Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 30794 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 30794 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 8650-2022 proposto da:
COGNOME e COGNOME, eredi di COGNOME NOME COGNOME rappresentate e difese dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME e domiciliate presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME e NOMECOGNOME rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME e domiciliati presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 305/2022 della CORTE DI APPELLO di VENEZIA, depositata il 14/02/2022;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 19.6.2018 Spagna NOME evocava in giudizio NOME NOME e NOME innanzi il Tribunale di Verona, rivendicando la proprietà di due cantine delle quali essa aveva ottenuto la dichiarazione di usucapione, giusta sentenza n. 1273/2017, passata in giudicato, e chiedendo la condanna dei convenuti al loro rilascio ed al risarcimento del danno.
Si costituivano i convenuti, resistendo alla domanda ed invocando in via riconvenzionale l’accertamento dell’acquisto per usucapione della proprietà dei beni oggetto di causa.
Con sentenza n. 973/2020 il Tribunale rigettava la domanda principale, accogliendo invece quella riconvenzionale.
Con la sentenza impugnata, n.305/2022, la Corte di Appello di Venezia rigettava il gravame proposto dalla Spagna avverso la decisione di prime cure, confermandola. La Corte distrettuale riteneva, in particolare, documentato che, all’esito della divisione realizzata tra le sorelle NOME, NOME, NOME NOME e NOME NOME, giusta atto del notar COGNOME del 23.4.1970, erano stati attribuiti a ciascuna delle condividenti due appartamenti con annesse cantine, le quali tuttavia erano prive di autonoma identificazione catastale. Le sorelle, dunque, avevano di fatto utilizzato i vani accessori in modo non coerente al contenuto della divisione di cui anzidetto. In particolare, NOME non aveva mai utilizzato le cantine nn. 7 e 8, a lei assegnate con la divisione, ma aveva invece utilizzato quelle nn. 11 e 12, in relazione alle quali aveva anche ottenuto il
riconoscimento dell’usucapione, con sentenza n. 1273/2017 della Corte di Appello di Venezia. Al contrario, gli odierni controricorrenti, e prima di essi la loro dante causa Spagna Artemisia, avevano, secondo la Corte di merito, utilizzato pacificamente le cantine nn. 7 ed 8, conseguendone quindi l’usucapione.
Propongono ricorso per la cassazione della pronuncia di secondo grado COGNOME NOME e COGNOME NOME, eredi di COGNOME NOME affidandosi a due motivi.
Resistono con controricorso COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Con istanza del 22.3.2023 la parte ricorrente, dopo aver ricevuto la comunicazione della proposta di decisione ai sensi di quanto previsto dall’art. 380-bis c.p.c., ha chiesto la decisione del ricorso.
Il ricorso è stato chiamato una prima volta all’adunanza camerale del 27.10.2023, in esito alla quale, con ordinanza interlocutoria n. 30381/2023, è stato rinviato a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite di questa Corte in relazione all’incompatibilità, del consigliere redattore della proposta di definizione anticipata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., a comporre il collegio che decide il ricorso a seguito di istanza di decisione presentata nel termine prescritto dalla legge.
All’esito della pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9611 del 10.4.2024, il ricorso è stato nuovamente fissato per l’odierna adunanza camerale, in prossimità della quale ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, il collegio dà atto che, a seguito della pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9611 del 10 aprile 2024, non sussiste alcuna incompatibilità del presidente della sezione o del consigliere delegato, che abbia formulato la
proposta di definizione accelerata, a far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1, atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa.
Passando all’esame dei motivi del ricorso, con il primo di essi si denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 948, 1140, 1141, 1146, 1158 c.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ravvisato la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’usucapione in favore degli odierni controricorrenti.
La censura è inammissibile.
La Corte di Appello ha ritenuto provato il possesso ultraventennale della cantina oggetto della domanda riconvenzionale accolta, sulla base del libero apprezzamento delle risultanze istruttorie. A tale ricostruzione del fatto e delle prove, la parte ricorrente contrappone, con la censura in esame, una lettura alternativa del compendio istruttorio, affermando, in particolare, che non sussisterebbe il requisito temporale dell’usucapione. In tal modo, la parte ricorrente non si confronta con il principio – che oggi va ribadito – secondo cui il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di legittimità (Cass. Sez. U., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).
Né è possibile proporre una ricostruzione alternativa delle prove, dovendosi anche ribadire che ‘L’esame dei documenti esibiti e delle
deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).
Con il secondo motivo, la parte ricorrente lamenta invece la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1146 c.c. e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe omesso di considerare la circostanza, ritenuta decisiva, che nel rogito di acquisto per atto del notar COGNOME in data 28.3.2013 era stata indicata una cantina diversa da quella oggetto della domanda riconvenzionale di usucapione. Il giudice di seconda istanza, inoltre, avrebbe dovuto ritenere insussistenti gli elementi per la configurazione dell’ accessio possessionis , non essendo possibile ritenere che l’atto predetto costituisse titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà del bene controverso.
La censura è inammissibile.
La Corte distrettuale ha considerato sufficiente, ai fini di cui all’art. 1146 c.c., il titolo esibito dagli odierni controricorrenti, proprio in
considerazione dell’assenza di autonomo identificativo catastale delle cantine: circostanza, quest’ultima, non attinta dalla censura in esame, la quale, di conseguenza, non si confronta adeguatamente con la ratio della decisione.
Peraltro, anche in questo caso la doglianza assume un contenuto meritale, onde si possono richiamare le medesime considerazioni in diritto già esposte in relazione allo scrutinio della prima censura.
Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile (per la formula decisoria finale, cfr. Sez. U – , Sentenza n. 7155 del 21/03/2017).
Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis c.p.c.- il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna delle ricorrenti in solido al pagamento di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma -nei limiti di legge- in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna le ricorrenti in solido al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 3.000,00 per compensi, oltre ad € 200,00 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati.
Condanna altresì le ricorrenti in solido, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore pari a quella sopra liquidata per compensi (€. 3.000,00), nonché al pagamento della somma di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda