Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34791 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34791 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/12/2024
Oggetto: USUCAPIONE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19886/2023 R.G. proposto da
COGNOME NOME e COGNOME CONSOLAZIONE, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME nel cui studio in Santa Maria di Licodia (CT), INDIRIZZO sono elettivamente domiciliati.
-ricorrenti –
contro
COGNOME nella qualità di erede testamentaria del fratello COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME presso il cui studio in Catania, INDIRIZZO è elettivamente domiciliata.
-controricorrente – avverso la sentenza n. 1670/2023, emessa dalla Corte d’Appello di Catania, pubblicata il 29/9/2023 e notificata il 2/10/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 novembre 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 4503/2022, pubblicata il 03/11/2022, il Tribunale di Catania rigettò la domanda proposta dai coniugi COGNOME, comproprietari della metà indivisa dell’immobile sito in Paternò, censito al foglio 61, particella 3328, volta all’accertamento dell’acquisto per usucapione della restante quota, di cui era titolare COGNOME NOME, onde ottenere la proprietà esclusiva del bene, dichiarando l’inammissibilità dell’intervento dell’erede di quest’ultimo, COGNOME NOME.
Il giudizio di gravame, instaurato dai medesimi coniugi COGNOME NOME COGNOME e COGNOME NOME COGNOME, si concluse, nella resistenza di COGNOME che propose, a sua volta, appello incidentale, con la sentenza n. 1670/2023, pubblicata il 29/09/2023, con la quale la Corte d’Appello di Catania accolse parzialmente l’appello principale e integralmente quello incidentale, dichiarando ammissibile l’intervento di COGNOME e la sua legittimazione ad agire, confermando per il resto l’impugnata sentenza sulla domanda di usucapione e ponendo le spese di entrambi i gradi del giudizio, liquidate sulla base dello scaglione indeterminabile da euro 26.001,00 a euro 52.000,00, secondo il valore minimo in ragione della ridotta attività difensiva della convenuta, costituitasi in primo grado il giorno prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni, a carico degli appellanti.
I giudici fondarono la decisione ritenendo che non fosse stata offerta alcuna prova atta a dimostrare il possesso esclusivo del bene da parte degli appellanti e l’esclusione del comproprietario dal possesso, che il COGNOME avesse acquistato il possesso del bene prima di acquistarne la proprietà, che fosse pacifica l’avvenuta edificazione sul fondo comune anche da parte di quest’ultimo e che questo facesse presumere una reciproca tolleranza.
Contro la predetta sentenza, propongono ricorso per cassazione COGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME, affidato a quattro motivi. COGNOME NOME resiste con controricorso.
Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, i ricorrenti, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, hanno chiesto la decisione del ricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., le parti hanno depositato memoria illustrativa.
Ragioni della decisione.
Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto che, al momento dell’acquisto del bene da parte del Garofalo, insistesse già sullo stesso un immobile e che non fosse stato dimostrato il possesso uti dominus idoneo ad escludere, in maniera definitiva ed inevitabile, dal godimento del bene l’altro comproprietario, né la possibilità di esso di accedervi. Secondo i ricorrenti, i giudici non avevano considerato che il COGNOME non aveva mai acquisito il possesso del bene, da lui trovato già costruito e recintato, né aveva mai agito tempestivamente al fine di ottenerlo, restando non conferente la giurisprudenza citata, siccome riguardante la comunione ereditaria.
Col secondo motivo, si lamenta l’errata e falsa applicazione dell’art. 1158 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto irrilevante la prova offerta a dimostrazione del possesso dei ricorrenti, non avendo considerato che quella in esame non era una comunione ereditaria, ma
ordinaria, e che la resistente, che aveva trovato un bene già recintato e costruito, non ne aveva mai acquisito il possesso.
3. I primi due motivi, da trattare congiuntamente in quanto afferenti al medesimo thema decidendum riguardante la sussistenza dei presupposti per l’acquisto per usucapione della proprietà esclusiva di bene comune e la prova necessaria a tale fine, sono infondati.
I giudici di merito hanno respinto la domanda di usucapione, valorizzando l’inconcludenza delle prove offerte al riguardo, allorché hanno sostenuto che non fossero dirimenti né quelle orali, avendo i testi riferito dell’esercizio di un ‘possesso’, senza indicazioni fattuali, e dell’avvenuta realizzazione di una recinzione, in sé idonea a proteggere la proprietà e non ad escluderne l’accesso al comproprietario, né le prove documentali, essendo rimasto dimostrato che sul fondo insisteva un fabbricato già al momento dell’acquisto da parte del RAGIONE_SOCIALE
E’ allora evidente come le censure, sotto la parvenza di una lamentata violazione e falsa applicazione di legge, celino un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Cass., Sez. 1, 27/3/2024, n. 8272; Cass., Sez. 1, 14/01/2019, n. 640).
Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo, del resto, ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 cod. proc. civ., primo comma, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio),
né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 cod. proc. civ., n. 4, -dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., Sez. 1, 26/9/2018, n. 23153; Cass., Sez. 3, 10/6/2016, n. 11892), sia perché la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’art. 360 cod. proc. civ., primo comma, n. 5), sia perché con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, contrapponendovi le proprie, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie concreta operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità ( ex plurimis Cass., Sez. 1, 6/11/2023, n. 30844; Cass., Sez. 5, 15/5/2018, n. 11863, Cass., Sez. 6-5, 7/12/2017, n. 29404; Cass., Sez. 1, 2/8/2016, n. 16056).
Ciò comporta l’infondatezza delle censure.
4.1 Col terzo motivo, si lamenta la violazione e falsa interpretazione e applicazione degli artt. 1165 e 1167 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto che NOME COGNOME avesse acquistato per accessione gli immobili insistenti sul fondo, siccome già presenti alla data dell’8/4/1983, perché verosimilmente realizzati dagli appellanti quali titolari della loro quota già dal 1981, senza considerare che la stipula dell’atto pubblico non costituiva atto interruttivo del possesso e che questo aveva continuato ad essere esercitato dagli appellanti in via esclusiva, senza che COGNOME NOME agisse per il suo recupero e avesse, dunque, posto in essere atti interruttivi del possesso delle sue controparti.
4.2 Il motivo è inammissibile.
In tema di ricorso per cassazione, è, infatti, necessario che venga contestata specificamente, a pena di inammissibilità, la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata (Cass., Sez. 3, 27/3/2024, n. 8247; Cass., Sez. 6-3, 10/8/2017, n. 19989), ciò che nella specie non è avvenuto.
Infatti, i giudici di merito non hanno affatto affrontato il problema della interruzione del possesso, ma hanno accertato, in fatto, che il NOME COGNOME aveva acquistato il possesso del terreno un anno prima dell’acquisto della sua quota in proprietà , che era divenuto proprietario per accessione della costruzione realizzata dagli appellanti e che non era contestata l’avvenuta edificazione, anche da parte sua, di immobili sul fondo comune, sicché doveva ravvisarsi una situazione di reciproca tolleranza da parte dei comproprietari al fine di consentire il godimento da parte di tutti (v. pag. 5 sentenza).
Queste considerazioni – che non sono specificamente attinte in questa sede, essendosi i ricorrenti limitati a contestare il fatto che i principi applicati dalla Corte d’Appello regolassero la situazione, diversa, del compossesso acquisito per successione universale, senza intaccare, però, la pronuncia sotto questo profilo – rendono, viceversa, assolutamente pertinenti i richiami giurisprudenziali effettuati.
Infatti, se è vero che, in caso di acquisto a titolo derivativo, l’avente causa non subentra automaticamente nel possesso del bene, come invece il successore a titolo universale, secondo quanto stabilito dall’art. 1146 cod. civ. in tema di successione e accessione nel possesso, e che, nella vendita ad effetti reali, un volta concluso il contratto, l’acquirente consegue immediatamente, e senza necessità di materiale consegna, oltre alla proprietà, il solo possesso giuridico ( sine corpore ) della res vendita , ancorché non si trovi ancora in rapporto diretto con la cosa, restando a carico del
venditore l’obbligo di trasferirgli il possesso materiale o di fatto ( corpus ), attraverso il quale si realizzano le finalità giuridiche ed economiche del contratto, e che detto obbligo viene in essere con la consegna (Cass., Sez. 2, 11/1/2008, n. 569), essendo questa l’atto con cui il compratore è posto nella condizione non solo di disporre materialmente della cosa trasferita nella sua proprietà, ma anche di goderla secondo la funzione e destinazione in considerazione della quale l’ha comprata (Cass., Sez. 2, 22/3/2018, n. 7171; Cass., Sez. 2, 4/3/1993, n. 2660; Cass., Sez. 2, 16/3/1984, n. 1808; Cass., Sez. 1, 22/06/1951, n. 1671), è altrettanto vero che, nella specie, detto adempimento è stato considerato dai giudici di merito avvenuto, alla stregua di quanto indicato nel titolo, un anno prima del contratto di trasferimento della proprietà, oltre ad essersi perpetuato attraverso l’edificazione da parte del Garofalo nel medesimo fondo.
Ciò comporta che questa circostanza, pur trascurata nella censura, non può che avere un’importante ricaduta sull’istituto dell’usucapione e della prova del possesso ultraventennale, dovendo trovare applicazione, in presenza di un accertato compossesso, il principio, valevole tanto per la comunione ereditaria, quanto per quella ordinaria, secondo cui il compartecipe può usucapire la cosa senza necessità dell’interversione del possesso (art. 1164 cod. civ.), attraverso la semplice estensione del possesso medesimo in termini di esclusività, senza che sia sufficiente a tali fini che gli altri partecipanti si siano astenuti dall’uso della cosa, occorrendo, altresì, che detto compartecipe ne abbia goduto in modo obiettivamente inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus , della cui prova è onerato (in questi termini tra le tante, Cass, Sez. 2, 29/11/2022, n. 35067; Cass., Sez. 2, 08/04/2021, n. 9359;
Cass., Sez. 2, 04/05/2018, n. 10734; Cass., Sez. 2, 21/02/1985, n. 1529).
E’ allora evidente come la censura non attinga la ratio decidendi della sentenza, e ciò ne comporta l’inammissibilità.
5.1 Col quarto motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione del d.m. 55/2014 e successive modificazioni, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito liquidato le spese senza tener conto del valore della causa dichiarato nell’atto di citazione e in appello e della costituzione della controparte soltanto all’udienza di precisazione delle conclusioni.
5.2 Il quarto motivo è parimenti infondato.
L’art. 5 d.m. 10 marzo 2014, n.55, stabilisce, al comma 1, che ‘ nella liquidazione dei compensi a carico del soccombente, il valore della causa – salvo quanto diversamente disposto dal presente comma – è determinato a norma del codice di procedura civile ‘ e al comma 5 che ‘ Qualora il valore effettivo della controversia non risulti determinabile mediante l’applicazione dei criteri sopra enunciati, la stessa si considererà di valore indeterminabile ‘, precisando al comma 6 che ‘ Le cause di valore indeterminabile si considerano di regola e a questi fini di valore non inferiore a euro 26.000,00 e non superiore a euro 260.000,00, tenuto conto dell’oggetto e della complessità della controversia ‘.
Nella specie, la norma da esaminare è quella contenuta nell’art. 15 cod. proc. civ., il quale dispone che ‘ il valore delle cause relative beni immobili è determinato moltiplicando il reddito dominicale del terreno e la rendita catastale del fabbricato alla data della proposizione della domanda ‘ con duecento con riguardo alle cause riguardanti la proprietà.
In assenza di questi parametri, come già affermato da questa Corte, il giudice deve attenersi alle risultanze degli atti, purché gli elementi su cui fondare il giudizio di valore risultino precostituiti e
disponibili fin dall’inizio del processo (essendo irrilevanti quelli acquisiti in corso di istruzione), nonché specifici, concreti, obbiettivi e idonei a fornire un razionale fondamento di stima (Cass., Sez. 2, 14/8/1997, n. 7615), dovendo, in mancanza di elementi concreti ed attendibili per la stima, ritenere la causa di valore indeterminabile (Cass., Sez. 2, 26/05/2015, n. 10810), senza che rilevi la dichiarazione del difensore sul valore della domanda, atteso che essa, non appartenendo alle conclusioni della citazione, non può considerarsi come parte della domanda nel senso cui allude l’art. 10, cod. proc. civ. quando dice che ” il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda a norma delle disposizioni seguenti ” (Cass., Sez. 5, 11/5/2023, n. 12770; Cass., Sez. 1, 6/7/2023, n. 19233).
Non è dunque corretta la doglianza laddove considera cogente il valore dichiarato, lamentando l’erroneità dell’applicazione del valore indeterminato, con conseguente sua infondatezza.
In conclusione, dichiarata l’infondatezza del primo, secondo e quarto motivo e l’inammissibilità del terzo, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge – in favore della cassa delle ammende.
8. Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì il ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore liquidata in € 800,00, nonché al pagamento della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20/11/2024.