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Usucapione comproprietario: quando è esclusa la prova

Una comproprietaria costruisce su un cortile comune e rivendica la proprietà esclusiva tramite usucapione del comproprietario. La Corte di Cassazione respinge il ricorso, confermando l’ordine di demolizione. La Corte chiarisce che, affinché l’usucapione tra comproprietari sia valida, il possesso deve essere esclusivo e palesemente incompatibile con i diritti degli altri, impedendo loro l’uso del bene. La semplice costruzione su una porzione di cortile, lasciando accessibile il resto, non soddisfa questo requisito.

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Usucapione tra comproprietari: quando la costruzione su area comune non basta

L’istituto dell’usucapione permette di acquisire la proprietà di un bene tramite il possesso prolungato nel tempo. Ma cosa accade quando il possesso è esercitato da uno solo dei comproprietari su un bene comune? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sulla prova necessaria per l’usucapione comproprietario, stabilendo che la semplice costruzione su una parte dell’area comune non è, di per sé, sufficiente a dimostrare un possesso esclusivo idoneo a escludere gli altri contitolari.

I fatti di causa: una costruzione nel cortile comune

La vicenda trae origine dalla disputa tra due proprietari di immobili confinanti, originariamente appartenenti a un unico dante causa. Uno dei due aveva citato in giudizio l’altra per ottenere la demolizione di un’opera da lei realizzata in ampliamento del proprio immobile, occupando una porzione del cortile di cui erano comproprietari.

La convenuta si era difesa sostenendo di aver acquisito la proprietà esclusiva di quella porzione di cortile per usucapione ventennale. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano dato ragione all’attore, ordinando la demolizione e rigettando la domanda di usucapione. La questione è quindi giunta all’attenzione della Corte di Cassazione.

La questione dell’usucapione del comproprietario

Il fulcro della controversia risiede nei requisiti specifici per l’usucapione comproprietario. A differenza dell’usucapione ordinaria, in cui è sufficiente dimostrare un possesso continuo e ininterrotto, nel caso della comunione è necessario un elemento ulteriore. Il comproprietario che intende usucapire la quota degli altri deve dimostrare di aver posseduto il bene in modo esclusivo, manifestando una volontà inequivocabile di comportarsi come proprietario unico (uti dominus) e non più come semplice comproprietario (uti condominus).

Questo possesso esclusivo deve concretizzarsi in atti che siano oggettivamente inconciliabili con la possibilità di godimento da parte degli altri contitolari. Non basta che questi si astengano dall’usare il bene; è necessario che il possessore ponga in essere un’attività che, di fatto, impedisca loro l’esercizio del proprio diritto.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della convenuta, confermando le decisioni dei giudici di merito. Le motivazioni si fondano su principi consolidati in materia di comunione e prova della proprietà.

La prova dell’uso esclusivo

I giudici hanno stabilito che la realizzazione di un vano su una parte del cortile comune, avvenuta tra il 1950 e il 1966, non era un atto idoneo a fondare l’usucapione. Tale costruzione, infatti, non aveva impedito all’altro comproprietario di continuare a utilizzare la parte residua del cortile. Per la Corte, un’azione è idonea a determinare un possesso esclusivo solo se preclude contemporaneamente l’uso del bene agli altri contitolari. L’atto doveva essere tale da manifestare in modo univoco l’intenzione di escludere gli altri dal godimento del bene nella sua interezza o, quantomeno, di possederlo in modo incompatibile con i diritti altrui.

L’attenuazione della probatio diabolica

La ricorrente aveva anche contestato l’errata valutazione dell’onere della prova (la cosiddetta probatio diabolica) a carico dell’attore che agiva in rivendicazione. La Cassazione ha respinto anche questa censura, chiarendo che tale onere probatorio risulta attenuato quando, come nel caso di specie, non viene contestata l’originaria appartenenza del bene a un dante causa comune. Essendo pacifico che entrambi i contendenti derivassero i loro diritti da un unico testamento che aveva istituito la comproprietà, l’attore non era tenuto a fornire la prova “diabolica” della proprietà risalendo a un acquisto a titolo originario.

Inammissibilità delle questioni nuove

Infine, la Corte ha dichiarato inammissibili altre questioni sollevate dalla ricorrente, come quella relativa all’usucapione decennale, in quanto “questione nuova” proposta per la prima volta in sede di legittimità e che avrebbe richiesto accertamenti di fatto preclusi in quella sede.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per usucapire un bene in comunione, non è sufficiente un uso più intenso o la realizzazione di opere su una porzione dello stesso. È indispensabile un mutamento del titolo del possesso, che deve passare da un godimento compatibile con i diritti altrui a un possesso apertamente e oggettivamente esclusivo.

Chi intende far valere l’usucapione comproprietario deve quindi fornire la prova rigorosa di aver compiuto atti che abbiano reso impossibile agli altri contitolari l’esercizio del loro diritto, manifestando così in modo inequivocabile la volontà di possedere il bene come proprietario esclusivo. In assenza di tale prova, qualsiasi modifica apportata al bene comune, se non impedisce l’uso altrui, resta illegittima e può essere oggetto di un’azione di ripristino dello stato dei luoghi.

È sufficiente che un comproprietario costruisca su una parte del bene comune per usucapirlo?
No. Secondo la Corte, la realizzazione di un’opera su una parte del bene comune non è sufficiente per l’usucapione se non si traduce in un possesso esclusivo che impedisca agli altri comproprietari di utilizzare la parte residua del bene. Il possesso deve essere inconciliabile con il godimento altrui.

In un’azione di rivendicazione, quando si attenua la ‘probatio diabolica’ per l’attore?
La prova a carico di chi agisce in rivendicazione è attenuata quando il convenuto non contesta l’originaria appartenenza del bene a un dante causa comune. In questo caso, essendo l’origine comune della proprietà un fatto pacifico, non è necessario per l’attore risalire a un acquisto a titolo originario.

Una nuova domanda, come quella di usucapione decennale, può essere proposta per la prima volta in Cassazione?
No. La Corte ha dichiarato inammissibile la questione dell’usucapione decennale perché costituisce una ‘questione nuova’, che presuppone indagini di fatto non effettuate nei precedenti gradi di giudizio e che quindi non può essere sollevata per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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