Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1413 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1413 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2600/2023 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonché contro
FALLIMENTO NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 5487/2022 depositata in data 08/09/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato in data 9 luglio 2013 NOME COGNOME conveniva in giudizio, dinanzi il Tribunale Ordinario di Civitavecchia, NOME COGNOME ed il Fallimento n. 238/2011 di NOME COGNOME per ivi sentir accertare e dichiarare, nei confronti di esse convenute, l’acquisto a titolo orig inario per intervenuta usucapione, della piena proprietà in capo al medesimo attore dell’immobile sito in Fiumicino, località INDIRIZZO, alla INDIRIZZO
Si costituivano in giudizio le parti convenute chiedendo l’integrale rigetto della domanda attorea.
Il Tribunale adito rigettava la domanda di usucapione.
NOME COGNOME proponeva appello
Si costituivano in giudizio le parti appellate chiedendo il rigetto del gravame
L a Corte d’Appello di Roma rigettava l’appello. In primo luogo, riteneva corretta la ricostruzione della vicenda operata dal Tribunale sulla base della esistenza di un rapporto concessorio risalente al 1960 rispetto al quale non risultavano provati atti di interversione della detenzione in possesso.
Quanto alla costruzione del fabbricato sull’immobile da parte del concessionario, dante causa delle parti, trovavano applicazione in difetto di un diverso titolo o previsione di legge i principi generali dell’accessione ex art. 934 c.c., con esclusione quindi del dedotto venir meno del rapporto di detenzione qualificata esistente in capo al concessionario.
Quanto all’utilizzo esclusivo del bene successivamente al decesso del dante causa, non vi era prova del mutamento del compossesso in possesso esclusivo secondo la condivisibile interpretazione giurisprudenziale dell ‘ istituto (Cass. sez. 2 ordinanza n. 9359 del 8/4/2021)
Doveva ritenersi che non dessero luogo a manifestazioni di volontà di possedere uti dominus l’utilizzo come abitazione del nucleo familiare e i pagamenti delle utenze documentati dall’ appellante in ragione della loro piena compatibilità con il godimento del bene. Lo stesso disbrigo delle pratiche per la sanatoria dell’immobile doveva ritenersi svolto anche nell’ interesse degli altri coeredi. Infine, l’avvenuto acquisto nel 2001 della proprietà del terreno da parte di tutti i coeredi costituiva un fatto idoneo ad interrompere qualsiasi possesso per mancanza dell’animus in capo all’attore.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione.
9 NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il Presidente di Sezione ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
A seguito di tale comunicazione, la parte ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
12 . Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ., il controricorrente ha depositato memoria insistendo nelle proprie richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 c.c. e dell’art. 934 c.c.
Secondo il ricorrente nel caso di specie i principi dell’accessione non valgono per s é stessi ad escludere l’usucapione del solo fabbricato che insiste sul suolo non oggetto della domanda, posto che proprio la norma richiamata dal giudice del gravame (art. 934 c.c.) fa salva l’ipotesi in cui la legge ovvero il titolo prevedano diversamente rispetto alla regola generale di presunzione iuris tantum .
In altri termini la possibilità di acquistare il fabbricato per usucapione sarebbe proprio uno di quei casi in cui la legge prevede una deroga alla regola generale per cui il medesimo bene dovrebbe appartenere al proprietario del suolo per accessione.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 c.c. ed ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti
La Corte d’Appello non avrebbe tenuto in alcuna considerazione la circostanza -oggetto di contestazione tra le parti ed emersa in maniera del tutto pacifica in sede di prova orale -che l’attore ha sempre vissuto nell’immobile per cui è causa, curandone
la manutenzione e la ristrutturazione. Secondo il ricorrente, rispetto al fabbricato non sono mai esistiti comproprietari che, semmai, esistevano rispetto al terreno. Inoltre, tutte le attività che NOME COGNOME ha realizzato sin dalla costruzione del fabbricato dovrebbero considerarsi come atti di interversione del possesso.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 1144 c.c
La censura attiene all’erronea affermazione circa la tolleranza da parte dei comproprietari. La circostanza che l’attività svolta sul bene abbia avuto durata non transitoria e sia stata di non modesta entità assumerebbe efficacia di valore presuntivo circa l’esclusione dell’esistenza di una mera tolleranza. NOME COGNOME per oltre vent’anni ha abitato nella casa de qua con la sua famiglia, l’ha ristrutturata ed ha sempre provveduto alla sua manutenzione occupandosi persino, uti dominus , della domanda di sanatoria. Questi sarebbero certamente fatti rilevanti e non di modesta entità che testimonierebbero una relazione duratura con il bene, tale da escludere l’esistenza di una mera tolleranza da parte degli altri presunti aventi diritto. Peraltro, per essere tolleranti rispetto alla detenzione altrui bisogna essere proprietari di un bene e per essere proprietari di un bene immobile, in particolare, bisogna che tale qualità sia stata acquisita con atto pubblico, cosa impossibile ove il cespite sia abusivo come nel caso di specie.
La proposta di definizione del giudizio formulata dal Presidente di Sezione ai sensi dell’art. 380 -bis è del seguente tenore:
1° motivo: non coglie la ratio della decisione impugnata, la quale ha ritenuto l’originaria situazione di detenzione qualificata del
terreno estesa anche al fabbricato ivi edificato dal dante causa del ricorrente, in assenza di prova di atti di interversione del possesso;
2° motivo: denuncia l’omesso esame di fa tto decisivo nella ricorrenza di un’ipotesi di ‘doppia conforme’ e comunque si risolve in una censura di merito relativa all’accertamento del fatto e alla valutazione delle prove acquisite (il giudice di merito ha ritenuto l’uso del fabbricato quale abitaz ione familiare del ricorrente, il pagamento delle utenze, o il disbrigo di pratiche edilizie, insufficienti a provare il possesso uti dominus anziché uti condominus ), profili del giudizio che non sono sindacabili in sede di legittimità (Cass., Sez. Un., n. 898 del 14/12/1999), risultando la motivazione della sentenza impugnata non apparente né manifestamente illogica (cfr. Cass., Sez. Un., n. 8053 del 07/04/2014), dovendosi peraltro ribadire che spetta soltanto al giudice del merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee alla dimostrazione dei fatti (Cass., Sez. Un., n. 5802 del 1998);
3° motivo: la statuizione impugnata è coerente con l’orientamento di questa Corte (art. 360 bis n. 1 c.p.c.), secondo cui la circostanza che l’attività svolta sul bene abbia avuto durata non transitoria e sia stata di non modesta entità, cui normalmente può attribuirsi il valore di elemento presuntivo per escludere che vi sia stata tolleranza, è destinata a perdere tale efficacia nel caso in cui i rapporti tra le parti siano caratterizzati da vincoli particolari, quali quelli di parentela o di società, in forza di un apprezzamento di fatto, peraltro, demandato al giudice di merito (cfr. Cass. n. 9661 del 27/04/2006).
Il ricorrente insiste nella richiesta di accoglimento del ricorso ritenendo sussistere i presupposti per dichiarare l’usucapione in suo favore del fabbricato.
Il Collegio non è di questo avviso, ritenendo condivisibile il contenuto della proposta ex art. 380-bis cod. proc. civ.
L’istanza della parte ricorrente non offre argomenti ulteriori rispetto a quelli contenuti nel ricorso.
La Corte d’appello ha correttamente ritenuto che non ricorressero atti di interversione della detenzione in possesso e che la detenzione del terreno implicava analoga situazione per il bene costruito su di esso e che la costruzione di per sé non poteva costituire atto di interversione così come le altre attività poste in essere dal ricorrente.
Va ribadito il seguente principio di diritto: in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (tra le varie, v. Sez. 1, Ord. n. 3340 del 2019).
Nel caso in esame, la violazione dedotta dunque non ricorre. Inoltre, deve ribadirsi quanto affermato con la proposta circa l’inammissibilità del secondo motivo nella parte in cui lamenta l’omesso esame della circostanza che il COGNOME aveva sempre vissuto nell’immobile, curandone la manutenzione e la
ristrutturazione. Infatti, in ipotesi di c.d. ‘ doppia conforme ‘ tale censura non è ammissibile. Peraltro, deve richiamarsi anche il seguente principio di diritto: Nell’ipotesi di ‘ doppia conforme ‘ prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528/2014), adempimento nella specie non svolto.
Quanto al terzo motivo, la sentenza è conforme alla giurisprudenza di questa Corte in tema di usucapione secondo la quale per stabilire se un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o altro diritto reale sia stata compiuta con l’altrui tolleranza e sia quindi inidonea all’acquisto del possesso, la lunga durata dell’attività medesima può integrare un elemento presuntivo nel senso dell’esclusione della tolleranza qualora non si tratti di rapporti di parentela, ma di rapporti di mera amicizia o buon vicinato, giacché nei secondi, di per sé labili e mutevoli, è più difficile, a differenza dei primi, il mantenimento della tolleranza per un lungo arco di tempo ( ex plurimus Sez. 2, Ordinanza n. 11315 del 10/05/2018; Sez. 2, Sentenza n. 11277 del 29/05/2015, Sez. 2, Sentenza n. 4237 del 20/02/2008).
Infine, il ricorrente non svolge alcuna critica alla parte della sentenza con la quale la Corte d’Appello ha evidenziato che l’atto di acquisto del 2001 della proprietà del terreno da parte di tutti i coeredi costituisce un fatto idoneo ad interrompere qualsiasi possesso per mancanza dell’animus possidendi in capo all’attore. A tal proposito deve osservarsi che, ove la sentenza sia sorretta da
una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9752 del 18/04/2017).
Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge -in favore della cassa delle ammende.
Deve richiamarsi in proposito la recente pronunzia delle Sezioni Unite che ha affermato il seguente principio di diritto: In tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis, comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma
dell’art. 96 c.p.c. – codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché non attenersi ad una valutazione del proponente poi confermata nella decisione definitiva lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Sez. U – , Ordinanza n. 27433 del 27/09/2023, Rv. 668909 – 01).
6. Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti delle due parti controricorrenti che liquida rispettivamente in favore di NOME COGNOME in euro 3.500,00 (tremilacinquecento) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge e in favore del Fallimento di NOME COGNOME di euro 3.000,00 (tremila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge;
condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento, in favore delle due parti controricorrenti, di una somma ulteriore pari a quella sopra liquidata rispettivamente per compensi pari a 3.500,00 euro in favore di NOME COGNOME e a 3.000,00 euro in favore del Fallimento di NOME COGNOME, nonché al pagamento della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda