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Ultra petita espropriazione: limiti del giudice

Una società di costruzioni ha impugnato in Cassazione la decisione della Corte d’Appello che aveva liquidato un’indennità di espropriazione inferiore a quella richiesta dallo stesso Comune espropriante. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando la sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Il caso chiarisce i limiti del potere del giudice nel determinare il quantum dell’indennità, stabilendo che in assenza di una domanda riconvenzionale, non si può andare oltre (o al di sotto) della richiesta della parte attrice, configurando altrimenti un vizio di ultra petita espropriazione.

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L’Ultra Petita nell’Espropriazione: La Cassazione Fissa i Paletti per il Giudice

L’ultra petita espropriazione è un principio fondamentale del diritto processuale civile che trova applicazione anche nelle complesse vicende legate all’espropriazione per pubblica utilità. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato con forza un paletto invalicabile per il giudice: non è possibile liquidare un’indennità inferiore a quella richiesta dallo stesso ente espropriante, a meno che non sia stata formalmente proposta una domanda riconvenzionale. Analizziamo insieme questa importante decisione.

Il caso: un’indennità ridotta oltre la richiesta

Una società di costruzioni si vedeva espropriare alcuni terreni da parte di un Comune per la realizzazione di opere pubbliche. Inizialmente, il Comune aveva determinato un’indennità provvisoria. Successivamente, la Commissione provinciale competente aveva stabilito un’indennità definitiva di importo superiore.

Il Comune, ritenendo la stima della Commissione eccessiva, si opponeva dinanzi alla Corte d’Appello, chiedendo che venisse dichiarata congrua l’indennità provvisoria, da esso stesso calcolata in precedenza. La società espropriata, a sua volta, si costituiva chiedendo un aumento delle stime definitive.

La Corte d’Appello, dopo aver qualificato i terreni come non edificabili, sorprendentemente liquidava un’indennità di espropriazione e di occupazione per un importo totale ancora più basso di quello che il Comune stesso aveva offerto e chiesto di confermare. Di fronte a questa decisione, la società proponeva ricorso per Cassazione.

I limiti del potere del giudice nell’ultra petita espropriazione

Il fulcro del ricorso della società si basava sul concetto di “error in procedendo” e sulla violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), meglio noto come divieto di “ultra petita”. La società sosteneva che la Corte d’Appello, liquidando una somma inferiore a quella richiesta dallo stesso Comune opponente, avesse oltrepassato i limiti della domanda giudiziale.

Il Comune, infatti, non aveva mai chiesto una riduzione dell’indennità al di sotto della cifra da lui stesso originariamente offerta, ma si era limitato a chiedere la conferma di quella cifra e a contestare la stima, più alta, della Commissione provinciale. Il giudizio di opposizione alla stima, sebbene non sia un mero controllo di legittimità dell’atto amministrativo ma un giudizio sul rapporto, resta comunque vincolato alle domande delle parti.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il motivo di ricorso, ritenendolo fondato. Ha chiarito che, sebbene il giudice abbia piena autonomia nella valutazione del quantum dell’indennità, questa autonomia deve essere esercitata nel rispetto del principio della domanda.

In un giudizio di opposizione alla stima definitiva, la decisione può essere più favorevole all’opponente, ma non può determinare un importo inferiore a quello oggetto della controversia, a meno che l’ente espropriante non formuli una specifica domanda riconvenzionale in tal senso. Nel caso di specie, il Comune non aveva formulato alcuna domanda riconvenzionale per ottenere una somma inferiore a quella che aveva offerto; si era limitato a contestare l’aumento deliberato dalla Commissione.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione ribadendo un principio consolidato: il giudizio di opposizione alla stima introduce un ordinario giudizio di cognizione sul rapporto, diretto a stabilire il “quantum” dovuto. Tuttavia, questo non svincola il giudice dal rispetto dei principi processuali fondamentali, tra cui quello della domanda (art. 99 c.p.c.) e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.).

La Corte ha specificato che determinare un’indennità “in peius” per l’espropriato (cioè in misura peggiorativa) rispetto alla stessa richiesta dell’ente espropriante, significa violare questi principi. L’ente, chiedendo di affermare la congruità della propria offerta iniziale, aveva fissato il “pavimento” al di sotto del quale il giudice non poteva scendere. Per farlo, sarebbe stata necessaria una contro-pretesa autonoma, ovvero una domanda riconvenzionale, soggetta a specifici termini e forme.

Inoltre, la Corte ha precisato che le richieste avanzate dal Comune per la prima volta nelle comparse conclusionali erano irrilevanti, poiché tali atti hanno la sola funzione di illustrare domande ed eccezioni già ritualmente proposte, non di introdurne di nuove e ampliare il “thema decidendum”.

Le conclusioni

Le implicazioni pratiche di questa ordinanza sull’ultra petita espropriazione sono significative. Per gli enti pubblici, emerge la necessità di formulare con precisione le proprie domande nei giudizi di opposizione. Se un ente ritiene che anche la propria stima provvisoria fosse eccessiva, deve porre in essere una formale domanda riconvenzionale per chiederne la riduzione, e non può sperare che il giudice vi provveda d’ufficio.

Per i proprietari espropriati, questa decisione rappresenta una garanzia fondamentale. Essi sanno che il perimetro della controversia è definito dalle domande delle parti e che non rischiano una “reformatio in peius” (una modifica in peggio) inaspettata, non richiesta neppure dalla controparte. La sentenza riafferma la centralità delle regole processuali come baluardo di certezza e prevedibilità nel rapporto, spesso sbilanciato, tra cittadino e pubblica amministrazione.

Può un giudice ridurre l’indennità di espropriazione a un importo inferiore a quello richiesto dall’ente espropriante?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il giudice non può determinare un’indennità inferiore a quella richiesta dall’ente, a meno che quest’ultimo non abbia presentato una specifica domanda riconvenzionale per ottenere tale riduzione. Farlo costituirebbe una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (ultra petita).

Qual è il valore delle richieste formulate per la prima volta nelle comparse conclusionali?
Nessuno. L’ordinanza ribadisce che le comparse conclusionali servono solo a illustrare le ragioni a sostegno di domande ed eccezioni già proposte nel corso del processo. Non possono essere utilizzate per introdurre nuove domande o ampliare l’oggetto del contendere (thema decidendum).

Cosa deve fare un ente espropriante se ritiene che l’indennità da esso stesso offerta sia troppo alta?
Se l’ente espropriante, nel corso di un giudizio di opposizione alla stima, si convince che anche la propria offerta iniziale era eccessiva, deve formulare una domanda riconvenzionale. Si tratta di una contro-domanda formale che va oltre la semplice richiesta di rigetto delle pretese avversarie e che deve rispettare i termini e le forme previste dal codice di procedura civile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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