuali non idonee allo scopo. La pronuncia impugnata è, al contrario di quanto sostiene la ricorrente, evidentemente non viziata da illogica motivazione, posto che il ragionamento in diritto espresso dalla Corte d’a ppello costituisce piena applicazione dell’art 221, secondo comma, cod. proc. civ., secondo cui non è ammissibile la querela di falso che non contenga, nell’atto iniziale della sua proposizione, l’indicazione delle prove della falsità del documento impugnato e l’enunciazione specifica delle ragioni che inducano la parte a ritenere tale falsità (v. al riguardo, tra molte, Cass. n. 2277 del 15/04/1981);
4.il primo motivo è inammissibile. Il motivo veicola il duplice tentativo di ottenere da questa Corte di legittimità una rilettura dei documenti dai quali la Corte di Appello ha tratto che gli immobili erano stati occupati dai Cataldo e dalla Murdocco, che la ricorrente vi si era trasferita con il marito che ne era comproprietario, che la ricorrente non ne aveva quindi avuto il possesso e una rivalutazione del giudizio di irrilevanza delle prove, per interrogatorio e per testi, utili, secondo la ricorrente, a dimostrare che essa aveva effettuato lavori negli immobili, ‘aveva rifiutato in modo categorico, di riconsegnare le chiavi’ ai Cataldo nel 1998, aveva dunque posseduto gli immobili per oltre venti anni. Simili tentativi vengono avanzati senza tener conto del principio per cui ‘sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché
la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento’ (Cass. Sez. 2, ordinanza n.21187 del 08/08/2019);
in conclusione il ricorso deve essere rigettato;
le spese seguono la soccombenza;
PQM
la Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 5 .500,00, per compensi professionali, €200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma 19 marzo 2025.