Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27326 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 27326 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/10/2025
SENTENZA
sul ricorso 19806-2023 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO NOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALEALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME
– controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALEALE, in persona del curatore pro tempore, rappresentato e difeso dal l’AVV_NOTAIO
– controricorrente –
nonchè contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME (classe 1995), in proprio e quali eredi di COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO
– controricorrenti –
nonchè contro
AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE
– intimata –
avverso la sentenza n. 1011/2023 della CORTE DI APPELLO di SALERNO, depositata il 27/07/2023;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME;
udito il P.G., nella persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
uditi gli AVV_NOTAIO, per parte ricorrente; NOME COGNOME e NOME COGNOME, quest’ultima in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, per il controricorrente RAGIONE_RAGIONE_SOCIALEALE
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 13.2.2018 COGNOME NOME, da un lato, e COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, eredi di COGNOME NOME, evocavano in giudizio COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Salerno, premettendo di aver concluso con il convenuto, in data 16.7.1987, un contratto preliminare di compravendita di un terreno in Eboli e di averne conseguito l’anticipato godimento, avendone pagato quasi integralmente il prezzo pattuito; di aver eseguito su detto terreno diverse migliorie, quali pozzi, stalla, manufatti adibiti a deposito di merci, di aver ristrutturato il fabbricato rurale insistente sul fondo e di averlo coltivato, avviando una attività di caseificio con relativo esercizio commerciale; di essere stati convenuti in giudizio dal promittente venditore, con atto di citazione del 1994, per la risoluzione del contratto preliminare di compravendita di cui anzidetto; che detto giudizio, nel quale COGNOME NOME aveva proposto domanda riconvenzionale di esecuzione in forma specifica del contratto, ex art. 2932 c.c., si era concluso con sentenza di incompetenza. Su tali premesse, gli attori invocavano l’accertamento del loro intervenuto acquisto per usucapione del fondo già oggetto del contratto preliminare di cui anzidetto.
Si costituiva in giudizio il convenuto COGNOME, eccependo innanzitutto il proprio difetto di legittimazione passiva, per essere il fondo oggetto della domanda di proprietà della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALEALE, assegnataria del cespite in forza del decreto di aggiudicazione del 25.1.2018, emesso all’esito della procedura di espropriazione forzata R.G.E. 435/2013, intrapresa in danno del COGNOME. Nel merito, il convenuto resisteva alla domanda, in quanto gli attori non avevano mai conseguito il possesso utile ad usucapionem del bene, ma solo la sua detenzione.
Con successivi atti di citazione i medesimi attori evocavano in giudizio la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALEALE, proponendo due ulteriori giudizi, poi riuniti a quello originario, nei quali formulavano domanda di rivendicazione della proprietà del bene oggetto di causa.
Riuniti i tre giudizi, il Tribunale, con sentenza n. 3053/2021 rigettava la domanda di accertamento dell’usucapione del bene, ritenendola pregiudiziale rispetto a quella, proposta nei riguardi della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALEALE, di rivendicazione della proprietà dello stesso cespite, che pure veniva disattesa.
Con la sentenza impugnata, n. 1011/2023, la Corte di Appello di Salerno rigettava il gravame interposto dagli originari attori avverso la decisione di prime cure, confermandola. La Corte di Appello ha condiviso la ratio della pronuncia di primo grado, che aveva, nell’ordine:
ritenuto non sufficiente, per configurare una rinuncia formale alla domanda di usucapione del cespite oggetto di causa, l’espressione, usata nella comparsa conclusionale degli odierni ricorrenti, che essa ‘doveva ritenersi abbandonata’ per sopravvenuta carenza di interesse, stante l’intervenuto decesso di COGNOME NOME;
escluso la sussistenza del possesso utile ad usucapionem , poichè nel 1994 il COGNOME aveva agito per la risoluzione del contratto preliminare di compravendita del fondo del 1987 ed i COGNOME avevano spiegato, in quella sede, domanda riconvenzionale ex art. 2932 c.c., in tal modo dando atto di essere consapevoli della loro condizione di meri detentori del cespite, del quale non avevano conseguito la proprietà;
valorizzato, ai fini della consapevolezza dell’assenza della qualità di possessori in capo ai NOME, il fatto che COGNOME NOME avesse
indicato quale acquirente del bene controverso la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALEALE, con comunicazioni del 22.8.1997 e del 4.8.2011;
4) affermato che COGNOME NOME, intervenendo nel giudizio intrapreso nel 2011 dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_RAGIONE_SOCIALEALE nei confronti del COGNOME per ottenere sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., aveva aderito alla posizione assunta dalla RAGIONE_SOCIALE attrice, in tal modo confermando la sua consapevolezza di essere mero promissario acquirente del fondo in contestazione.
A tali considerazioni, la Corte distrettuale ha ritenuto irrilevante la prova testimoniale articolata dagli appellanti, in quanto diretta solo a dimostrare gli interventi realizzati sul fondo, e non ammesso la C.T.U., alla luce della ravvisata assenza di elementi idonei a configurare il possesso ad usucapionem .
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOME, da un lato, e COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, eredi di COGNOME NOME ed in luogo anche della coniuge superstite COGNOME NOME, che ha rinunciato all’eredità, affidandosi ad otto motivi.
Resistono con separati controricorsi, rispettivamente: RAGIONE_RAGIONE_SOCIALEALE; COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME NOME, eredi di COGNOME NOME; RAGIONE_RAGIONE_SOCIALEALE, chiamato in causa nel giudizio di merito dalla RAGIONE_RAGIONE_SOCIALEALE, nella sua veste di creditore procedente nella procedura esecutiva immobiliare all’esito della quale la predetta RAGIONE_SOCIALE aveva conseguito l’aggiudicazione del bene controverso. E’ invece rimasta intimata l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALEALE, egualmente evocata in giudizio dalla RAGIONE_RAGIONE_SOCIALEALE, nella sua veste di creditore intervenuto nella predetta procedura esecutiva.
In prossimità dell’udienza pubblica, fissata a seguito di istanza di sollecita fissazione del 13.1.2025, il P.G., nella persona del AVV_NOTAIO, ha depositato conclusioni scritte, insistendo per l’inammissibilità o rigetto del ricorso, mentre hanno depositato memoria tutte le parti costituite.
Sono comparsi in udienza pubblica il P.G., nella persona del AVV_NOTAIO, che ha insistito nelle proprie conclusioni scritte; l’AVV_NOTAIO, per parte ricorrente, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso; gli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, quest’ultima in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, per il controricorrente RAGIONE_RAGIONE_SOCIALEALE, i quali hanno invece concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe pronunciato sulla dedotta cessione del possesso del fondo eseguita dai ricorrenti dopo averne saldato il corrispettivo pattuito.
Con il secondo motivo, invece, si dolgono dell’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto della cessione del possesso di cui anzidetto.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili. La Corte di Appello, avendo ravvisato, sulla base di plurimi elementi, la condizione di semplici detentori in capo agli odierni ricorrenti, ha confermato il rigetto della loro domanda di usucapione del terreno oggetto di causa. Le doglianze, oltre a non confrontarsi con questo decisivo e articolato passaggio della motivazione), fondato su un apprezzamento del fatto e RAGIONE_SOCIALE prove (e qui sta il primo profilo di
inammissibilità: cfr. sull’esito di siffatte censure tra le varie, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19989 del 10/08/2017, Rv. 645361), non considerano che la Corte di merito si è attenuta alla costante giurisprudenza (e qui sta l’inammissibilità ex art. 360 bis c.p.c.) secondo cui il possesso, in quanto situazione di mero fatto, anche laddove sia configurabile non può comunque essere oggetto di cessione separatamente dal diritto del quale esso rappresenta la proiezione concreta (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7283 del 08/08/1996, Rv. 499046 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13222 del 11/06/2014, Rv. 631145). Né può ragionevolmente parlarsi di ‘cessione del possesso’ , in relazione all’anticipata concessione, ai COGNOME, del godimento del cespite oggetto di causa, in assenza del rogito definitivo di compravendita, essendo la condizione derivante dal detto titolo non già configurabile in termini di possesso, bensì di mera detenzione (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5211 del 16/03/2016, Rv. 639209 e Cass. Sez. U, Sentenza n. 7930 del 27/03/2008, Rv. 602815).
La seconda censura è inoltre inammissibile perché la deduzione del vizio di omesso esame non è consentita in ipotesi di cd. doppia conforme, ipotesi ricorrente nel caso in esame.
Con il terzo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione o falsa applicazione dell’art. 1140 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto che dagli atti posti in essere dai germani NOME potesse farsi derivare la loro consapevolezza di essere meri detentori del bene oggetto di causa.
Con il quarto motivo, invece, viene contestata la violazione o falsa applicazione degli artt. 1140 e 1141 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente configurato le migliorie eseguite dai COGNOME sul fondo come atti non
idonei a realizzare una interversione del possesso, trattandosi di attività giustificate dalla permanenza del vincolo obbligatorio derivante dal preliminare del 1987.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili.
La Corte distrettuale ha ritenuto, sulla base di plurimi elementi, che i germani NOME fossero consapevoli di essere meri detentori del bene, perché ne avevano conseguito il godimento in base ad un titolo, rappresentato dal preliminare del 1987. In effetti, la proposizione di domanda ex art. 2932 c.c., sia in proprio che mediante intervento nel giudizio intrapreso dalla RAGIONE_RAGIONE_SOCIALEALE, nonché l’indicazione di quest’ultima come acquirente del bene controverso, in due successive occasioni (comunicazioni del 22.8.1997 e del 4.8.2011) sono elementi più che sufficienti a confermare la consapevolezza dei NOME di essere meri detentori del bene di cui si discute.
Le opere da essi eseguite sul fondo, dunque, sono state ritenute dal giudice di merito funzionalmente connesse al suo progettato acquisto, e non idonee, di per sé, a dimostrare una interversione della detenzione in possesso. Sotto questo profilo, la statuizione della Corte distrettuale è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui ‘Poiché l’interversione del possesso non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, da cui sia consentito desumere che il detentore abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio con correlata sostituzione al precedente, animus detinendi, dell’animus sibi habendi, tale manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in modo da consentirgli di rendersi conto dell’avvenuto mutamento, e deve tradursi in atti dai quali possa riconoscersi il carattere di una concreta opposizione all’esercizio del
possesso da parte sua. A tal fine sono inidonei atti che si traducano nell’inottemperanza alle pattuizioni in forza RAGIONE_SOCIALE quali la detenzione era stata costituita (verificandosi in questo caso una ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale) ovvero si traducano in meri atti di esercizio del possesso, ricorrendo in tal caso una ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene ‘ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12007 del 01/07/2004, Rv. 573965; negli stessi termini, cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4404 del 28/02/2006, Rv. 587753; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21252 del 10/10/2007, Rv. 599249; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11374 del 11/05/2010, Rv. 613210; Cass. Sez. 6 -2, Ordinanza n. 12080 del 17/05/2018, Rv. 648535; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27411 del 25/10/2019, Rv. 655670).
Con il quinto motivo, i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente configurato la relazione intrattenuta dalla RAGIONE_RAGIONE_SOCIALEALE con la res in termini di rapporto di mero fatto.
La censura è inammissibile per difetto di interesse.
Una volta esclusa la condizione di possessore in capo ai COGNOME, la posizione del terzo, indicato dal sottoscrittore del contratto preliminare quale acquirente del cespite compromesso, non assume alcun rilievo ai fini della decisione della domanda di usucapione proposta dagli odierni ricorrenti. Né può comunque ritenersi che l’avente causa, in base ad un titolo, del mero detentore di un immobile possa rivestire la qualità di possessore, in assenza di prova di atti di interversione direttamente compiuti in danno non già del suo diretto dante causa, a sua volta sfornito della qualifica di possessore, bensì del proprietario del cespite di cui si discute.
Con il sesto motivo, ancora, i ricorrenti denunziano l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che il COGNOME non sia rimasto inerte rispetto al destino del suo fondo, avendo egli esercitato le sue prerogative come proprietario, mediante la proposizione della domanda di risoluzione del contratto preliminare del 1987.
La censura è inammissibile per impossibilità di dedurre il vizio di omesso esame in presenza di una ipotesi di cd. doppia conforme.
In ogni caso, la Corte territoriale, con apprezzamento di merito, ha ravvisato nell’esercizio dell’azione di risoluzione del contratto preliminare l’esercizio, da parte del COGNOME, RAGIONE_SOCIALE sue prerogative da proprietario del cespite oggetto di causa. Tale statuizione non è attinta adeguatamente dalla doglianza in esame, con la quale la parte ricorrente richiama l’insegnamento di questa Corte in materia di costruzione di un edificio con materiali propri sul fondo altrui: fattispecie che è totalmente differente da quella oggetto di causa, in cui le attività realizzate dai COGNOME sono state svolte non già sine titulo (come nell’ipotesi disciplinata dall’art. 936 c.c.) bensì sulla scorta di un rapporto obbligatorio avente origine da un contratto preliminare sottoscritto tra le parti.
Con il settimo motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione o falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., 115, 116, 177, 187, 188, 189 e 244 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto superflua la prova testimoniale che era stata articolata dagli odierni ricorrenti.
La censura è infondata.
Una volta disattesi i primi sei motivi, e dunque confermata la statuizione con la quale il giudice di merito ha ravvisato,
rispettivamente, l’esercizio RAGIONE_SOCIALE prerogative del proprietario da parte del COGNOME, e la consapevolezza della propria posizione di meri detentori in capo ai COGNOME, la prova orale è stata correttamente ritenuta superflua, in quanto essa verteva (come affermato sia dalla sentenza impugnata -cfr. pag. 15- che dal ricorso -cfr. pag. 22-) sugli interventi in concreto realizzati dai COGNOME sul fondo e quindi non poteva fornire la dimostrazione di un atto di interversione della detenzione in possesso, una volta verificata la perdurante validità del rapporto obbligatorio nascente dal contratto preliminare del 1987, in virtù del quale gli odierni ricorrenti avevano conseguito l’anticipato godimento del bene oggetto di causa.
Con l’ottavo ed ultimo motivo, infine, i ricorrenti contestano la violazione degli artt. 948 e 1158 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché il giudice di seconde cure avrebbe erroneamente ritenuto non conseguita la prova dei presupposti per il riconoscimento dell’usucapione del cespite di cui è causa.
La censura è inammissibile.
Come già evidenziato, la Corte distrettuale ha ravvisato, nell’esercizio, da parte dei COGNOME, di domanda ex art. 2932 c.c., la manifestazione della loro consapevolezza di non essere proprietari del cespite oggetto di causa e di intrattenere una relazione di fatto con il medesimo per effetto del contratto preliminare del 1987 a suo tempo sottoscritto con COGNOME NOME. Ad avviso dei ricorrenti, l’affermazione non terrebbe conto che l’indagine sull’elemento psicologico del possesso dovrebbe essere condotta sulla base RAGIONE_SOCIALE modalità concrete con cui la relazione con la res viene intrattenuta.
In realtà, ciò è proprio quel che la Corte di Appello ha fatto, valorizzando, per l’appunto, i comportamenti liberamente assunti dei COGNOME; è evidente, al riguardo, che la proposizione della domanda ex
art. 2932 c.c. presuppone l’esistenza di un contratto preliminare non adempiuto, e dunque da un lato conferma la derivazione della relazione con la cosa da un rapporto di natura obbligatoria, e dall’altro lato esclude la qualità di proprietario in capo all’attore. Se infatti costui già ritenesse di essere titolare del diritto dominicale sul bene, per titolo o per usucapione, non avrebbe senso proporre la domanda di emissione di sentenza che tenga luogo del contratto non concluso, posto che quest’ultima presuppone l’altruità del bene che ne costituisce oggetto.
A fronte di tale comportamento, risulta irrilevante la circostanza che il fondo sia stato parzialmente edificato o interessato da migliorie e interventi di vario titolo, ancorché aventi una peculiare incidenza sul cespite: dette attività, che avrebbero potuto avere una rilevanza ai fini della prova dell’ animus rem sibi habendi in difetto di un titolo originario legittimante la relazione di detenzione con la cosa e di manifestazioni idonee a confermare la validità del titolo medesimo, non assumono invece alcun rilievo nella presenza, e nella perdurante validità, del rapporto obbligatorio derivante dal contratto preliminare del 1987, che rappresenta la fonte esclusiva della legittimazione in base alla quale i COGNOME esercitavano una signoria di fatto, in qualità di detentori, sul cespite di cui è causa.
Inoltre, le censura non tiene conto che non è possibile, in sede di legittimità, contrapporre al complessivo accertamento del fatto e RAGIONE_SOCIALE prove operato dalla Corte di Appello una lettura alternativa del compendio istruttorio, poiché il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione RAGIONE_SOCIALE valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo RAGIONE_SOCIALE prove,
dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e RAGIONE_SOCIALE deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e RAGIONE_SOCIALE risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328 e Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812).
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di tutte le parti controricorrenti, RAGIONE_SOCIALE spese del
presente giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuna di esse, in € 5.200, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso RAGIONE_SOCIALE spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, addì 02 ottobre 2025.
IL PRESIDENTE NOME COGNOME
IL RELATORE NOME COGNOME