Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8517 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 8517 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. iscritto al n. n. 5279/2024 RG, proposto da COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti-
COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE -controricorrenti- avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 2485/2023 depositata il 28/12/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Viste le conclusioni motivate, ai sensi dell’art. 23, comma 8 -bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, formulate dal P.M. in persona del
Sostituto Procuratore Generale, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale che ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte. Uditi l’avvocato COGNOME per i ricorrenti e l’avv. NOME COGNOME per i controricorrenti.
FATTI DI CAUSA
1. ─ NOME COGNOME dopo avere ottenuto con sentenza del 2012, l’accertamento della propria qualità di figlio di COGNOME NOME fu NOME, deceduto a Padova il 6.3.1948, ha chiamato in giudizio, dinanzi al Tribunale di Venezia, NOME, NOMECOGNOME NOME e NOME COGNOME, eredi di NOME COGNOME e NOME. Ha precisato che NOME COGNOME era erede testamentario di NOME COGNOME, sorella del genitore naturale e istituita unica erede nel testamento di lui pubblicato il 10.4.1948. L’accertamento del rapporto di filiazione importava la revocazione del testamento, con il quale il genitore aveva istituito NOME COGNOME e l’apertura della successione legittima in favore dei COGNOME quale unico erede ab intestato . Il giudizio fu iscritto al n. R.G. 315/2013 e la questione della revocazione del testamento, oggetto di sentenza non definitiva del Tribunale n. 1533/2016, è stata diversamente risolta dai giudici di merito: la revocazione del testamento, riconosciuta in primo grado con la menzionata sentenza, fu poi negata in appello con sentenza n. 504 del 2018, con la quale la Corte veneziana ha parzialmente annullato la decisione di primo grado. La domanda di revocazione del testamento di NOME fu NOME è stata infine definita in sede di rinvio dalla Corte d’appello di Venezia con sentenza n. 2991/2021 del 3 dicembre 2021. Tale sentenza ha riconosciuto l’esistenza dei presupposti della revocazione, in applicazione del principio di diritto stabilito da Cass. n. 13680/2019. In base al principio di diritto somministrato dalla Suprema corte al giudice di rinvio, la norma dell’art. 687 c.c. è
applicabile anche là dove l’accertamento giudiziale della filiazione sia stato compiuto nei confronti di un soggetto che abbia testato nella consapevolezza di avere già un figlio, riconoscendo il fondamento oggettivo dell’art. 687 c.c.
In applicazione di tale principio, il giudice di rinvio, una volta dichiarata la revocazione, ex art. 687 c.c., del testamento del COGNOME NOME fu NOME e la conseguente apertura della successione legittima, accertava e dichiarava che NOME NOME, quale unico erede ex lege del COGNOME NOME fu NOME, era il legittimo proprietario dei beni censiti al Catasto urbano del Comune di Venezia al foglio 16, particella n. 1753 sub 3 e al foglio 16, particella n. 1753 sub 7.
2. ─ Nella causa n. R.G. 315/2013, il COGNOME NOME aveva altresì chiesto ed ottenuto sequestro giudiziario in esecuzione del quale il custode aveva preso in consegna un appartamento e un magazzino, immobili apparentemente corrispondenti a quelli indicati nella sentenza parziale del Tribunale di Venezia n. 1533 del 2016. Si scoprì poi che uno dei due immobili, entrambi consegnati dal custode al COGNOME dopo la pronunzia della sentenza, non era quello compreso nel sequestro; quindi, i fratelli COGNOME COGNOME, dopo avere intimato il rilascio del diverso immobile in Comune di Venezia, riportato in catasto al foglio 16, particella 1753 sub 6, con ulteriore ricorso depositato in data 9.06.2020 ai sensi dell’art. 702 -bis c.p.c. (R.G. 4299/2020) convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Venezia, COGNOME NOME per ottenere la condanna del convenuto alla riconsegna del menzionato appartamento, consegnato per errore dal custode in esecuzione della sentenza non definitiva n. 1533 del 2016. Precisavano che il medesimo era stato da essi posseduto ininterrottamente dal 1980 per cui doveva ritenersi ampiamente maturato il termine utile per l’usucapione. Chiedevano inoltre la condanna del COGNOME NOME alla restituzione
dei frutti e delle utilità ricavate o comunque ricavabili dal suddetto bene, con decorrenza a far data dalla presa in possesso.
Si costituiva in giudizio NOME NOME deducendo che per pacifica giurisprudenza l’usucapione dei beni ereditari in danno del figlio naturale del de cuius non decorre se non dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di accertamento della paternità, giacché soltanto in quel momento costui è in grado di esercitare legalmente il suo diritto di proprietà sul bene ponendo in essere atti interruttivi del possesso utile all’usucapione; conseguentemente, poiché la sentenza n. 11/2012 del Tribunale di Venezia di riconoscimento della paternità era passata in giudicato nel 2012, in nessun caso poteva ritenersi decorso e maturato il termine utile legalmente previsto ai fini dell’usucapione.
Il COGNOME NOMECOGNOME sulla base di tali considerazioni, chiedeva, per quanto interessa in questa sede, il rigetto delle pretese dei fratelli COGNOME e in via riconvenzionale l’accertamento dell’appartenenza dell’immobile oggetto di causa all’asse ereditario del defunto padre COGNOME NOME NOME, nonché il riconoscimento per l’effetto della titolarità esclusiva del bene.
3. ─ La causa promossa dai fratelli COGNOME COGNOME era definita in primo grado dal Tribunale di Venezia con la sentenza n. 2123 del 2022 del 28 aprile 2022, la quale accertava che il COGNOME, quale unico erede di COGNOME NOME, era il solo proprietario dell’immobile censito alla particella 1753 sub 6. La sentenza è stata pronunziata nei confronti degli eredi di COGNOME NOME, nel frattempo deceduto, ossia COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Contro tale sentenza era proposto appello dai soccombenti, che la Corte d’appello di Venezia ha rigettato, con la sentenza n. 2485 del 28 dicembre 2023. In particolare, la corte di merito riteneva infondata la pretesa degli appellanti di avere acquistato la proprietà dell’immobile per usucapione, condividendo la valutazione del primo giudice sulla non configurabilità di un possesso utile per
l’usucapione, in danno del COGNOME prima del passaggio in giudicato della sentenza che ha accertato la paternità naturale.
─ Contro tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione i fratelli COGNOME sulla base di quattro motivi.
Gli eredi NOME hanno resistito con controricorso.
Il Procuratore Generale, nelle proprie conclusioni scritte, conclude per il rigetto del ricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. ─ Il primo e il secondo motivo di ricorso censurano la decisione in rito, per avere ritenuto ammissibile la domanda di accertamento di proprietà svolta dal COGNOME in relazione all’immobile controverso.
Con il terzo motivo, proposto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., si denunzia la nullità della sentenza per aver rigettato l’eccezione di usucapione dei sigg. NOME, NOMECOGNOME NOME NOME COGNOME con motivazione affetta da anomalie argomentative di gravità tale da porre la motivazione medesima al di sotto del ‘minimo costituzionale” ex art. 111, comma 6, Cost.
Con il quarto motivo, proposto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., si denunzia la nullità della sentenza per omessa motivazione in ordine al rigetto del motivo di appello con cui i sigg. NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME, NOME COGNOME avevano lamentato la mancata considerazione che essi erano, in relazione alla quota di ½ dell’immobili, aventi causa della madre NOME, che l’aveva loro trasferita con distinti atti di donazione.
─ In ossequio al principio della ragione più liquida deve essere esaminato il terzo motivo, che è fondato e il cui accoglimento comporta l’assorbimento delle censure di cui ai restanti motivi.
La Corte d’appello ha condiviso la decisione di primo grado, la quale aveva a sua volta condiviso la soluzione data dal giudice di rinvio con la sentenza n. 2991 del 2021 con riferimento ad altri beni compresi nella medesima eredità. Tale decisione è stata
oggetto di separato ricorso dei Salmini Sturli, che hanno censurato l’identica ratio proposta nella ulteriore sentenza impugnata con il presente ricorso.
3. ─ Il ricorso contro la sentenza n. 2991 del 2021, chiamato nella medesima udienza, è stato definito con l’accoglimento del motivo, in forza di considerazioni che possono proporsi allo stesso modo in relazione al presente motivo: « La Corte d’appello richiama innanzitutto Cass. n. 11203 del 1995: ‘ L’azione di riduzione può essere esercitata soltanto al momento dell’apertura della successione, allorquando si può valutare la sussistenza della lesione della legittima e far valere il relativo diritto. È, pertanto, solo da quello stesso momento che il possesso per l’usucapione incomincia a decorrere contro il legittimario che agisce in riduzione ‘.
In quel caso, la fattispecie esaminata dalla Corte riguardava l’azione di riduzione in riferimento a beni alienati in vita dal de cuius . La sentenza fece applicazione del principio, già affermato da Cass. n. 10333/1993, secondo cui «l’azione di riduzione, dunque, come non mira a recuperare i beni usciti dal patrimonio del de cuius in quanto tali, non contesta il diritto di proprietà dei beneficiari, né la legittimità del titolo del loro diritto, che anzi presuppone; per contro, ha per obiettivo il ripristino di una situazione patrimoniale compatibile con i diritti dei riservatari, tramite il conseguimento del valore dei diritti suddetti. In questo contesto, l’azione non può essere paralizzata dalla eccezione di usucapione ventennale per due ragioni: perché tale eccezione avrebbe la sola funzione di ribadire l’esistenza del dominio, che è il presupposto stesso dell’azione, e perché la domanda di riduzione non è diretta a rivendicare lo specifico bene uscito dal patrimonio del defunto e che si pretende usucapito, ma a far valere sul valore del bene le ragioni successorie spettanti al legittimario ».
Nel caso in esame, non fu esperita l’azione di riduzione, ma l’azione di petizione ereditaria contro il possessore dei beni ereditari.
Il richiamo, pertanto, è privo di reale attinenza con la vicenda oggetto di causa.
4. ─ Una ricostruzione più complessa deve farsi con riferimento all’ulteriore richiamo operato dalla sentenza impugnata, che riguarda Cass. n. 2424/2011, la quale a sua volta ha fatto applicazione del principio di Cass. 11024 del 1991.
Occorre iniziare l’analisi proprio da tale ultima pronunzia. Nel 1977 l’attrice, affermatasi figlia naturale di una certa persona che aveva disposto della totalità delle proprie sostanze con testamento, chiamò in giudizio l’erede universale, chiedendo che venisse accertata la filiazione naturale e il proprio diritto al conseguente trattamento successorio.
Il tribunale accoglieva la domanda relativa alla dichiarazione di paternità naturale e rigettava quella relativa ai diritti successori. La Corte di appello di Roma confermava la decisione di primo grado.
L’originaria attrice proponeva ricorso per cassazione, che veniva accolto da questa S.C. con sentenza n. 3709 del 26 giugno 1984, la quale affermava il principio secondo il quale la dichiarazione giudiziale di paternità naturale ottenuta dopo il 20 settembre 1975 (data di entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia) da un figlio adulterino concepito o nato prima di tale data, dà diritto di partecipare alla successione del genitore apertasi prima di tale data, secondo le norme regolanti i diritti successori dei figli naturali riconosciuti o dichiarati vigenti all’epoca dell’apertura della successione.
L’attrice provvedeva alla riassunzione del giudizio davanti alla Corte di appello indicata come giudice di rinvio, che riconosceva alla figlia naturale il diritto ad un terzo della eredità del genitore, riducendo le disposizioni in favore dell’erede istituito.
Con riferimento all’eccezione di usucapione sollevata dall’erede testamentario, i giudici di rinvio la ritennero proponibile in linea di principio, ma inammissibile in concreto, in quanto formulata con riferimento “ai beni ereditari”, senza specificare quali fossero i beni della eredità oggetto della stessa eccezione.
La Corte di cassazione propose riflessioni di carattere generale sulla possibilità, ammessa da una parte della dottrina, di usucapire contro il proprio dante causa nella ipotesi in cui il titolo di acquisto venga meno con effetto ex tunc . Tale tesi, però, secondo la corte di legittimità, non avrebbe potuto essere invocata con riferimento alla ipotesi oggetto del giudizio. «L’erede nei confronti del quale venga esperita l’azione basata sull’art. 230 della legge 19 maggio 1975 n. 151, infatti, non vede venir meno il suo titolo di acquisto, ma subisce una riduzione quantitativa di tale acquisto. Il possesso precedente all’esperimento di tale azione non può, pertanto, essere considerato come possesso utile ad usucapionem , non potendosi acquistare col decorso del tempo ciò di cui si è già proprietari. D’altra parte, il possesso ad usucapionem , come strumento per l’acquisto della proprietà, ha come suo tipico contrappeso la possibilità di interruzione da parte del vero proprietario. Non è giuridicamente configurabile un possesso ad u sucapionem che non possa in qualsiasi momento essere interrotto. Con riferimento alla ipotesi contemplata dall’art. 230 l. 19 maggio 1975 n. 151, aderendo alla impostazione della sentenza impugnata, l’erede avrebbe potuto avere già maturata la usucapione al momento della entrata in vigore della legge senza che il figlio naturale avesse mai avuto la possibilità di compiere atti interruttivi, non avendo egli alcun diritto da far valere in base alla disciplina previgente. Il che denota l’assurdità della tesi di principio che qui si discute».
Sulla base di tali considerazioni, la Suprema corte rigettò il ricorso dell’erede testamentario, correggendo la motivazione della corte d’appello. Questa aveva ritenuto inammissibile l’eccezione di
usucapione perché formulata genericamente, con ciò riconoscendo, a contrario , che, nel caso di specie, l’erede testamentario, in linea di principio, avrebbe potuto utilmente invocare gli effetti dell’usucapione nei confronti di chi aveva ottenuto l’accertamento della filiazione dopo l’apertura della successione. La Suprema corte ha invece ritenuto che, nella specie, l’eccezione di usucapione non fosse proponibile in termini assoluti, riconoscendo che l’erede testamentario, proprietario dei beni ereditari in forza del testamento, non vede il proprio titolo travolto a seguito dell’esperimento dell’azione prevista dall’art. 230 della l. n. 151 del 1975, ma subisce solamente una riduzione quantitativa del proprio acquisto, mancando pertanto il presupposto del possesso utile ad usucapionem , non potendosi acquistare col decorso del tempo ciò di cui si è già proprietari.
A un attento esame, l’ipotesi della ‘riduzione solo quantitativa dell’acquisto’, posta in luce della pronunzia, non è riferibile solo all’esperimento dell’azione di riduzione contro l’erede istituito, ma può ricorrere anche con riferimento alla petizione di eredità, qualora questa sia stata esercitata contro un erede apparente pro quota : è acquisito che la qualità di erede apparente non implica la rigida contrapposizione di un nonerede all’erede. Tralasciando altre ipotesi è certo che può assumere tale qualità il coerede, il quale apparisca erede per l’intero.
Certamente più convincente è il rilievo che l’azione di riduzione, proposta contro disposizioni testamentarie a titolo universale, non ha per oggetto beni, ma una quota di eredità, che sarà poi concretata con la divisione ereditaria. Per quanto sia lungo il tempo durante il quale taluno abbia posseduto tutto o parte dei beni ereditari, non potrà mai vantare di avere acquisito la qualità di unico erede. Il problema dell’usucapione dei beni ereditari non riguarda l’azione di riduzione, ma semmai la susseguente divisione chiesta dal legittimario una volta ottenuta la qualità di erede.
Certamente, con riferimento alla riduzione delle disposizioni testamentarie, il termine decennale di prescrizione dell’azione di riduzione rende il problema privo di rilevanza pratica. Tuttavia, qualora il titolo dello status di filiazione che attribuisce la qualità di legittimario (sentenza che dichiara la filiazione) sia costituito successivamente alla morte del de cuius , il termine di prescrizione dell’azione di riduzione dovrebbe farsi decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza, come il termine di accettazione dell’eredità. In questo caso il problema dell’usucapibilità dei singoli beni ereditari si pone.
Cass. n. 11024 del 1991, dopo avere negato a priori l’usucapibilità dei beni, aggiunse la considerazione di principio che «il possesso ad usucapionem , come strumento per l’acquisto della proprietà, ha come suo tipico contrappeso la possibilità di interruzione da parte del vero proprietario. Non è giuridicamente configurabile un possesso ad u sucapionem che non possa in qualsiasi momento essere interrotto». Il rilievo è indubbiamente proposto in termini generali, ma la situazione che la corte di legittimità ritiene di comprendere nel suo ambito è quella del figlio adulterino prima dell’entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia, il quale «non avendo alcun diritto da far valere in base alla disciplina previgente», non aveva «mai avuto la possibilità di compiere atti interruttivi».
5. ─ In Cass. 2424 del 2011, la vicenda condivide con quella decisa da Cass. 11024 del 1991 la situazione di partenza: figli adulterini, i quali avevano agito all’indomani della riforma del diritto di famiglia, chiedendo il riconoscimento della loro qualità di figli naturali del defunto e, conseguentemente, della loro qualità di eredi.
Si trattava in quel caso di successione legittima e la domanda fu proposta nei confronti degli eredi e aventi causa del de cuius , deceduto il 16 novembre 1959. In primo grado, il tribunale accolse la domanda, proposta con citazione dell’ottobre 1978 e dichiarò che
gli istanti erano figli naturali del defunto, ma rigettò la domanda dei medesimi intesa ad ottenere l’accertamento della qualità di eredi legittimi del de cuius . Sul gravame dei soccombenti, la Corte d’appello, in parziale riforma della decisione di primo guado, riconobbe che la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, ottenuta dai figli adulterini posteriormente all’entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia, dà diritto a partecipare alla successione del genitore naturale apertasi prima di quella data. Proposto ricorso per cassazione, poiché la questione della retroattività della dichiarazione giudiziale anche agli effetti successori era stata risolta in modo difforme da due pronunce delle sezioni semplici, il ricorso è stato rimesso alle Sezioni unite, alle quali fu chiesto di stabilire se il figlio adulterino che abbia ottenuto dopo l’entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia (l. n. 151/75) in sede di dichiarazione giudiziale di paternità lo status di figlio naturale, abbia o meno il diritto di partecipare alla successione del genitore naturate apertasi prima di quella data (20 settembre 1975). Le Sezioni unite hanno adottato la soluzione favorevole alla retroattività dell’accertamento della filiazione anche agli effetti successori, per ragioni che non occorre qui ripercorrere.
6.─ In forza di tale sentenza di legittimità, con atto di citazione del 9 febbraio 1987, i figli naturali iniziavano un giudizio per ottenere la condanna dei possessori alla restituzione dei beni lasciati dal de cuius . Si costituivano alcuni dei convenuti, insistendo per la declaratoria di avvenuto acquisto per usucapione della proprietà dei beni caduti nella successione. Il tribunale riconosceva l’avvenuta usucapione, ma la Corte d’appello andava in contrario avviso e accoglieva la domanda degli attori, riconoscendo l’inidoneità, agli effetti dell’usucapione, del possesso antecedente l’entrata in vigore della legge del 1975.
Investita del ricorso proposto dai soccombenti, la Corte di cassazione ha confermato il rigetto della domanda di usucapione.
Secondo la Corte di cassazione, il possesso ad usucapionem , concepito come strumento per l’acquisto della proprietà (nella sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 1158 c.c.), ha come suo tipico contrappeso la possibilità di interruzione da parte dell’effettivo proprietario, con la conseguenza che non si prospetta configurabile un possesso utile ai fini dell’usucapione che non possa in qualsiasi momento essere interrotto.
Anche in Cass. n. 2424 del 2011, l’ipotesi di fatto considerata è pur sempre quella contemplata dalla L. 19 maggio 1975, n. 151, art. 230: nei confronti dei figli adulterini, il possesso dei beni ereditari, precedente l’entrata in vigore della legge n. 151 del 1975, non è utile per l’usucapione, non essendo i medesimi «titolari di alcun diritto da far valere in base alla disciplina previgente».
7. ─ L’esame fin qui compiuto consente di affermare che, nei confronti di coloro che hanno acquistato il diritto di conseguire lo status solo con la riforma del 1975, il decorso del tempo precedente all’entrata in vigore della legge non ha alcun riflesso negativo sui diritti ereditari derivanti da successioni apertesi anteriormente. Non si rinviene, in tali pronunce, nessuna presa di posizione sulla posizione del successibile nel periodo compreso fra l’entrata in vigore della legge del 1975 e il concreto esercizio dei diritti sui singoli beni ereditari. Infatti, i riferimenti che emergono dalle sentenze rendono quel segmento temporale del tutto indifferente. Nell’uno e nell’altro caso l’azione del figlio fu esercitata ben prima che fosse decorso il decennio dall’entrata in vigore della legge di riforma del diritto di famiglia (e a fortiori il ventennio).
Pertanto, i precedenti richiamati nella sentenza impugnata non sono immediatamente riferibili al caso in esame, nel quale il figlio non incontrava alcun impedimento nel far valere i propri diritti già secondo la disciplina vigente al tempo della morte, la quale già gli attribuiva la qualità del solo successibile ex lege (art. 576 c.c. nel testo originario). La sentenza impugnata si potrebbe giustificare
alla luce di quei precedenti a patto di ritenere che la situazione dei figli adulterini, prima del 1975, sia una esemplificazione di un principio più ampio, valevole anche nel caso in cui l’azione per reclamare lo status sia proponibile già a partire dall’apertura della successione.
Fino a quando tale azione non sia stata sperimentata con successo, il figlio si troverebbe nell’impossibilità giuridica non solo di accettare l’eredità, ma anche di compiere atti interruttivi dell’usucapione dei beni ereditari, esattamente come il figlio adulterino prima del 1975; è nello stesso tempo chiaro che, se tale principio fosse realmente sussistente, le considerazioni fatte nei precedenti di legittimità, specificamente riferibili ai figli adulterini prima del 1975, perderebbero ogni rilievo pratico, costituendo un argomento di contorno rispetto a un principio che già li preservava dal rischio della prescrizione e dell’usucapione, che anche nei loro confronti poteva cominciare a decorrere solo dal passaggio in giudicato della sentenza che accerta la filiazione.
8. ─ Si impone a questo punto l’esame di Cass. 14917 del 2012. Nella vicenda, la corte d’appello aveva accolto la domanda di petizione, proposta dal figlio naturale dopo il definitivo accertamento dello status ; coloro i quali apparivano eredi ab intestato in assenza di discendenti avevano eccepito sia la prescrizione del diritto di accettare l’eredità, sia l’usucapione dei beni ereditari. La Corte d’appello ha ritenuto infondate ambedue le eccezioni. La Suprema corte ha rigettato il ricorso proposto dagli eredi apparenti. Cass. n. 14917 del 2012, in primo luogo, ha richiamato i precedenti di legittimità sopra esaminati; quindi, ha proseguito la propria analisi, richiamando il principio, affermato anche da Cass. 2326 del 1990, in base al quale per i figli naturali il termine di prescrizione del diritto di accettare l’eredità decorre solo dal passaggio in giudicato della sentenza di accertamento della filiazione, trovandosi essi, fino a tale accertamento,
nell’impossibilità giuridica e non di mero fatto di accettare l’eredità (v. art. 480 c.c., come modificato dall’art. 69 del d. lgs. n. 154 del 2013). D’altra parte – sempre secondo Cass. 14917 del 2012 ora in esame – la vocazione legale dei figli naturale presuppone che la filiazione sia riconosciuta o giudizialmente accertata, trovandosi pertanto il figlio biologico, prima del passaggio in giudicato della sentenza sullo status , nell’impossibilità giuridica di esercitare l’azione di petizione. Conseguentemente, il possesso esercitato fino a questo momento dall’erede apparente non è utile per l’usucapione, in quanto il titolare non è nella condizione giuridica di compiere atti interruttivi.
9. ─ Si inserisce in questa ricostruzione, in apparenza logica e lineare, una prima obiezione, che deriva proprio da Cass. 2326 del 1990, le cui considerazioni hanno avuto un ruolo determinante sulla decisione di Cass. n. 14917 del 2012, che non ha avuto dubbi nel proporre soluzione identica sia per il decorso della prescrizione del diritto di accettare l’eredità, che non corre, per il figlio naturale, se non dal passaggio in giudicato che dichiara la filiazione, sia per la decorrenza del termine utile per l’usucapione in favore dei possessori dei beni ereditari. Anche questo termine non potrà che decorrere da quando la filiazione sia stata giudizialmente dichiarata: fino a tale momento, il figlio naturale non acquista le posizioni soggettive dipendenti dall’apertura della successione, fra le quali è inclusa quella che gli consentirebbe di compiere atti interruttivi dell’usucapione dei beni ereditari.
In verità, nella vicenda di Cass. 2326 del 1990, i figli naturali avevano notificato una domanda giudiziale in pendenza del giudizio di accertamento dello status . La Corte di appello ha riconosciuto l’idoneità di tale domanda ad interrompere il corso dell’usucapione. Tale affermazione fu censurata in sede di legittimità, sostenendosi che i figli del de cuius , «non ancora dichiarati suoi figli naturali, non
erano chiamati all’eredità , né perciò legittimati a interrompere l’usucapione dei beni da parte dei possessori».
La Corte di cassazione dichiaro inammissibile la censura in rito, in quanto diretta ad ottenere il riesame di una questione ormai preclusa perché non prospettata al giudice d’appello. Nonostante la soluzione in rito, Cass. n. 2326 del 1990 sentì il bisogno di precisare «che l’assunto preliminare della Corte di merito – secondo cui la domanda giudiziale, benché atto non idoneo di accettazione dell’eredità (in quanto posto in essere da soggetto non ancora dichiarato figlio naturale, non chiamato all’eredità e carente, perciò, della legittimazione alla petizione ereditaria) valse tuttavia ad interrompere il termine per l’usucapione -era giuridicamente corretto e, come tale, non passibile della proposta censura per violazione di legge». Si legge testualmente in Cass. n. 2326 del 1990, ora in esame, «In tema di legittimazione alla domanda giudiziale, quale atto idoneo a produrre la c.d. interruzione civile (in contrapposizione a quella naturale) della usucapione ex artt. 1165 e 2943 citati, deve invero rilevarsi come l’ordinamento giuridico, nel quadro della tutela giurisdizionale dei diritti, attribuisca al soggetto il diritto potestativo di chiedere il rilascio di beni in possesso altrui e di interrompere così il corso e ciò, in dipendenza di una particolare relazione di diritto (lo ius possidendi ) che intercorra fra lui ed i beni. Né questa relazione cessa di essere rilevante a tale fine, quando si esprima soltanto in un diritto che è in fieri o condizionato. Anche in tale caso la posizione del soggetto trova, invero, tutela nella esperibilità di atti volti al suo soddisfacimento o semplicemente conservativi, al quale fine, per preliminare postulato, si prescinde dall’effettivo fondamento della pretesa, accertabile soltanto con la successiva pronuncia giudiziale. Così, nel caso di specie, come ha già ritenuto il giudice d’appello e conformemente alle ulteriori argomentazioni ora svolte dal controricorrente , deve rilevarsi che gli attori, al momento della
domanda introduttiva, benché non fossero ancora legittimati alla azione di petizione ereditaria né all’accettazione dell’eredità paterna in pendenza del giudizio di accertamento del loro stato di figli naturali, erano tuttavia, abilitati a compiere, per mezzo della connessa domanda di rilascio o di collazione dei beni ereditari in possesso dei convenuti, un valido atto di opposizione a tale possesso, al fine di farne cessare il carattere pacifico e d’interrompere, perciò, l’usucapione fino al momento della pronuncia giudiziale che avesse accertato la esistenza (anche sopravvenuta) delle condizioni dell’azione, convalidando, così, gli effetti del previo atto conservativo – interruttivo. La riproposta eccezione con cui si nega la idoneità della domanda giudiziale ad interrompere l’usucapione risulta, dunque, infondata, indipendentemente dalla rilevata preclusione processuale, cui soggiace la più ampia questione in cui essa si colloca».
10. ─ Conclusivamente, Cass. n. 11024 del 1991 e Cass. 2424 del 2011 considerano la posizione dei figli adulterini prima dell’entrata in vigore della legge n. 151 del 1975 e con riferimento a questi riconoscono che il possesso dei beni ereditari, esercitato prima dell’entrata in vigore della legge di riforma del diritto di famiglia, non è utile per l’usucapione. Questo perché, fino ad allora, i figli naturali non avevano mai avuto «la possibilità ( nell’ intervallo temporale antecedente alla stessa entrata in vigore della citata legge ) di compiere atti interruttivi, non essendo essi ancora titolari di alcun diritto da far valere in base alla disciplina previgente» (così testualmente Cass. 2424 del 2011). Cass. 14917 del 2012 ritiene che il medesimo principio si applichi anche se i diritti ereditari del figlio naturale sono già riconosciuti dalla legge vigente al momento di apertura della successione. Emerge da tale ultima pronunzia la convinzione che riconoscere che il diritto di accettare non si prescrive se non dal passaggio in giudicato della sentenza che dichiara la filiazione ed affermare, nello stesso tempo, che possa
maturare, in favore del possessore di beni ereditari, il termine ventennale dell’acquisto per usucapione significherebbe ammettere un assurdo giuridico, non potendo il figlio naturale, prima di allora, compiere atti interruttivi. Tale affermazione è principalmente giustificata alla luce di Cass. n. 2326 del 1990, la quale tuttavia, come ampiamente chiarito, tiene separato il diritto di accettare l’eredità, non esercitabile prima del passaggio in giudicato della sentenza che dichiara la filiazione, dalla possibilità di esercitare azioni idonee a interrompere il decorso dell’usucapione. Queste sono esercitabili dal figlio anche prima. D’altronde non mancano esempi di tutela dei beni ereditari accordata indipendentemente dalla attuale qualità di erede, purché sia comunque ravvisabile un interesse a che sia preservata l’integrità del patrimonio ereditario. Si pensi e ai poteri di natura conservativa previsti dall’art. 460 c.c., azionabili prima dell’accettazione, che includono certamente il potere di compiere atti interruttivi della prescrizione, estintiva o acquisitiva.
11. ─ Ad avviso del collegio, l’equivoco insito nella soluzione di Cass. 14917 del 2012, la sola che pone un principio idoneo a legittimare la decisione impugnata, consiste nel sovrapporre il diritto di accettare l’eredità, il quale diventa attuale dopo la dichiarazione giudiziale, con il potere di compiere atti giudiziali interruttivi di prescrizioni acquisitive o estintive dei diritti ereditari: tale diritto, nelle condizioni che ricorrevano nel caso in esame (figlio naturale riconoscibile e annoverato fra i successibili ex lege dalle norme vigenti già al tempo di apertura della successione), è esercitabile anche prima, come già affermato da Cass. n. 2326 del 1990. Una conferma di siffatta possibilità si ritrova anche in Cass. n. 5037 del 2011, richiamata nell’esame del primo motivo: invero la possibilità del figlio naturale, riconosciuta da tale pronunzia, di disporre dei propri diritti prima del definitivo accertamento della filiazione, considerata l’efficacia dichiarativa e retroattiva della
pronunzia, comprende, logicamente, anche il potere di interrompere la prescrizione, acquisitiva o estintiva, dei diritti ereditari. A questi effetti non si richiede l’avvenuto acquisto della qualità di erede, essendo sufficiente l’interesse alla conservazione del patrimonio ereditario, interesse il quale, nella situazione di cui sopra, certamente sussiste nel caso del figlio naturale già a partire dalla morte del genitore, in considerazione dell’efficacia ex tunc della dichiarazione giudiziale (Cass. n. 26575/2007), la quale opera anche rispetto alle posizioni successorie (Cass. n. 2923/1990); e se del suo stato avesse avuto notizia solo dopo molto tempo dalla nascita, tale circostanza concreta un ostacolo di fatto, irrilevante ai sensi dell’art. 2935 c.c.: «L’impossibilità di far valere il diritto, quale fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione ex art. 2935 c.c., è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, in relazione ai quali il successivo art. 2941 c.c. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione della prescrizione, tra le quali, salva l’ipotesi di occultamento doloso del debito, non rientra l’ignoranza da parte del titolare del fatto generatore del suo diritto, né il dubbio soggettivo sull’esistenza di tale diritto o il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento» (Cass. n. 22072/2018; n. 14193/2021).
12. ─ Si deve aggiungere che, già in passato, la giurisprudenza della Corte di cassazione ha riconosciuto l’idoneità, ai fini dell’interruzione della prescrizione, «della notificazione della citazione per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale e la conseguente petizione di eredita ha il duplice contenuto di atto introduttivo del giudizio (art.2943, primo comma, c.c.) per i diritti spettanti agli attori nella qualità, giudizialmente riconosciuta, di figli naturali e di atto di costituzione in mora (art.2943, quarto comma, c.c.) dei convenuti per il diritto creditorio all’assegno vitalizio, che, sulla medesima eredità, spetta agli attori qualora, respinta la
domanda o dichiarazione inidonea a produrre effetti processuali, la filiazione risulti nei modi indicati nell’art. 279 c.c.» (Cass. n. 421/1964). Del resto, come già rilevato, nella fattispecie decisa da Cass. n 11024 del 1991, che è la pronunzia nella quale si rinviene, in materia dei diritti ereditari dei figli naturali, la prima compiuta affermazione del principio sulla quale la corte di merito ha ritenuto di potere fondare la decisione, il figlio chiese nel medesimo giudizio sia l’accertamento della filiazione naturale, sia riconoscimento dei diritti successori. Invero, ciò che la giurisprudenza di legittimità esclude è la possibilità dell’accertamento incidentale dello stato, senza efficacia di giudicato e con effetto limitato alla controversia principale (Cass. n. 2220/1985); con la conseguenza che, se una questione di stato si presenti come pregiudizievole dinanzi al giudice civile, si applicherà l’art. 34 c.p.c. e considerarsi la questione di stato fra quelle questioni che, per legge e cioè per il sistema legislativo, non possono decidersi se non con autorità di giudicato. Se mancano le condizioni necessarie richieste esplicitamente per quelle azioni dalla legge, il giudice adito non potrà giudicare. Qualora invece il giudice adito sia competente anche per la questione di stato e sussistano le condizioni soggettive (legittimazione del soggetto attivo e del soggetto passivo) ed oggettivo il giudice adito potrà giudicare anche sull’azione di stato, ma principaliter e con efficacia di giudicato (Cass. n. 1515/1966). Si ricorda ancora che l’art. 715 c.c. prevede la pendenza di un giudizio sulla filiazione quale motivo di sospensione della divisione ereditaria, ma fa salva la possibilità dell’autorità giudiziaria di autorizzarla, disponendo le opportune cautele ».
13. ─ La sentenza deve essere cassata in relazione al terzo motivo con rinvio della causa alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, che dovrà decidere attenendosi al seguente principi di diritto:
«Il figlio del de cuius nato fuori dal matrimonio, già riconoscibile secondo la legge vigente al tempo di apertura della successione, ha il potere di interrompere l’usucapione dei beni ereditari, senza dovere attendere il passaggio in giudicato della sentenza che accerta la filiazione. Infatti, ai fini della idoneità dell’atto interruttivo del possesso ad usucapionem di un bene ereditario, non si richiede l’avvenuto acquisto della qualità di erede da parte del figlio, essendo sufficiente l’interesse alla conservazione del patrimonio ereditario, interesse che, nella situazione di cui sopra, sussiste già a partire dalla morte del genitore».
Al medesimo giudice di rinvio si demanda di provvedere anche sulla liquidazione delle spese.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo; dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda