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Usucapione comproprietà: uso esclusivo non basta

Un comproprietario costruisce un immobile su un terreno comune per la propria attività esclusiva, chiedendone poi l’usucapione. La Corte di Cassazione ha respinto la richiesta, chiarendo che per l’usucapione della comproprietà non è sufficiente il semplice uso esclusivo del bene, ma è necessario un possesso che manifesti in modo inequivocabile l’intenzione di escludere gli altri contitolari dal loro diritto, rendendolo inconciliabile con il proprio.

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Usucapione comproprietà: l’uso esclusivo non è sufficiente

L’usucapione di una comproprietà è una questione giuridica complessa che spesso genera contenziosi. Può un comproprietario, che utilizza in via esclusiva una porzione del bene comune, diventarne proprietario unico? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui requisiti necessari, sottolineando la differenza tra semplice godimento esclusivo e possesso valido per l’usucapione.

I fatti di causa: la costruzione sul terreno comune

Il caso trae origine da una richiesta di scioglimento di una comunione immobiliare tra diversi eredi. Uno dei comproprietari, tuttavia, si opponeva, avanzando una domanda riconvenzionale: chiedeva di essere dichiarato proprietario esclusivo di un piccolo fabbricato da lui stesso costruito anni prima sul terreno comune e adibito a laboratorio di falegnameria. Sosteneva di averlo posseduto ininterrottamente e in modo esclusivo, escludendo di fatto gli altri contitolari.

La domanda di usucapione comproprietà e le decisioni di merito

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno respinto la domanda del comproprietario. I giudici hanno stabilito due principi fondamentali:
1. Principio di accessione: In base all’art. 934 c.c., qualsiasi costruzione edificata su un suolo comune diventa automaticamente di proprietà di tutti i comproprietari del suolo, in proporzione alle rispettive quote.
2. Insufficienza del possesso: I giudici hanno ritenuto che l’uso esclusivo del fabbricato, pur provato, non fosse sufficiente a integrare un possesso uti dominus, ovvero un possesso esercitato con l’animo di essere l’unico proprietario. Le testimonianze non avevano dimostrato che il comproprietario avesse posto in essere atti tali da escludere in modo inequivocabile gli altri dal loro diritto di comproprietà.

L’analisi della Corte di Cassazione: i requisiti del possesso

La questione è giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, che ha confermato le decisioni precedenti e rigettato il ricorso. Gli Ermellini hanno ribadito un orientamento giurisprudenziale consolidato in materia di usucapione comproprietà. Per usucapire la quota degli altri comunisti, il comproprietario possessore deve dimostrare di aver goduto del bene in un modo che sia inconciliabile con la possibilità di godimento altrui.

Non è sufficiente che gli altri comproprietari si siano astenuti dall’usare il bene. È necessario, invece, che il possessore compia atti che manifestino in modo univoco la sua volontà di possedere il bene come proprietario esclusivo, negando il diritto degli altri. L’uso esclusivo per la propria attività lavorativa, come nel caso di specie, non è stato ritenuto un atto di per sé idoneo a manifestare tale volontà escludente.

Le motivazioni

La Corte ha dichiarato i motivi del ricorso inammissibili, evidenziando come il ricorrente tentasse, in realtà, di ottenere una nuova valutazione delle prove testimoniali, attività preclusa nel giudizio di legittimità. La motivazione della Corte d’Appello è stata giudicata logica e coerente nel concludere che le testimonianze non provavano un possesso “esclusivo ed escludente” il pari diritto degli altri. La Cassazione ha specificato che l’onere della prova grava su chi intende usucapire e tale prova deve essere rigorosa, dimostrando atti concreti e manifesti di opposizione al diritto altrui. Il semplice fatto di aver costruito e utilizzato un manufatto non basta a trasformare un possesso da uti condominus (come comproprietario) a uti dominus (come proprietario esclusivo).

Le conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio cruciale: nel contesto di una comproprietà, la linea di demarcazione tra uso esclusivo e possesso valido per l’usucapione è netta. Per acquisire la proprietà delle quote altrui, il comproprietario deve estendere il proprio possesso in termini di esclusività, compiendo atti che siano oggettivamente e inequivocabilmente diretti a negare il diritto degli altri contitolari. La mera tolleranza o il non utilizzo del bene da parte degli altri non è sufficiente a far maturare l’usucapione.

È sufficiente utilizzare in modo esclusivo un bene in comune per ottenerne l’usucapione?
No. Secondo la Corte, l’uso esclusivo non è sufficiente. Per l’usucapione è necessario che il comproprietario eserciti un possesso che sia inconciliabile con il diritto degli altri contitolari, manifestando in modo inequivocabile la volontà di possedere il bene come proprietario unico.

Se un comproprietario costruisce un immobile su un’area comune, di chi è la proprietà del nuovo edificio?
In base al principio dell’accessione (art. 934 c.c.), l’edificio costruito sul suolo comune appartiene a tutti i comproprietari del suolo, in proporzione alle loro quote, salvo diverso accordo.

Cosa deve dimostrare un comproprietario per poter usucapire la quota degli altri?
Deve dimostrare di aver esercitato sul bene un possesso esclusivo ed escludente, ovvero di aver compiuto atti che evidenzino in modo univoco la volontà di possedere uti dominus (come unico proprietario) e non più uti condominus (come comproprietario), rendendo palese agli altri la sua intenzione di negare il loro diritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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